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Liberazione, la testimonianza della “resistente” Lorenza: «Uniti contro l’odio»

La straordinaria storia di una donna figlia e nipote di partigiani a Reggio Emilia e poi arrivata in Calabria: oggi è un punto di riferimento per tanti a Catanzaro

Pubblicato il: 25/04/2020 – 12:04
Liberazione, la testimonianza della “resistente” Lorenza: «Uniti contro l’odio»

CATANZARO  «Ho ricordi davvero dolorosi, che ancora mi tormentano perché non vanno via, proprio non vanno via». Lorenza Rozzi è una storia esemplare sotto tanti aspetti: bambina ai tempi delle rappresaglie naziste, figlia e nipote di partigiani dell’Emilia Romagna, oggi, ormai ultraottantenne, è una splendida signora che vive a Catanzaro dove si è fermata negli anni ’60 dopo intense esperienze in mezza Europa. In Calabria Lorenza ha trovato un grande amore – lo stimato medico Riccardo Spinoso, che oggi non c’è più – e ha lasciato segni concreti e tangibili della sua opera, come l’avvio della prima scuola di formazione per infermieri a Catanzaro. Un punto di riferimento per intere generazioni di catanzaresi, una “resistente” a tanti livelli, Lorenza Rozzi, che non a caso fa parte del Comitato d’onore dell’Anpi di Catanzaro: per lei, questo 25 aprile che cade nel pieno di una drammatica emergenza sanitaria ha un sapore davvero speciale, perché in questa giornata si intrecciano i ricordi di un’infanzia passata nell’hinterland di Reggio Emilia tra la paura della violenza dei nazisti e la forza degli insegnamenti della sua famiglia e i suoi ricordi professionali nelle corsie degli ospedali della Calabria. «Ma non la vivo come una guerra, per carità non la vediamo così», dice subito Lorenza Rozzi in una conversazione con Mario Vallone, presidente dell’Anpi di Catanzaro. «Per me – prosegue – si tratta di qualcosa di davvero misterioso, arcano, incomprensibile, che ci costringe a riflettere sulla nostra modernità. Mi convince un po’ la lettura di un messaggio della natura che chiede e quasi pretende rispetto all’umanità». Lorenza confida di sentirsi «davvero impotente, trovo questa epidemia e le conseguenze che sta producendo sconvolgente e drammatica. Nella mia vita ho fatto l’infermiera, mi commuovo pensando agli sforzi dei miei colleghi e di tutti i medici, non ho paura per me ma davvero non riesco a capire fino a quando si trascinerà e cosa ci insegnerà. Però, non la vivo come una guerra, questo no». Del resto, Lorenza Rozzi – figlia di un partigiano e nipote di partigiani, tra cui zia Regina, «nobile e contadina, coraggiosissima, era staffetta oltre le linee delle montagne» – la guerra, quella vera, l’ha vista e vissuta in prima persona. Riannoda il filo dei ricordi, ritornando a quand’era bambina: «Quando vedevamo i tedeschi arrivare – rammenta – ci mettevamo sotto il tavolo insieme a una mia amichetta e a mia madre che pregava, e noi che pregavamo con lei». Lorenza racconta ancora: «Anche a noi bambini i tedeschi ci mettevano contro un muro con le mani dietro la testa, ricordo una sparatoria con i miei parenti che scappavano e alla fine della sparatoria il corteo dei tedeschi con i prigionieri, di alcuni non ho mai saputo la sorte. E mi ricordo anche di un’altra mia zia, zia Gina, moglie di un fratello di mia madre, che le voleva un gran bene: proveniva da una famiglia di fascisti, a un certo punto iniziò a chiedere a mia madre notizie dei suoi fratelli partigiani e mia madre sospettava fosse una spia: alla fine la zia venne uccisa dai partigiani, e mio zio non ha mai perdonato i partigiani». Ci sono tutte queste storie, nella vita di Lorenza Rozzi, che infatti confida: «Di quei giorni ho ricordi davvero dolorosi, li sto rivivendo anche in queste ore perché sono cose che mi tormentano, non vanno via, proprio non vanno via». Ma da quelle terribili esperienze Lorenza ha tratto la forza per abbattere confini e barriere, non solo culturali ma anche sociali: a 17 anni era in Svizzera, poi tre anni a Roma, poi Parigi e quindi la Calabria, che Lorenza ha amato e ama alla follia, ricambiata. Oggi in tanti fanno riferimento a questa ultraottantenne ultramoderna, che ha il cuore e la mente di una ragazzina. E che, in questi tempi drammatici, lancia un accorato appello: «Mi sento molto vicina al Papa, che dice che davanti a una cosa così grande non si possono far prevalere interessi particolari. Noto – conclude Lorenza Rozzi – una politica che non cambia, resto allibita davanti a parole come quelle di Feltri, vedo che in giro c’è tanto, troppo odio. Ma non ci dev’essere odio. Bisogna essere uniti per superare questa fase». (Agi)

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