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«Il federalismo della (non) salute»

Il Servizio sanitario nazionale si è trovato a fronteggiare l’emergenza Covid che ha stravolto le tradizionali priorità sanitarie e ha imposto interventi urgenti.Per contrastare l’avanzamento del …

Pubblicato il: 11/03/2021 – 17:49
di Alessandro Bevacqua*
«Il federalismo della (non) salute»

Il Servizio sanitario nazionale si è trovato a fronteggiare l’emergenza Covid che ha stravolto le tradizionali priorità sanitarie e ha imposto interventi urgenti.
Per contrastare l’avanzamento del contagio e lo sviluppo dell’infezione sono state impegnate ingenti risorse tramite la legislazione emergenziale. Circa 3,85 miliardi (1,4 miliardi con il D.L. 18/2020, 1,97 miliardi con il D.L. 34/2020 e 0,48 miliardi con il D.L. 104/2020) che rappresentano il 3,3% del Fondo sanitario nazionale (FSN) per il 2020, pari a 116,66 miliardi di euro.
È un modo bastevole per affrontare il Sars-Cov-2? Il conseguente riparto dei finanziamenti tra le Regioni è stato esaustivo o ha dimostrato debolezze discriminanti? I 3,85 miliardi stanziati per il personale, il potenziamento dell’assistenza domiciliare integrata per l’occasione con l’istituzione delle Usca (unità speciali di continuità assistenziale per l’emergenza Covid-19), il reclutamento di immobili per l’isolamento dei pazienti sono risultati sufficienti a soddisfare una domanda naturalmente frenetica, impaurita e disorientata? Sono le domande che si pongono in tanti, in troppi. L’insoddisfazione al riguardo galoppa.
Il federalismo della (non) salute ha dimostrato tutta la sua debolezza, registrando diversità che i cittadini hanno pagato e continuano a pagare sulla loro pelle, evidenziata nelle penose graduatorie che dimostrano tutte le disuguaglianze di trattamento e la non idoneità del sistema ad affrontare e risolvere i problemi pandemici. Federalismo sanitario ha significato infatti prendere atto di un’organizzazione sistemica e di un’offerta molto discriminata. Nel territorio nazionale, per esempio, ci sono alcune Usca che funzionano bene e altre che lo fanno malissimo. Alcune attivate ben oltre lo standard previsto dalla norma, altre nettamente al di sotto.
Cosa dire dell’Usca divenuta dalle nostre parti elemento strutturale quale sito del sistema delle vaccinazioni e non già perfezionata come strumento motore dell’assistenza domiciliare per la popolazione infettata, lasciata così al suo destino. Un siffatto compito è del resto nella sua ratio istitutiva: quella di prendere in carico gli affetti da Covid-19 e le loro famiglie, cui garantire l’assistenza necessaria.
Di conseguenza, viene spontaneo porsi un problema di fondo. Esso consiste in cosa fare per assicurare una vaccinazione di massa degna di questo nome, oramai alle porte.
Per bene adempiere occorrono soprattutto due cose: sapere cosa fare e garantire una velocità di esecuzione. Altrimenti è flop, di quelli che costeranno la vita a molti, anche in termini di temibili esiti della malattia per coloro che sono riusciti e riusciranno a guarire.
A fronte di tutto questo, meglio a monte di quanto necessiterà fare, c’è la (in)certezza della materia prima. Vaccini sufficienti, contrapposti alla penuria che ci rende vittime dell’inefficienza. E considerati gli ultimi eventi, garantiti ovverosia che non facciano male. L’esempio Astra-Zeneca, con i problemi connessi alla sua somministrazione, non lasciano ben sperare, quantomeno nell’immediato.
Efficienza cercasi!

*Fondazione TrasPArenza

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