di Francesco Donnici
REGGIO CALABRIA Negli atti d’indagine dell’operazione “Eyphemos”, eseguita nei confronti della locale di ‘ndrangheta di Santa Eufemia d’Aspromonte, – che ha visto coinvolti anche il neo consigliere regionale eletto, Domenico Creazzo e il senatore in quota Fratelli d’Italia, Marco Siclari – vengono ricostruiti una serie di incontri e riunioni tra gli associati finalizzati a definire i ruoli all’interno della cosca e le attività criminali da svolgersi sul territorio. Da alcuni di questi emerge l a forte avversione dei sodali verso gli inquirenti e le forze dell’ordine.
Spunti interessanti sono offerti dalla cena tenutasi a casa di Domenico Laurendi il 9 agosto 2018 alla quale prese parte «il suo fidato sodale», Giuseppe Speranza, insieme alla famiglia.
Una “comune” cena, alternata tra le note di tormentoni del calibro di «Despacito» e intenti omicidi nei confronti del Maresciallo dei carabinieri, Andrea Marino.
E proprio Speranza – si legge nella trascrizione delle intercettazioni ambientali – «manifestava il suo odio verso i componenti delle Forze dell’Ordine e narrava di un diverbio avuto con la nonna della moglie che aveva espresso la sua ammirazione verso gli appartenenti all’Arma, avendo tra l’altro nipoti arruolati». Un diverbio accesosi dopo l’espressione utilizzata da Speranza: «(Andrebbero) messi in una camera a gas tutti gli sbirri!». Sempre in quell’occasione, racconta di aver intimato a quella «cazza di vecchia» di non esprimere più ammirazione verso gli appartenenti alle Forze Armate di fronte a suo figlio «che delinquente deve uscire. E non sbirro».
Dalle parole di Speranza emerge un forte disprezzo per le forze dell’ordine, ma anche per la magistratura requirente, formata – secondo Laurendi – dai meno preparati e studiosi «tra quelli che partecipano ai concorsi»: «La Magistratura…quelli che erano i più scarsi nella scuola…quelli che non avevano raccomandazione…quelli che erano storti…li mandavano a fare il Pubblico Ministero!», mentre invece quelli della Dda erano «i più brutti», secondo la Procura da intendersi come «i più rigidi».
Intorno alla mezzanotte circa, la moglie di Laurendi, Grazia Orfeo, nota passare in strada il Maresciallo Andrea Marino, personaggio inviso e spauracchio del clan, all’epoca Comandante della stazione dei carabinieri di Scilla e, prima di allora, di quelle di Sinopoli e Oppido Mamertina.
Proprio in quella circostanza è la stessa Orfeo, alla vista del Maresciallo, a suggerire di prendere la carabina. «Prendila che a lui gli meno», incalza Speranza incentivato dalla reazione di Laurendi – «la carabina è qua dentro, se vuoi buttargli un paio» – che dalla ricostruzione non sembrava essersi accorto che lo stesso Marino si trovasse proprio in quel momento sotto casa sua.
Il discorso verte così proprio sul maresciallo, che nel frattempo si è allontanato, seguito dallo sguardo vigile di Speranza. Il seme dell’odio, tra le varie, sarebbe da individuarsi nel “blocco” della processione di Oppido Mamertina del 2 maggio 2014 operato proprio dal militare.
Marino, in segno di protesta, abbandonò la processione dopo essersi accorto che chi portava la statua «ebbe a fare un inchino sotto l’abitazione del boss Giuseppe Mezzagatti, all’epoca in stato di detenzione domiciliare».
Un gesto vergognoso da parte del Maresciallo che non aveva avuto rispetto di quell’osservanza cara ai clan e – a quanto pare – tollerata dalla comunità. Non da Andrea Marino, che da allora si era guadagnato il loro disprezzo. (redazione@corrierecal.it)
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