Clan in festa per il boss guarito. Le liturgie della ‘ndrangheta “conquistano” Verona
L’ospedale trasformato in centro direzionale della cosca. Le visite dei mafiosi da tutta la Padania ad Antonio Giardino. Il ritorno a casa con l’acclamazione dal balcone. I tatuaggi simbolici. Così g…
Pubblicato il: 07/06/2020 – 7:40
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di Pablo Petrasso CROTONE Le liturgie non cambiano, a Verona come nel profondo Sud. E, se il capoclan torna dall’ospedale dopo settimane, si festeggia. Possibilmente in maniera chiassosa. Perché tutti sappiano e si comportino di conseguenza. Il clan Arena da Isola Capo Rizzuto ha messo radici nel Nord Est. Tanto profonde da esportare simboli e comportamenti. Antonio Giardino “il grande” è una delle figure di garanzia che la ‘ndrangheta utilizza per tenere unite le cosche. Ricompone gli screzi, dà buoni consigli (per quanto possano essere buoni i consigli di un presunto criminale), guida il gruppo con “saggezza”. Per la Dda di Venezia è «sicuramente un capo indiscusso, anche se si tratta di un astro al tramonto». Questo per via di un lungo ricovero «che ne ha minato i poteri» e ha lasciato spazio ai sodali, «pronti a non farsi sfuggire l’occasione di invadere settori destinati a produrre cospicui profitti illeciti».
La processione in ospedale
L’ospedale di Negrar
Giardino è un capo indebolito dalla malattia, ma il “trono” è suo, non ci sono dubbi. E lo dimostra anche il fatto che la centrale operativa della ‘ndrina veronese, durante il suo ricovero, si fosse trasferita in una camera dell’ospedale di Negrar per pianificare le proprie attività e continuare ad “avvelenare” il territorio. Come per ogni capo che si rispetti, quando si sparge la voce che “il grande” sta male, «per tutto l’arco del pomeriggio», molte persone affluiscono «nei pressi del cortile interno o nei pressi dell’entrata dell’ospedale in attesa di notizie sulle sue condizioni di salute». Una «vera e propria processione – appuntano gli inquirenti – che costituiva un segno tangibile del rispetto dovuto dai sodali al loro capo». Ci sono tutti i tasselli più importanti del clan. Giardino non resta mai solo, i conoscenti si avvicendano al suo capezzale, come si usa fare con i boss.
La festa per la guarigione
Il rango criminale di Giardino, però, si svela ancor di più in occasione della «festa con la quale la comunità calabrese residente nel Veneto» celebra il rientro del boss a casa, «festa che si è trasformata in un vero e proprio tributo al capo della consorteria, celebrazione caratterizzata da una spiccata ostentazione, come forma di riaffermazione del potere e che può definirsi espressione tipica dell’agire mafioso, atteso il particolare valore simbolico attribuito da costoro alle liturgie».
A colpire i magistrati non è tanto la celebrazione per il ritorno a casa di un familiare guarito, quanto «lo sfoggio nei festeggiamenti che — come documentato anche fotograficamente — si è tradotto anche in un’uscita sul balcone di Antonio Giardino, circondato dai suoi sodali, a salutare le persone che erano andate a omaggiarlo». La palazzina in cui abita il boss non è sfarzosa, il piccolo balconcino al primo piano è un palco stretto ma utile allo scopo: acclamare il capo come un eroe.
Mafia padana in visita
Per restare ai simboli, i magistrati sottolineano la diffusione, ancora da parte di Totareddu Giardino «delle proprie fotografie che lo ritraggono a torso nudo, dove è ben visibile il tatuaggio di una “rosa con le spine”, che i pentiti, tra cui Angelo Salvatore Cortese, hanno indicato come simbolo inequivocabile di affiliazione alla ‘ndrangheta». Che di simboli si nutre e sui simboli prospera.
Anche da un letto d’ospedale, il boss impartisce ordini e direttive. Esercita il proprio potere, minaccia punizioni verso gli affiliati. E riceve le visite «di soggetti crotonesi, cutresi o papaniciari, come appunto ha plasticamente dimostrato anche la processione delle persone giunte al suo capezzale, per portare il saluto di capi, adepti o favoreggiatori della consorteria di ‘ndrangheta da diverse province della pianura padana».
«Totò è una “perla”»
Sua cugina confida a Ottavio Lumastro, uno dei presunti sodali del clan, il proprio stato di tensione per la malattia «dell’unica persona in grado di reggere le redini della famiglia». «Totò – dice – è la colonna dei Giardino hai capito? Perché ci veniva a mancare il punto di riferimento. Perché il papà si è sempre sfogato con lui, ha sempre dato un consiglio per qualsiasi problema è stato chiamato lui per liti, per le discoteche, non discoteche, guai e non guai di casa mia; papà e mamma hanno sempre chiamato Totareddu. Se fosse mancato lui sarebbe mancata la perla, il perno il perno della famiglia». Una “perla” «capace di risolvere ogni tipo di controversia e pronto a dare a tutti un buon consiglio». (p.petrasso@corrierecal.it)