REGGIO CALABRIA «Vi ringrazio perché vi siete presi cura di mia figlia». A pronunciare queste parole un boss rinchiuso in regime di 41 bis. Una frase che apre una breccia, la testimonianza viva di un padre, prima che boss, la cui figlia è stata inserita nel progetto “Liberi di scegliere” e portata lontano dal contesto di ‘ndrangheta.
«Questa frase sintetizza meglio di ogni altra parola il senso del messaggio “Uscire dalla ndrangheta è possibile” che Centro Comunitario Agape e associazione Libera hanno voluto portare attraverso una serie di iniziative realizzate in luoghi simbolo del territorio reggino, oltre il carcere di Palmi, il quartiere di Archi, il carcere minorile, quattro scuole della città di Reggio aderenti alla rete delle Alleanze Educative, il Piria, il Volta, il Fermi Boccioni, il Panella. Sono stati circa 600 gli studenti coinvolti, una trentina i minori delle comunità incontrate, un centinaio gli educatori e le famiglie dell’Agesci di Archi carmine», scrive Mario Nasone, presidente del centro Agape.
LE TESTIMONIANZE L’evento realizzato nell’istituto penitenziario di Palmi era il quarto dopo quelli tenuti lo scorso anno nelle carceri di Reggio, Locri, Vibo e si è caratterizzato per la presenza di due significativi testimoni: Giosuè D’Agostino, seguito negli anni ’80 da Don Italo Calabrò e da Agape nel percorso di riscatto che lo ha portato dal carcere minorile alla rottura con il clan di ’ndrangheta a cui apparteneva a vivere una vita diversa nel segno della legalità. Rivolgendosi ai detenuti ha chiesto di abbandonare gli alibi sulle responsabilità dello Stato o di altri e di decidere come ha fatto lui di «scegliere una vita che ti dà dignità, che ti evita di passare la vita da una carcerazione all’altra o addirittura di perderla». Insieme ad lui Vincenzo Chindamo, fratello di Maria sequestrata ed uccisa a Limbadi che ha detto che «questa è stata un’occasione per dare voce, davanti ai detenuti dell’alta sicurezza, alle tante vittime della ’ndrangheta ma anche a chi è riuscito a uscirne facendo scelte coraggiose e a invertire un destino mafioso che sembrava inevitabile». I detenuti che hanno preso parte all’incontro si erano preparati guardando film “Liberi di scegliere” – tratto dalla storia vera del giudice Roberto Di Bella, responsabile del Tribunale dei Minori di Reggio Calabria e del suo progetto – e avevano anche avuto un incontro con Mimmo Nasone di Libera. «Hanno ascoltato con attenzione e rispetto ogni testimonianza e attraverso i loro interventi hanno dimostrato di essere disponibili ad avviare un dialogo con le istituzioni e con gli altri soggetti della società civile soprattutto per i riflessi che questo può avere sulla loro famiglia e sui figli», spiega Nasone.
TUTELA PER I FIGLI E PROCESSI VELOCI I detenuti hanno dato atto al Tribunale per i minorenni della volontà di tutelare i loro figli, ma hanno anche chiesto un servizio giustizia e dei processi più veloci e, soprattutto, opportunità concrete per chi ha sincera volontà di cambiare vita e di inserirsi nella società. Il giudice minorile Sebastiano Finocchiaro – ribadita l’importanza del programma “Liberi di scegliere” – l’incontro è stata un’occasione di confronto e dialogo con soggetti direttamente coinvolti nelle peculiari vicende attenzionate dal Tribunale dei minori nell’ambito dei procedimenti civili afferenti la tutela di minori provenienti da contesti familiari di ‘ndrangheta. Oltre ad un momento di certo arricchimento umano e culturale, a suo parere tali occasioni possono offrire spunti per la personale revisione critica del pregresso operato da parte del condannato anche sotto il profilo del percorso genitoriale nell’ottica del perseguimento della risocializzazione e del proficuo reinserimento nella comunità civile. Anche per Vincenzo Chindamo «i detenuti hanno necessità di confronti qualificati, affinché dalle loro esperienze possa nascere la forza di conversione della nostra terra. I detenuti e le loro famiglie sono le prime vittime dei loro errori. È necessario accendere in loro la consapevolezza di chi e di cosa li ha resi vittime di un sistema e illuminare la strada di scelte coraggiose che li riscattino. Uscire dalla criminalità è prestigioso. Fa strada al cammino difficile ma possibile che i nostri territori stanno affrontando donando orgoglio e speranza alla nascita di una nuova Calabria. Una Calabria Libera». Contributi importanti sono venuti dal provveditore regionale della amministrazione penitenziaria Liberato Guerriero che ritiene fondamentale la funzione educativa che il carcere deve svolgere attraverso anche queste iniziative. Agostino Siviglia, Garante regionale dei detenuti, si impegnerà anche per favorire esperienze di giustizia riparativa e di incontro con le vittime dei reati. Il procuratore aggiunto della Procura di palmi Giuseppe Casciaro ha chiesto ai detenuti di riflettere sul significato del «volere bene ai figli che è diverso dal volere il loro bene» ma ha anche espresso rammarico per tutti quei casi in cui la giustizia è lenta o peggio ancora quando lascia un innocente in carcere anche per un solo giorno. Il direttore del carcere Antonio Galati nelle conclusioni ha evidenziato in particolare la sofferenza che nota ogni volta che i bambini entrano in carcere per i colloqui e che interpella le coscienze di tutti, in primis dei loro genitori detenuti che hanno la maggiore responsabilità. Apprezzamenti anche della dirigente nazionale della Giustizia minorile Isabella Mastropasqua che ha sottolineato la grande valenza educativa di fare ascoltare ai ragazzi delle comunità l’esperienza di chi ce l’ha fatta ad uscire dalla ’ndrangheta.
Secondo Mario Nasone del centro Agape e Don Ennio Stamile, referente regionale di Libera, i tempi siano maturi per entrare come Magistratura e associazionismo in modo ancora più massiccio e costante nelle sezioni di alta sicurezza delle carceri per dialogare con i detenuti, per aiutarli a fare una revisione critica della loro vita dissociandosi dalle loro appartenenze criminali, per pensare assieme a loro come favorire l’attuazione del progetto “Liberi di scegliere” lasciando ai figli la possibilità di fare esperienze in contesti sociali diversi sia fuori della Calabria ma anche rimanendo nel territorio. Ricordando l’insegnamento di Don Italo Calabrò che chiedeva ai mafiosi «se non potete uscirne voi, fate almeno in modo che i vostri figli non vi entrino».
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