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Il “banchiere” della 'ndrangheta a cui la Svizzera ha confiscato i conti

La vicenda del reggente del “locale” di Desio segna uno spartiacque: il denaro della mafia può essere sottratto ai clan anche nel paradiso fiscale elvetico

Pubblicato il: 21/10/2019 – 16:20
Il “banchiere” della 'ndrangheta a cui la Svizzera ha confiscato i conti

di Sergio Pelaia
Ai tempi della maxi inchiesta “Infinito”, nel 2010, era considerato quasi un personaggio marginale. Già quattro anni dopo, invece, è il principale protagonista dell’operazione della Dda di Milano che ha portato a 40 arresti contro il “locale” di ‘ndrangheta di Desio. Seguirono le condanne e, ora, Pino Pensabene (foto), 52enne originario di Montebello Jonico, nel Reggino, diventa suo malgrado protagonista di un altro piccolo ma significativo passaggio che nella storia recente della ‘ndrangheta segna uno spartiacque. Negli anni ’80 si sarebbe fatto le ossa nella cosca Imerti, poi, nel 1988, arrivato a Milano, si lega al clan Onorato per poi trasferirsi, qualche anno dopo, in Brianza, a Seveso. Lì, dopo aver scalato le gerarchie criminali, c’era lo chiamava «il Papa» e «il Sovrano». Per gli inquirenti, di fatto, era una sorta di “banchiere” dei clan a cui adesso il Ministero pubblico della Confederazione elvetica – che svolge le funzioni di Procura federale – ha confiscato 200mila euro. Si tratta di una somma non molto ingente, si dirà, vista la capacità dei clan di muovere grandi capitali. Vero, ma la confisca rappresenta un segnale storico: il denaro della mafia può essere confiscato anche nel paradiso fiscale della Svizzera, e può succedere a prescindere da una condanna in territorio elvetico.
A ricostruire i contorni della vicenda è il Caffè, settimanale in lingua italiana con sede a Locarno, che ha potuto prendere visione del decreto emesso dal Mpc. Quando Pensabene fu arrestato, nel 2014, la vicenda fece scalpore anche in Ticino, dove abitava Emanuele Sangiovanni, detto “l’avvocato”, anche lui arrestato nella stessa operazione e accusato di aver messo al servizio del clan le sue società ticinesi. Poco dopo gli arresti le banche svizzere segnalarono alcuni conti correnti e l’Mpc aprì due inchieste per riciclaggio (nei confronti di ignoti) che furono poi fatte cadere nel 2019 senza nessuna condanna.
Il saldo dei conti fu però sequestrato perché il codice penale elvetico prevede la confisca dei valori patrimoniali di cui un’organizzazione criminale ha facoltà di disporre. Si tratta di un conto aperto dallo stesso Pensabene nel 2011 e di un altro che era invece intestato al nipote del boss su cui c’erano i 200mila euro confiscati. «Il denaro – spiega il Caffè – proviene dalla vendita del 30% delle azioni di una società che aveva sede a Melide, acquisite nel 2013 da un uomo poi condannato in Italia per essersi intestato società riconducibili a Pensabene. Una delle quali è stata, per oltre due anni, fornitrice proprio per l’azienda di Melide, attiva in uno dei settori più a rischio infiltrazioni: l’edilizia». (s.pelaia@corrierecal.it)

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