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«Mi ha guidato Gioele». Il racconto dell'ex carabiniere calabrese che ha ritrovato i resti del piccolo
Giuseppe Di Bello, l’uomo che ha ritrovato i corpi del piccolo le cui ricerche andavano avanti da due settimane, è originario di Verbicaro, comune in provincia di Cosenza. «Ho cercato dove gli altri…
Pubblicato il: 21/08/2020 – 15:47
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COSENZA I resti del piccolo Gioele Mondello sono stati ritrovati dall’ex brigadiere dell’arma dei carabinieri Giuseppe Di Bello che, come riportato dal Corriere della Sera, è originario di Verbicaro comune in provincia di Cosenza. Di Bello è il 55enne che attraverso il suo intuito è riuscito a mettere fine alle ricerche che duravano da settimane. Non c’è stata solo l’astuzia di cercare dove gli altri non avevano cercato o la profonda conoscenza dei boschi vista la passione per l’ex brigadiere per la caccia e la ricerca dei funghi, ma anche una guida “spirituale”.«Avevo un magone dentro di me e seguivo le notizie ogni giorno – ha raccontato Giuseppe Di Bello -. E’ stato Gioele a guidare i miei passi. Nonostante non sia cattolico ho pregato il Signore che mi guidasse a trovare il corpo di quel povero bimbo. Sono un padre e un nonno, posso solo immaginare che cosa si provi in situazioni del genere». Il racconto dell’uomo che ha messo fine alle strazianti ricerche è ricco di dettagli. «Quella zona del ritrovamento, più lato Palermo, la conosco perché vado spesso a funghi – ha raccontato al Corriere – con la montagna ho un rapporto d’amore, ma non conoscevo a fondo quella parte dove ho trovato Gioele». A convincere l’ex carabiniere ad unirsi al gruppo di ricerche è stata sua moglie che lo vedeva molto sofferente nel seguire il tam tam di notizie che giungevano dalla montagna. «Ho iniziato a immaginare come la vedesse un bimbo di 4 anni – ha continuato nel suo racconto Di Bello – è rimasto solo lì, poi si è allontanato pian pianino da dove hanno trovato la madre. Di notte non vedendo delle luci dal lato di Palermo, la luna, o le luci di Caronia Marina, si è diretto verso il mare. Così ho camminato per un’ora circa finché mi sono imbattuto in un forte odore. Ma non vedevo nulla. Ho fatto su e giù quel pezzo di bosco, ma non mi rendevo ancora conto da dove provenisse quel lezzo. Non mi sono dato pace. Poi finalmente ho capito che quell’odore giungeva proprio dai paraggi. Ho iniziato ad alzare la macchia di rovi che copriva il terreno con il mio falcetto che uso quando vado a funghi e li ho scoperto i resti». Di Bello ha una sua idea sulle circostanze che hanno portato il corpo del bimbo di quattro anni ad essere ridotto in quello stato. Da una parte c’è la selvaggina dall’altro anche che la zona viene usata anche per abbandonare maiali neri. «Mi avevano detto che non c’erano. Io li ho visti liberi. Non sono pericolosi, ma se c’è una scrofa o un verro di quelli più grossi che si sente in pericolo e si trova il passaggio ostruito da un essere umano, ti aggredisce. Poi ci sono anche i cani, le volpi e altri animali nel bosco. Io mi sono infilato dove gli altri non si sono infilati per paura dei non sapere più come tornare o di strapparsi divisa o vesti».
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