di Roberto De Santo
REGGIO CALABRIA Il riscatto di una vasta area in preda al declino economico e sociale – accelerato dalla crisi economica innescata dalla diffusione della pandemia – potrebbe passare dal rilancio di un’idea mai tramontata di integrazione territoriale. Un’idea più volte sventolata negli anni e spesso rispolverata incidentalmente ai ciclici dibattiti sull’opportunità di realizzare o meno il Ponte sullo Stretto. Senza centrare, per la verità, il nocciolo della questione: mettere in atto una strategia di ampio respiro per progettare il futuro orientato alla sostenibilità e al rilancio dell’area dello Stretto.
Due città speculari, Reggio Calabria e Messina, che assieme potrebbero rappresentare – nella visione delle twin cities – una delle principali realtà del contesto meridionale. Accrescendo l’efficienza dei servizi – attraverso appunto l’integrazione – e programmando politiche di complementarietà delle potenzialità intrinseche dei due territori (turismo, industria, cultura) si spingerebbe il piede sull’acceleratore appunto del rilancio economico-sociale dell’intera area. Gli esempi nel mondo di percorsi di integrazione tra città gemelle, in questo senso indicano che sia una scelta vantaggiosa per entrambe: Minneapolis e Saint Paul negli Stati Uniti o le due città scandinave di Copenhagen e Malmö. Esempi che dovrebbero portare a riflettere sull’idea che si ha sul futuro delle due grandi realtà nel giorno in cui a Reggio si va al voto per eleggere il Consiglio della Città metropolitana.
I NUMERI DELL’INTEGRAZIONE Uno studio rigoroso e scientifico di questa prospettiva è stato realizzato dai professori Dario Musolino e Luigi Pellegrino, rispettivamente docenti all’Università Bocconi di Milano e all’Università della Valle d’Aosta. Il paper realizzato al termine di questo studio – che prende in esame il tema “Le twin-cities dello Stretto e la prospettiva dell’area integrata” – è apparso sulla Rivista Economica del Mezzogiorno diretta da Riccardo Padovani e pubblicata dalla Svimez. Uno studio che rafforza l’ipotesi di integrazione territoriale quale strada maestra per uscire dalla marginalizzazione in cui sono sprofondate le due città rispetto al resto del Paese.
E i numeri del grande salto di qualità per l’intera area dello Stretto ci sono tutti. A partire dai dati demografici. Prendendo in considerazione, infatti, i soli residenti nei comuni di Reggio Calabria, Villa San Giovanni e Messina, si raggiungerebbe la cospicua cifra di 430mila abitanti. Cioè la terza città più grande del Mezzogiorno per numero di popolazione. Se poi venissero aggiunti anche i cittadini delle rispettive province questa ipotetica realtà sarebbe costituita da una popolazione residente di circa 1,2 milioni di abitanti.
Ma nel lavoro condotto dai due docenti, emerge anche la misura del sistema produttivo che opera in questa area e che se aggregato rappresenterebbe una “potenza di fuoco” notevole.
Secondo i dati dell’ultimo Censimento preso in esame dalla ricerca, al 2011 tra il Reggino e il Messinese operavano quasi 68mila aziende manifatturiere e di servizi con un occupazione pari a circa 167mila persone. Si tratta, rileva la ricerca, di circa il 18% del totale delle imprese manifatturiere e terziarie calabresi e siciliane e circa il 17% del totale degli addetti delle due regioni. Numeri che appunto danno il quadro economico e sociale di cui si sta parlando, ma che se non tradotti in un processo di integrazione strategico dell’intera area restano il risultato di pure somme algebriche senza prospettiva futura.
LE CONTRADDIZIONI: TRA INTEGRAZIONE E COMPETIZIONE Passando poi in rassegna i progetti messi in atto a livello istituzionale per tradurre il progetto di integrazione tra le due realtà emergono grandi difficoltà. Se non vere e proprie contraddizioni che hanno spinto negli anni le due città ad allontanarsi, invece che avvicinarsi. Valutando i dati su flussi pendolari di attraversamento tra le due sponde dello Stretto, emerge infatti che in vent’anni il numero dei pendolari si è quasi dimezzato: dal 1991 al 2011 (periodo valutato dalla ricerca) è diminuito del 45%.
Così come in materia di relazioni economico-produttive. Dalla ricerca emerge infatti che sono bassissimi i casi di proprietà e controllo incrociato delle imprese tra le due sponde dello Stretto. Appena l’1,4% del totale delle aziende sul fronte messinese, e addirittura lo 0,8% da quello reggino. Nonostante la prossimità dei due centri.
Contraddizioni e distanze frutto della mancanza di sinergie e coordinamento istituzionale e che negli anni hanno prodotto addirittura duplicazioni definite «inutili» da parte degli autori del paper. Il caso più eclatante citato è quello dell’Università. Gli Atenei di Messina e della Mediterranea di Reggio Calabria hanno seguito percorsi di concorrenza invece che di sinergia e complementarietà. Così l’Ateneo calabrese ha attivato corsi già presenti nel dirimpettaio messinese: come il caso Giurisprudenza ed Economia. Vale lo stesso nel campo della Sanità.
Ma è soprattutto nel campo dei trasporti che si denota nel tempo la scarsa integrazione tra le due città. Studi portati avanti sull’Area dello Stretto hanno fatto emergere come i servizi marittimi per l’attraversamento «soffrano di una capacità complessivamente insufficiente rispetto alla domanda potenziale». Mentre il traffico di attraversamento merci è frequente e include anche servizi notturni, si evidenzia nello studio, al contrario, i servizi di trasporto passeggeri che collegano i due centri città (il porto di Reggio Calabria e il porto di Messina) rappresentano solo il 13% delle corse totali di attraversamento effettuate tra i vari porti dell’Area dello Stretto. Dunque una barriera infrastrutturale che ha diviso – nonostante la tradizionale e naturale vocazione attrattiva – le due città contigue, con il conseguente allontanamento economico e sociale che finisce per penalizzare entrambe.
IL MURO ISTITUZIONALE Alla base di questo percorso inverso che marginalizza le due realtà contigue, c’è anche la scarsa integrazione istituzionale. Anzi un vero e proprio «muro» come viene definito dallo studio che separa le due regioni, anche per la diversa origine dei governi: a statuto speciale quello siciliano e ordinario quello calabrese. Senza contare che entrambe le realtà sono a loro volta città metropolitane con propri organismi e dunque divergenti interessi da contemplare. Le iniziative politico-istituzionali che pur tuttavia si sono registrati negli ultimi anni (legge regionale siciliana n.8 del 2014, accordo di collaborazione tra Reggio e Messina dell’aprile del 2015 e nel medesimo anno la costituzione ad opera della Regione Calabria della Conferenza permanente interregionale per il coordinamento delle politiche nell’Area dello Stretto) non hanno generato un vero e proprio processo di integrazione delle due città. Che continuano a vivere nel dualismo.
IPOTESI DA PERCORRERE Attraverso lo studio comparato dell’opinione di 55 esperti e osservatori privilegiati, consultati nell’ambito della ricerca, è emerso con forza che «l’integrazione tra le due aree urbane è una strategia auspicabile e positiva» perché «può avere effetti che spaziano dai benefici economici, a quelli sociali e culturali» con ricadute «sull’intera popolazione locale». Secondo gli esperti il progetto di integrazione – che allo stato, dunque, rimane solo «embrionale» e nonostante la mancanza di policy che ha portato ad allontanare le due sponde dello Stretto – potrebbe essere portato avanti puntando ad un percorso a step del processo.
Ad iniziare dall’integrazione trasportistica, cioè l’integrazione modale, fisica e tariffaria come anche il potenziamento dei trasporti urbani e di attraversamento. Una via per uscire dall’impasse attuale e rilanciare la costruzione dell’Area integrata dello Stretto quale grande opzione strategica di rilancio dell’intero territorio. Soprattutto in previsione della piena operatività della Zona economica speciale di Gioia Tauro. (r.desanto@corrierecal.it)
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