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«Chi si occupa dell’età di mezzo?»
di Francesco Siciliano*
Pubblicato il: 05/01/2021 – 16:25
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Ci risiamo. È ripartita la contesa tra le fazioni: chi apre, chi chiude. La scuola in presenza, la Dad, i bar, i ristoranti e via di seguito. Stupisce, tuttavia, che nella lotta ci sia sempre un interesse e diritto primario rispetto ad un altro: per alcuni le attività economiche, per altri il principio di cautela e la salute.
Il dibattito sarebbe stucchevole e sterile, se non fosse che ne dipendono, ahinoi, i destini di molti e il futuro delle generazioni. Non è facile prendere una posizione, visto che ognuno vede il mondo che lo circonda dal buco della propria serratura. In tanti affermano che rinunciare alla scuola in presenza significa privare i ragazzi del diritto all’istruzione e degli gli anni più belli della loro vita, oggi priva di socialità, alimentando la sindrome della capanna. Nessuno dice, tuttavia, quanto questa sindrome possa colpire e colpisca l’età di mezzo, celebrata da Dante all’inizio della Divina Commedia.
Proprio l’età di mezzo, cioè di chi, come me, si muove in questa stagione dell’esistenza, prigioniero di due visioni – se ci sono – o riflessioni rivolte agli estremi: la generazione adolescenziale e quella senile. Capisco, da genitore, le possibili distorsioni che può provocare e provoca ai più giovani questa vita sospesa. E da figlio comprendo il terrore e la mancanza di un domani per chi è in età senile.
A parte una breve considerazione sul bullismo istituzionale di personaggi marginali della politica che, se legittimati, finirebbero per sdoganare il ricatto e il la prevaricazione come ammissibili nella convivenza civile, pongo l’attenzione sulla età di mezzo nell’epoca del Covid. Togliere dal dibattitto e dal focus Covid l’età di mezzo, soprattutto quella non garantita, ma il problema tra qualche mese riguarderà anche i garantiti, significa non capire che siamo proprio noi quelli dell’età di mezzo che dobbiamo provare a essere, oggi, la generazione dei fenomeni.
Noi dell’età di mezzo abbiamo il compito di perseverare negli impegni e nel lavoro, in modo da dare un futuro possibile ai nostri figli e una sicurezza ai nostri nonni. Se le scelte politiche dell’immediato e del breve periodo fermeranno le nostre possibilità e speranze, inevitabilmente ci ritroveremo addosso il crollo delle possibilità dei figli e il bastone della vecchiaia per i genitori.
Non si vede davvero tra tutti i signori che ogni giorno tacciano di mancanza di visione chi deve amministrare l’emergenza, quale sia la loro visione del presente e del futuro per garantire chi, con ruoli attivi nel processo economico-sociale, è oggi totalmente nella lotta di sopravvivenza al Covid. Si sentono nani, che si credono narcisisticamente giganti, ripetere vecchi slogan sulle nuove generazioni, sugli investimenti a vantaggio del futuro dei giovani. Possibile che costoro non capiscano che il futuro dipende innanzitutto dalla difesa e dall’aiuto che l’età di mezzo avrà per garantire ai giovani un futuro possibile?
È evidente che fa presa usare parole come «giovani», «visione», «anima». Ma chi si occupa dell’età di mezzo che di colpo si ritrova nel buio fitto della nebbia del Covid? Atteso che è principio consolidato in Italia che il futuro dei giovani dipende dalla famiglia e dalla posizione di partenza della medesima, possibile che nessuno dei geni che hanno visione (o visioni di se stessi) e anima, non veda che se è vero che nel medio periodo il Paese ha bisogno di progetti next generation, allo stesso modo, nell’immediato e nel breve, servono i sussidi e gli aiuti per sorreggere l’età di mezzo che è attualmente ferma in mezzo al percorso? Possibile che nessuno pensi proprio all’età di mezzo, che è contemporaneamente disperata (forse) per una vita buttata e (forse) per essere diventata impotente per continuare ad aiutare le nuove generazioni, a parte i next generation plans? Non c’è la statura per avere un clima, nel rispetto dei ruoli, da Cln?
Mancano molti interpreti poiché il palco è occupato da retaggi pesanti del passato e da giovani-vecchi che dicono di avere una visione che è forse soprattutto egoistica e narcisistica. Io non so se davvero ritroveremo la luce, quella luce era speranza di giustizia. «La luce – osservava Pasolini – è sempre uguale ad altra luce. Poi variò: da luce diventò incerta alba, un’alba che cresceva, si allargava sopra i campi friulani, sulle rogge. Illuminava i braccianti che lottavano. Così l’alba nascente fu una luce fuori dall’eternità dello stile. Nella storia la giustizia fu coscienza d’una umana divisione di ricchezza, e la speranza ebbe nuova luce».
*avvocato
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