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‘Ndrangheta stragista, i troppi "silenzi" dell’ex del “Nano”

Laila Taoui, per anni la compagna del pentito Nino Lo Giudice, è stata ascoltata dai giudici nel processo che si sta svolgendo a Reggio: «Era un violento. Mi voleva uccidere»

Pubblicato il: 13/09/2019 – 16:17
‘Ndrangheta stragista, i troppi "silenzi" dell’ex del “Nano”

di Alessia Candito
REGGIO CALABRIA Terminata la pausa estiva, è Laila Taoui, per alcuni anni compagna del pentito Nino Lo Giudice, la prima ad essere chiamata sul banco dei testimoni al processo ‘Ndrangheta stragista. Per lei, nessun legame diretto con la criminalità organizzata, tanto meno è stata mai coinvolta nelle attività criminali del compagno. «Ho saputo qualcosa solo dopo che è stato arrestato» dice in aula, rispondendo alle domande del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo. Tuttavia è stata testimone oculare di una delle fasi più critiche – e per alcuni aspetti ancora controverse – del percorso del pentito Lo Giudice. Taoui viveva con lui nei primi anni di collaborazione e soprattutto era lì quando, terrorizzato, Nino “Il Nano” ha abbandonato Macerata e il programma di protezione, rendendosi irreperibile.
IL GIALLO DELLA FUGA E IL MISTERO DEI MEMORIALI Mesi di sparizione e silenzio, interrotti solo dall’invio di infuocati memoriali con cui ha tentato di smentire buona parte di quanto in precedenza dichiarato. Rintracciato e nuovamente arrestato a Reggio Calabria, solo dopo un lungo periodo di silenzio ha iniziato a parlare della sua fuga e di cosa l’abbia provocata. Ai magistrati della Dda di Reggio Calabria ha raccontato di essere stato pesantemente minacciato quando dalle indagini è emersa con prepotenza la figura di Giovanni Aiello, per inquirenti e testimoni l’ex killer di Stato “Faccia di mostro”, morto qualche anno fa prima che un processo potesse provarlo.
L’OMBRA DI AIELLO Anche Lo Giudice lo ha riconosciuto come tale e con lui, negli anni, ha avuto più volte modo di testarne pericolosità e contatti. Per questo, quando sono arrivate le domande su di lui, ha avuto paura, divenuta terrore quando due uomini non ancora identificati – ha raccontato ai magistrati della Dda di Reggio dopo la sua fuga – gli avrebbero intimato di non dire una parola su quel poliziotto dalla faccia sfregiata, che per molti è l’uomo dei servizi che ha curato logistica ed esecuzione di stragi ed omicidi di Stato.
«ERA SEMPRE NERVOSO» Taoui non conosce i dettagli. Questa storia – spiega in aula – l’ha appresa solo dopo, da estranei o dalle informazioni reperibili in rete. «Lo Giudice non mi diceva mai niente, mi ha sempre tenuta da parte, al massimo ne parlava con i familiari, con cui non ha mai interrotto i contatti. Ma era con lui e ha visto con i propri occhi il Nano trasformarsi. «Non era più il Nino che conoscevo io, era sempre nervoso, sempre agitato. Per questo io andavo spesso in Marocco, spesso a casa mia a Verona» spiega in aula Taoui. Lo Giudice – sostiene – non le avrebbe mai spiegato in dettaglio il motivo. E anche alla sua richiesta di delucidazioni i avrebbe risposto solo frasi smozzicate e per nulla chiare.
IL PUNTO DI NON RITORNO Tuttavia, la ragazza sa dire con precisione quando la tensione ha superato il livello di guardia e Lo Giudice è tornato. Il momento corrisponde esattamente al primo colloquio investigativo in cui sia saltato fuori il nome di Aiello. A dire la verità, aggiunge rispondendo alle domande del procuratore, il nervosismo del pentito era iniziato molto prima. Da sempre sospettoso e inquieto, quando dalla stampa è emerso il tentativo di far crollare l’armiere del clan e braccio destro di Lo Giudice, Antonio Cortese, Lo Giudice ha iniziato a crollare. «Adesso dobbiamo spaventarci non solo dei calabresi, ma anche dei siciliani», le ha detto. Ma lei – giura al procuratore aggiunto Lombardo – non ha mai chiesto, né ricevuto ulteriori spiegazioni al riguardo. A far traboccare il vaso della tensione – ha raccontato in passato lo stesso pentito – proprio quel colloquio investigativo.
IL MISTERO DELLA STAMPANTE Su quanto successo dopo, la Taoui ha fornito un particolare inedito. «Appena rientrato – dice in aula, rispondendo alle domande del procuratore – mi chiese di andare a comprare una stampante». Tuttavia, il pentito ha fatto avere solo dei fogli bianchi al procuratore Donadio cui aveva promesso copia di alcune foto di Aiello, scattate in passato da Cortese. Ha cambiato idea o qualcuno lo ha spinto a cambiare idea? Sul punto la Taoui non sa dare dettagli. A suo dire, Lo Giudice l’avrebbe sempre tenuta all’oscuro dei dettagli della sua collaborazione. Anche della sparizione del pentito si sarebbe accorta solo al risveglio, dopo un sonno appesantito dai medicinali. Ma chissà se sui suoi silenzi non pesi anche il burrascoso rapporto con il pentito. E non solo per i guai giudiziari e le limitazioni che una vita blindata prevede, ma anche per le violenze che la donna è stata costretta a subire. Fin dal principio morbosamente geloso, più di una volta l’avrebbe picchiata. «Una volta ha detto di volermi uccidere e sono scappata». Ma non sarebbe stata l’unica, sia prima sia dopo quel colloquio investigativo che per Lo Giudice è stato il punto di non ritorno. (a.candito@corrierecal.it)

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