CATANZARO I ristoratori in Calabria sperano che la primavera arrivi anche per loro. Non come quella falsa che ha caratterizzato questi primi giorni della stagione, ma sia foriera di ripresa economica. Vera e duratura. Così la data del 26 aprile – primo appuntamento della road map disegnata dal Governo Draghi per le riaperture delle attività produttive “congelate” dall’inverno della pandemia – diventa una sorta di appuntamento simbolo della primavera (non ancora per la Calabria visto che è rimasta in zona arancione) per alcuni settori particolarmente devastati dalla crisi economica generata dalla diffusione del Coronavirus: appunto il segmento dei pubblici esercizi dedicati alla ristorazione.
Un settore che comprende oltre a ristoranti, pizzerie, rosticcerie anche bar, servizi mense e catering e che proprio a causa delle misure disposte per contenere il propagarsi dell’epidemia in questo lungo anno di “vita sospesa” hanno visto annichilirsi fatturato e occupazione. Spingendo alcuni ad abbassare le saracinesche.
Secondo le stime della Federazione italiana pubblici esercizi (Fipe) – organizzazione interna a Confcommercio – in Italia solo nel IV trimestre del 2020 si sono persi 11,1 miliardi di fatturato nella ristorazione rispetto all’equivalente periodo del 2019 portando le perdite per l’intero 2020 a 34,4 miliardi di euro. Praticamente è andato in fumo oltre un terzo del fatturato dell’anno precedente: -36,2%. Così come è crollato il clima di fiducia tra gli imprenditori del settore.
Sempre stando all’ufficio studi della Fipe in un anno, questo indicatore, è sceso a 22,9, ben 69 punti al di sotto del valore registrato nel 2019 (91,7). A pesare ovviamente sono state le chiusure imposte che hanno portato all’azzeramento di fatto delle attività nei locali, se si esclude quanti hanno potuto attivare servizi d’asporto. Per comprendere questa drammatica situazione, basti considerare che, sempre dall’indagine condotta da Fipe, gli imprenditori segnalano nel IV trimestre del 2020 un peggioramento di ben 90 punti sui flussi di clienti nei loro locali rispetto ad un anno prima. E così a risentirne è stata soprattutto l’occupazione: negativo il saldo rispetto al trimestre precedente (-26,2) così come quello rispetto allo stesso periodo del 2019 (-57). Dati che non sono mutati neppure per il primo trimestre dell’anno sia sulle performance economiche delle aziende sia sull’occupazione.
Ma è anche la Fondazione nazionale dei Commercialisti che in una recentissima indagine congiunturale sull’andamento dei bilanci delle Srl del settore denuncia perdite consistenti per il 2020. Considerando il solo settore della ristorazione stretta, gli analisti stimano un crollo dei bilanci in un anno pari a 8,8 miliardi che si traduce in termini percentuali in una perdita di circa 38 punti (-37,9%). Una pandemia che ha stroncato le aspettative di un settore che viceversa negli anni precedenti segnalava una certa vitalità, con trend positivi tra il 2016 e il 2019. Tanto da spingere al rialzo – in quegli anni passati – fatturato, occupazione e nuove aperture di esercizi nel settore. Poi la gelata della pandemia sul settore più esposto che non ha ovviamente risparmiato la Calabria.
In Calabria il settore complesso dei pubblici servizi dedicati alla ristorazione e ai bar – senza comprendere l’indotto – conta su 12.190 imprese concentrate per lo più nella provincia di Cosenza (4.863). Si tratta, stando ai dati di Infocamere, per la gran parte di ristoranti e attività di ristorazione mobile, visto che il 57,9% si concentra in questa attività. Seguono i bar e gli altri simili senza cucina che con 4.916 attività registrate in Calabria occupano il 40,3% dell’intero segmento produttivo. Numeri importanti che su base nazionale rappresentano il 3% del totale complessivo delle imprese del settore. Un settore che prima della pandemia dimostrava una certa vitalità.
Se si considerano i dati dell’ “Osservatorio sui bilanci 2018 delle Srl” del Consiglio e della Fondazione Nazionale dei Commercialisti, nel biennio dal 2017-2018 aveva inanellato una serie di record di crescita sia economici che occupazionali. Passando infatti in rassegna quei dati si notava che nel 2017 il valore aggiunto delle imprese segnalava un +8,6% passando poi ad un +17,7% dell’anno dopo. Un trend che si è registrato anche per ricavi e occupazione. Nel primo le imprese calabresi del settore servizi al pubblico avevano totalizzato una crescita del 5,6% nel 2017 per poi assestare un +4% nel 2018. Così come il numero dei dipendenti aveva subito un’impennata sia nel 2017 (+11,9%) sia nel 2018 (+8,2%).
Un trend che si è arrestato, per poi precipitare nell’anno buio della pandemia. Stando sempre alle stime di questo osservatorio, l’impatto della crisi pandemica sui fatturati delle imprese legati esclusivamente alla ristorazione è stata devastante: segnando una flessione di circa 123,5 milioni di euro.
Ancora più precise le stime della Fipe, che su quanto il comparto complessivo abbia perduto ha realizzato uno specifico focus. Stando ai calcoli dell’ufficio studi della Federazione italiana pubblici esercizi, in Calabria le perdite del fatturato per il 2020 sono state pari a 806.957 milioni di euro.
A seguito della diffusione della pandemia e delle misure drastiche introdotte dal Governo per contenere i contagi – con i conseguenti lockdown a ripetizione – hanno chiuso i battenti 661 aziende che hanno portato ad un saldo negativo di -254 imprese iscritte nel segmento produttivo. E nonostante le misure tese a sostenere l’occupazione, nel corso del 2020 si sono persi 3.578 posti di lavoro. Segnando un calo dell’occupazione in un anno pari al 20,2%.
Con questi numeri devastanti, la possibilità che i clan si incuneino ancor di più nell’economia calabrese – magari facendo incetta di attività di ristorazione in crisi di liquidità oppure stingendo d’assedio il settore sotto il giogo dell’usura – diventa sempre più concreta. In tanti hanno lanciato in tal senso allarmi. Dallo stesso procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri a studi di settore. L’ultimo dei quali l’ha svolto Cerved, uno dei principali gruppi italiani per le informazioni commerciali sulle condizioni economiche delle imprese. Ebbene da quello studio emerge che la Calabria è la regione in cui c’è la percentuale più alta in Italia di imprese di ristorazione divenute vulnerabili a infiltrazioni criminali a seguito degli effetti del protrarsi della pandemia e delle misure di restrizione adottate per contrastarla. Confrontando i dati acquisiti dalla società di rating, in Calabria quattro imprese del settore della ristorazione su dieci si trovano ora in questa situazione drammatica.
Complessivamente in Italia, Cerved valuta in circa novemila le imprese della ristorazione che rischiano di finire nelle mani della criminalità organizzata. Una situazione generata dal crollo dei ricavi e dalla conseguente mancanza di liquidità degli imprenditori e dimostrata dal picco di mancati pagamenti registrato nel comparto: 73%. Attraverso poi l’analisi dei dati sia della stessa Cerved che della sua controllata Hawk, è emersa un elevatissimo rischio di riciclaggio di denaro sporco proveniente dalle attività illegale dei clan proprio attraverso l’acquisizione di imprese del settore della ristorazione. Anche qui la Calabria è da zona rossa.
Numeri che danno la misura della crisi devastante che ha sconvolto quel comparto e che rappresenta uno dei settori nevralgici dell’economia calabrese. Da qui la grande attesa per la ripartenza legata a filo doppio con le decisioni adottate dal Governo Draghi in materia di riapertura. Come conferma Laura Barbieri, presidente Fipe-Confcommercio Cosenza e che in seno al consiglio nazionale della Federazione italiana pubblici esercizi rappresenta la Calabria.
Come valutate la riapertura delle attività seppur parziale programmata dal 26 aprile per le aree in zona gialla?
«La riapertura è di certo positiva perché ci consente di riprendere in mano le nostre attività. Tuttavia riaprire solo le attività che hanno i tavolini all’esterno, significa prolungare il lockdown per oltre 116mila pubblici esercizi in Italia. Molti bar e ristoranti non sono dotati di spazi all’aperto e questa percentuale si impenna se pensiamo ai centri storici delle città nei quali vigono regole molto stringenti. La data quindi da sola non basta è necessario dare una prospettiva a tutti gli imprenditori. Bisogna lavorare da subito a un protocollo di sicurezza sanitaria stringente, che consenta la riapertura anche dei locali al chiuso e bisogna stabilire un cronoprogramma preciso, a partire dal 26 aprile. Non c’è più tempo da perdere. È importante che anche i Comuni collaborino mettendo a disposizione delle imprese della ristorazione spazi extra per consentire la sistemazione all’esterno dei clienti. Inoltre ci sono interi settori, penso a quello degli eventi e soprattutto dei matrimoni, ormai al collasso. Anche in questo caso è più che mai necessario pensare a delle linee guida che permettano al comparto di ripartire e non si tratta solo delle attività di ristorazione ma di tutta la filiera».
Cosa comporta per le imprese calabresi la previsione della chiusura delle attività alle 22 e la necessità di aprire solo se si ha uno spazio all’aperto?
«La chiusura alle 22 certamente rappresenta un limite in quanto taglia fuori tutta la seconda fascia di servizio. Inoltre siamo in un periodo climatico ancora incerto è ciò rischia di penalizzare chi non ha spazi adeguati».
Sufficienti le misure previste dai decreti del Governo (Ristori e Sostegni) e cosa occorreva fare per risollevare le sorti del segmento calabrese?
«Sicuramente i vari decreti predisposti dal Governo hanno rappresentato un aiuto per le imprese costrette alla chiusura ma di certo non sufficiente per permettere a molti di sopravvivere. L’emergenza covid infatti ha decretato la morte di tantissime attività del nostro settore. Gli aiuti infatti spesso non sono stati calibrati su parametri oggettivi ma sulla base di stime che non tenevano conto del reale stato di difficoltà. Siamo stati chiusi e quindi non abbiamo incassato, ma le spese fisse (affitti, bollette, tasse ecc..) hanno continuato ad esserci e di questo non si è tenuto conto negli aiuti».
Le imprese calabresi si erano attrezzate per seguire i protocolli di sicurezza?
«Assolutamente si. Le regole stringenti indicate dai protocolli di sicurezza erano state pienamente adottate. Le nostre attività hanno speso migliaia di euro tra sanificazioni, dpi, distanziatori ma questo non è servito a niente. Siamo ormai chiusi da mesi con investimenti fatti ma senza risultati».
Quali danni il settore calabrese ha subito in questi mesi di lockdown su fatturato e occupazione?
«Tantissimi. Nel corso del 2020, in Calabria 1.320 tra bar e ristoranti hanno abbassato definitivamente le saracinesche. A subire il contraccolpo peggiore è la ristorazione (– 661 unità) seguita dai ristoranti e attività di ristorazione mobile (- 376 unità) e dai bar (-283 unità) per un tasso di mortalità che nella nostra regione si attesta a 6.1 (rapporto tra Imprese cessate/imprese attive) contro la media nazionale che è pari a 7.1».
Ed un imprenditore medio calabrese come è riuscito a sopravvivere?
«Con sacrificio. Attingendo ai risparmi di una vita che si sono volatilizzati. La situazione tuttavia non è più sostenibile».
Due esigenze apparentemente divergenti: la tutela della salute attraverso misure di contenimento e la tenuta economica delle imprese con un piano di apertura più immediato. Come mediare tra questi due diritti?
«La soluzione è semplice. Sposo la posizione del presidente di Confcommercio Cosenza Klaus Algieri: bisogna ridare agli imprenditori la dignità del loro lavoro. Abbiamo il diritto di poter lavorare rispettando quelle che sono le linee guida predisposte dal Governo. Regole pensate e definite da esperti. Se tutti le rispettiamo in pieno possiamo riaprire in piena sicurezza».
Intravedete il rischio che la criminalità possa fare affari in Calabria approfittando del momento di crisi del comparto?
«Certo. Le situazioni di debolezza rappresentano quelle crepe in cui la criminalità si insinua e la disperazione che molti imprenditori stanno vivendo in questo momento può essere terreno fertile per fenomeni illegali come l’usura e l’abusivismo».
Se è vero che la ripresa del comparto dipende molto dalle decisioni del Governo, anche la Regione può fare qualcosa per il settore?
«Anche su questo punto mi permetto di richiamare uno degli interventi del presidente Algieri. È importante che le istituzioni nazionali e regionali dialoghino affinché si definisca un programma strutturale di interventi a 360°. Non bisogna dimenticare che sono in arrivo le risorse del Recovery plan e senza un piano serio rischiamo di farci sfuggire un’occasione importantissima». (r.desanto@corrierecal.it)
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