CATANZARO La seconda sezione penale della Corte d’Appello di Catanzaro (presidente Anna Maria Saullo) ha emesso il verdetto di secondo grado nel processo scaturito dall’inchiesta “Black Money”. Già in primo grado davanti al Tribunale di Vibo nel febbraio del 2017 era caduta l’accusa di associazione mafiosa per alcuni dei presunti capi e gregari del clan Mancuso, ora questa decisione è stata confermata anche in Appello, con l’aggiunta però di un’ulteriore assoluzione e di una condanna riformata rispetto al primo verdetto.
Erano 12 gli imputati su cui la Corte era chiamata a pronunciarsi. Per il 78enne Giovanni Mancuso e per il fratello 81enne Antonio, componenti della cosiddetta “generazione degli 11” ritenuti ai vertici della famiglia, sono state confermate rispettivamente le condanne a 9 e 5 anni; confermata l’assoluzione per il 58enne Pantaleone Mancuso “Scarpuni” e confermati 7 anni e 8 mesi per Agostino Papaianni. La prescrizione è stata dichiarata per Giuseppe Mancuso, figlio del defunto Pantaleone “Vetrinetta”; Leonardo Cuppari è stato assolto per non aver commesso il fatto (in primo grado era stato condannato a 5 anni per tentata estorsione e assolto dall’accusa di associazione mafiosa); per Antonino Castagna la Corte d’Appello ha dichiarato di «non doversi procedere per precedente giudicato» in relazione all’accusa di associazione mafiosa «limitatamente periodo dal 2003-2012», assolvendolo per lo stesso reato «per non aver commesso il fatto» per il restante periodo in contestazione; Damian Fialek è stato condannato a 1 anno di reclusione (in primo grado era stato condannato a 3 anni); nei confronti di Antonio Velardo è stato dichiarato non doversi procedere perché il reato è estinto per intervenuta prescrizione. Confermate le condanne di primo grado, infine, per Gaetano Muscia (7 anni di reclusione) e Antonio Prestia (5 anni e 6 mesi). Prescrizione, come già in primo grado, per Nicola Angelo Castagna.
IL NUOVO PENTITO Nel corso del dibattimento la pm della Dda di Catanzaro Anna Maria Frustaci aveva chiesto l’acquisizione dei verbali di un nuovo collaboratore di giustizia. Si tratta di Giuseppe Comito, già condannato in via definitiva a 30 anni all’esito del processo “Gringia” sulla faida tra i Patania e i “Piscopisani”.
Comito, 40 anni, del quartiere Marina di Vibo, è stato più volte nominato da altri pentiti e nelle sue motivazioni, la Corte d’assise d’appello di Catanzaro ne tratteggiava il ruolo nell’ambito della faida, tra il 2011 e il 2012, e in particolare nel delitto di Francesco Scrugli – per il quale è stato condannato per concorso in omicidio – commesso il 21 marzo 2012 a Vibo Marina, in cui rimasero feriti Rosario Battaglia e Raffaele Moscato. «Aveva il compito – scrivevano i giudici – di dare il via libera all’ingresso dei killer nell’immobile nel momento in cui gli obiettivi si fossero allontanati ed all’interno non vi fossero nemmeno gli operai che stavano eseguendo dei lavori di ristrutturazione. Solo in tal modo sarebbe stato garantito l’effetto sorpresa dato dalla presenza dei killer lungo le scale mentre Scrugli e gli altri avrebbero fatto ritorno nell’appartamento». Di Comito ha parlato anche un altro collaboratore di giustizia, Raffaele Moscato, in riferimento all’omicidio di Davide Fortuna: «È avvenuto perché se l’è venduto Giuseppe Comito con Pantaleone Mancuso “Scarpuni”. Questi non muoveva un passo senza Nazzareno Colace che è vicinissimo a ‘Scarpuni’. La casa di Comito affaccia sulla spiaggia dove avvenne il delitto.
La sua baracca era in una posizione strategica per essere usata come base per l’omicidio di Scrugli ed il tentato omicidio mio e di Battaglia poiché posizionata a circa 500 metri dalla casa di Fortuna, in una zona buia e senza telecamere, con la possibilità di fuga dalla spiaggia. Colace aveva detto a un tale Giuseppe Comito di sorvegliarci. E infatti quando ci fu l’omicidio di Fortuna, la ragazza di Battaglia, che era in spiaggia, prese i bambini di Fortuna e si allontanò, andando a chiedere rifugio proprio nella casa di Comito che era a 10 metri dalla nostra di
via Arenile, luogo dell’agguato di marzo. E Comito le chiuse la porta in faccia». Il neo-pentito viene tirato in ballo anche da un altro collaboratore, Nicola Figliuzzi, ex braccio armato dei Patania che parlando sempre del delitto Fortuna, ha riferito: «A segnalare ai killer la presenza di Fortuna fu Giuseppe Comito, uomo di “Scarpuni”», aggiungendo che gli appostamenti ai rivali Rosario Battaglia e Raffaele Moscato, «venivano effettuati da
Giuseppe Comito e Francesco Alessandria presso il quale lavoravo e fu lui a dirmi che li avevano trovati tutti e due, più Scrugli». La richiesta del pm di acquisire parte dei verbali di Comito è stata respinta dalla Corte, ma ora si sa che c’è un nuovo pentito che può offrire agli inquirenti nuovi spunti investigativi sulla ‘ndrangheta vibonese.
x
x