CATANZARO «Una scossa all’economia con un decisivo cambio di rotta rispetto al passato e l’avvio di un vero e proprio “Piano per lo sviluppo” che veda coinvolti tutti: attori istituzionali, parti sociali e mondo delle imprese». Silvano Barbalace, 42 anni, da cinque anni alla guida di Confartigianato Imprese Calabria, ha una sua idea precisa per imprimere quella che definisce una «svolta» alla politica economica regionale che finora è mancata e far uscire così la Calabria dalla marginalità in cui è precipitata. Con una laurea in Giurisprudenza e un titolo di avvocato in tasca, Barbalace ama però definirsi innanzitutto «figlio di un artigiano». Ed in effetti da 12 anni lavora all’interno della principale associazione che rappresenta la miriade di «imprese a valore artigiano», come preferisce descrivere quanti lavorano nel variegato mondo dell’artigianato calabrese. Caratterizzato non solo e soltanto dai canoni della «tradizione», ma soprattutto sinonimo di quelle imprese che stanno andando nella direzione dell’innovazione. Ed in questo senso il segretario regionale di Confartigianato rappresenta un osservatore speciale del malessere che pervade l’intero sistema produttivo calabrese.
I dati economici indicano che la Calabria non è ancora uscita dal baratro della recessione. Anzi dalle ultime rilevazioni emerge che è l’unica regione a segnare passi indietro: con un Pil in decrescita. Come se ne esce?
«È tempo di avviare un concreto cambiamento, una svolta, per ripensare al futuro economico, sociale e politico di questa Regione con quella fiducia che certamente le sterili lotte politiche finalizzate alla raccolta del consenso elettorale non sono state in grado di assicurare in questi anni. Un cambio di rotta che veda coinvolti Governo e Regione, Parti economiche e sociali, amministratori locali e apparati burocratici, con la reciproca e rispettiva assunzione di responsabilità volta alla comune condivisione di un vero e concreto “Piano per lo sviluppo”, che possa finalmente avviare virtuosi processi per la risoluzione delle tante ataviche problematiche di questa nostra amata terra, focalizzato su precisi obiettivi strategici: occupazione produttiva, crescita delle imprese, infrastrutture per lo sviluppo dei settori economici vitali della Calabria. Il punto di partenza per il rilancio della Calabria non può che essere una seria politica economica volta alla promozione dei fattori “chiave” per incrementare la competitività delle nostre imprese, l’innovazione e gli investimenti e che individui per ciascun settore produttivo le misure necessarie per lo sviluppo, gli ambiti prioritari di intervento, gli strumenti finanziari e le risorse disponibili. Il “Piano per lo sviluppo” deve puntare a far crescere le imprese in una logica di superamento delle vecchie politiche, insensibili alle reali esigenze di sviluppo del territorio. Deve avvicinare la dotazione infrastrutturale della Regione alla media del Paese, favorendo in tal modo ancor di più l’apertura ai mercati ed all’internazionalizzazione delle Pmi, che oggi mostra significativi ed incoraggianti segnali in alcuni comparti, ma che necessita di una spinta maggiore per accrescere la propria quota di export. Ma soprattutto la Regione deve diventare un interlocutore efficiente, dotato di burocrazie snelle e professionali, operante con procedure trasparenti e semplificate. Tutto ciò deve essere fatto in una logica di condivisione e partecipazione con gli attori economici e sociali della nostra regione avendo il coraggio di distinguere tra chi rappresenta interessi collettivi – come nel nostro caso, di migliaia di imprese – e chi rappresenta interessi particolari senza reale seguito. Occorre avere passione, coraggio, responsabilità e lungimiranza».
C’è in atto una sorta di emorragia delle imprese artigiane in Calabria. Perché sono sempre più le aziende che chiudono i battenti?
«È vero, purtroppo l’artigianato registra una costante flessione del numero di imprese iscritte. Negli ultimi dieci anni abbiamo assistito ad una perdita di quasi 6.000 imprese. E quando chiude un’impresa artigiana, questa porta con se una storia, una tradizione, una cultura del saper fare e del ben fatto che non è semplice e facile riuscire a sostituire. Il motivo? Semplice: scarsa attenzione delle istituzioni verso il comparto. Il lavoro artigiano è una delle cifre della cultura e dell’economia italiana; se si tornasse a scommettere su di esso, contaminandolo con i “nuovi saperi” tecnologici e aprendolo alla globalizzazione, l’Italia e la Calabria si ritroverebbero tra le mani un formidabile strumento di crescita e innovazione. Come dimostrano alcune delle più dinamiche imprese italiane (da Geox a Zamperla, da Gucci a Valcucine) il “saper fare” rimane un ingrediente indispensabile per l’intero manifatturiero italiano, che, alla fine, è uno dei pochi settori vitali della nostra economia. Pensiamo, ad esempio alle attività artistiche del settore artigianale: in forma tradizionale o innovativa, a queste si rivolge l’interesse di molti soggetti, giovani ma anche non giovani, svantaggiati, con competenze non sempre supportate da percorsi scolastici, che non trovano interlocutori disponibili con cui dialogare né si sentono adeguatamente supportati ad affrontare le sfide future. Ecco che i giovani scappano. Non a caso Confartigianato ha presentato un documento programmatico ai candidati presidenti nelle recenti elezioni regionali che abbiamo voluto chiamare “crescita a valore artigiano” in cui abbiamo esplicitato 7 temi chiave e che pone al centro il “valore artigiano”, quell’insieme di valori storici, tutt’oggi attuali, ai quali ci ispiriamo, che ci consentono di rappresentare gli interessi generali del ceto medio produttivo e di intere comunità e società locali nel difficile percorso per affrontare in modo solidale le sfide della modernità. Un valore artigiano che oggi si confronta con due grandi driver di cambiamento: globalizzazione dei mercati e tecnologie digitali. Due driver che non mettono fuori uso l’artigianato “tradizionale”, ma lo abilitano ad essere protagonista del futuro. Ma tutto ciò deve essere accompagnato e sostenuto soprattutto guardando alle nuove generazioni».
C’è un problema anche di ricambio generazionale nel settore. Quale potrebbe essere una misura utile per facilitare il passaggio?
«Investire su apprendistato, formazione e prevedere degli incentivi economici per sostenerne il passaggio generazionale. L’apprendistato, che altrove funziona, è una grande opportunità offerta ai giovani di poter entrare in azienda ed essere formati per il tempo necessario. Una misura purtroppo poco sfruttata nella nostra regione. Dal 2012 non vi è da parte della Regione alcun incentivo all’utilizzo di questo straordinario strumento che soprattutto nell’artigianato, in quello tipico e tradizionale, consentirebbe ai giovani di poter acquisire quelle conoscenze necessarie con le dovute tutele. I recenti dati del nostro centro studi nazionali rilevano come il numero di assunzioni complessive in apprendistato su scala nazionale nel 2018 degli under 30 (302.937, in aumento rispetto all’anno precedente) siano state superiori alle assunzioni a tempo indeterminato (280.226). Purtroppo in Calabria, nella classifica nazionale, su 100 rapporti di lavoro attivati, solo 8.7 sono relativi ad apprendisti, con una flessione di 1.7 punti percentuali rispetto al 2017. Ovviamente ciò deve essere sostenuto con degli incentivi economici che agevolino il passaggio generazionale e sostengano i processi di crescita e formazione degli imprenditori che devono essere messi in grado di cogliere le opportunità legate alla globalizzazione e digitalizzazione dei mercati e devono poter disporre degli strumenti opportuni per essere in grado di competere non solo sul mercato nazionale, ma ancor di più su quello internazionale. Abbiamo idee e progetti da mettere in campo. Servono solo gli interlocutori giusti».
Quali sono i principali limiti che incontrano le imprese artigiane nel fare attività in Calabria?
«A me piace parlare di imprese a valore artigiano e con questo ci riferiamo a quelle imprese che esprimono i valori tradizionali di cui parlavo prima e che hanno qualità nel prodotto e/o nel servizio erogato, a prescindere dalla dimensione aziendale o del settore di appartenenza. L’artigianato potrebbe essere riduttivo nella individuazione delle imprese che appartengono a questo settore e che rappresentiamo come organizzazione. I limiti che incontrano queste imprese e che abbiamo anche evidenziato nel nostro documento programmatico “crescita a valore artigiano” sono legati prioritariamente all’accesso al credito che riserva alle nostre imprese condizioni differenti rispetto a quelle del Centro nord e soprattutto alle medie e grandi imprese. Poi c’è la difficoltà nell’individuazione di personale qualificato e dunque alla necessità di formazione che sia più attinente alle reali necessità aziendali e alle richieste del mercato. Così come la mancanza di accompagnamento e sostegno all’export che non sia ridotto alla semplice partecipazione alle manifestazioni fieristiche ma che punti ad una reale programma di crescita consapevole che metta in rete le imprese. Vi è anche una burocrazia asfissiante non solo in termini di adempimenti richiesti, ma soprattutto per la lentezza della macchina amministrativa che spesso rende vani i potenziali effetti positivi delle azioni messe in campo. Su tutto, però, è necessario che nella definizione degli strumenti utili alla crescita del tessuto produttivo, si ritorni a “Pensare al piccolo”, promuovendo la crescita delle Pmi e artigiane, creando le migliori condizioni di contesto per risolvere appunto i nodi che ne ostacolano lo sviluppo».
Si parla tanto di difficoltà di accesso al credito. Eppure gli ultimi dati di Bankitalia dimostrano che c’è stato un netto miglioramento nella disponibilità del sistema creditizio a garantire liquidità rispetto agli anni più bui della recessione. Perché però gli investimenti da parte delle imprese in Calabria non sono ripartiti?
«La questione dell’accesso al credito è uno dei 7 temi che abbiamo proposto nel programma crescita a valore artigiano. Sicuramente rispetto agli anni della crisi vi è stato un miglioramento, ma che non ha coinvolto né interessato la maggioranza delle imprese calabresi. Le cito solo qualche dato. In Calabria, a marzo 2019, secondo una ricerca del Centro Studi di Confartigianato, rispetto al precedente anno si è registrata una riduzione dei prestiti alle imprese dello 0,5%, con i prestiti al comparto artigiano che rappresentano solo il 7% del totale dei prestiti alle imprese. Con riguardo proprio al comparto artigiano, a marzo del 2019, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, si è registrata una flessione di 15,6 punti percentuali, con un tasso di interesse maggiore rispetto a quello delle medie grandi imprese e del resto dell’Italia. Sono ampie le differenziazioni a livello territoriale ed i tassi più alti sono quelli delle regioni del Mezzogiorno: la Calabria con il 7,05%. Pensi che a Crotone un’impresa paga il tasso di interesse più che doppio (+435 punti base) rispetto a quello di Mantova. Se tutto ciò viene relazionato alle dimensioni del nostro tessuto imprenditoriale che è rappresentato per il 99,8% da micro e piccole imprese, ben si intuisce come in Calabria il problema del credito c’è e non è stato affrontato nei modi dovuti».
Per valutare con efficienza lo stato di salute dell’economia calabrese e offrire soluzioni si sente la necessità di un osservatorio con dati aggiornati. È un’esigenza che come organizzazione avvertite?
«Assolutamente si. Proprio per questo stiamo lavorando da qualche mese all’idea di istituire un osservatorio regionale della Confartigianato imprese Calabria che, in rete con il centro studi nazionale e con gli osservatori delle altre Confartigianato regionali, ci consente di poter avere una fotografia ed una analisi dei dati del sistema economico e produttivo della nostra regione, ma soprattutto di poterli comparare con quello delle altre realtà. Nel mese di febbraio dovremmo partire con questo interessante progetto».
Si sta per insediare il nuovo governo regionale. Quali solo le prime tre cose che chiedereste per far ripartire l’economia calabrese?
«Il programma cui le accennavo prima prevede una proposta articolata su 7 temi per noi chiave. Premesso che tutti quelli proposti sono prioritari, dovendo concentrare l’attenzione solo su tre, ritengo necessario un intervento forte sulla burocrazia che porti la regione ad essere snella, efficiente e trasparente e poi si metta in campo un serio programma condiviso sullo sviluppo delle aree interne e sul turismo e che siano integrati con l’artigianato e la cultura. Lo dicevo nella parte iniziale di questa intervista, occorre ripartire dai fattori chiave della nostra regione, dalle eccellenze e dalle risorse che esprimiamo, per valorizzarle e renderle produttive. Occorre, lo ripeto, coraggio, responsabilità e lungimiranza». (r.desanto@corrierecal.it)
x
x