«Organigramma sì, ma la Calabria esige idee e rinnovamento»
Mentre Luigi De Magistris si fa desiderare da Pd e Pentastellati auspicanti la sua adesione al centrosinistra allargato ai movimenti e l’on. Roberto Occhiuto, capogruppo di Fi alla Camera, è pronto a…

Mentre Luigi De Magistris si fa desiderare da Pd e Pentastellati auspicanti la sua adesione al centrosinistra allargato ai movimenti e l’on. Roberto Occhiuto, capogruppo di Fi alla Camera, è pronto a correre ma indugia perché gli manca la benedizione degli altri leader del centrodestra, non sarebbe male buttare lo sguardo sulla condizione di lacerante precarietà e brutale disarticolazione istituzionale e amministrativa che rende l’Ente Regione, oggetto della presa d’ottobre 2021, impotente ad esercitare la benché minima azione utile al riscatto economico e sociale della Calabria. A distanza di mezzo secolo di vita, iniziata tumultuosamente nel ‘70 con l’esercito che per poco non entrò con i carri armati in una delle città più importanti del Mezzogiorno per sedare la rivola di popolo, oggi la reputazione della Regione, mille miglia lontana dal sogno regionalista della prima legislatura, è pessima. E inesorabile è il giudizio negativo che i calabresi, ulteriormente vessati dalla crisi economica e dall’emergenza sanitaria, scagliano all’indirizzo della politica. Tra i posizionamenti da aggiustare per rendere quantitativamente competitivo il centrosinistra e i movimenti individuali o a gruppi (felpati ma determinati) finalizzati ad occupare le postazioni più adeguate per entrare nella XII legislatura che agitano lo spazio del centrodestra, domandarsi se ad ottobre, quando spirerà la più desolante delle legislature, resterà della Regione ancora qualcosa con cui provare a costruire un regionalismo dignitoso, non sarebbe tempo perso. Dal regionalismo costituzionale delle prime legislature ispirato dall’obiettivo di rinforzare la democrazia e liberare la Calabria dall’atavica miseria e dai vecchi mali arrecati dal notabilato politico che soppiantò nel ‘900 il latifondo più retrivo, siamo giunti prima al declino, progressivo e inarrestabile, di un regionalismo “autocratico e clientelare che ha impantanato la Calabria”, come lo definisce in un poderoso libro (Storia della Regione Calabria 1970/2014) il sociologo Vito Barresi. Per approdare adesso (ma non infine, purtroppo, perché, come disse una volta – 1999 – il presidente della Regione Luigi Meduri, “lo scadimento della politica in Calabria non ha fondo”) all’immobilismo atarassico e sincopato del presente costellato da politici senza politica e da una convulsione di azioni senza scopo. E’ un tempo in cui le idee sembrano contare zero. O perché non ci sono o perché la politica calabrese, obnubilata dalla gestione, è un campionario inverecondo di pennacchi, farfugliamenti e promesse grottesche. Che cosa è successo alla Calabria in mezzo secolo di Regione è nel dettaglio da scoprire e tutto da scrivere. All’ingrosso si può asserire che il sogno regionalista delle culture politiche novecentesche s’è trasformato nell’incubo del presente. Attenzione, dunque. Chi punta al decimo piano della Cittadella a Catanzaro deve meditare che non sarà una scampagnata. Non tanto la sfida elettorale, ma il governo della Regione e della Calabria. Se fino a un paio di legislature fa, la contesa elettorale poteva ancora servirsi dello schema fisso (perlomeno dalla quarta legislatura) sintetizzabile nell’assicurare, in cambio del consenso, protezione e sussidi al blocco sociale di ceti non produttivi e al blocco affaristico – criminale convenienze utilitaristiche a scapito dell’utilizzo produttivo delle risorse, oggi non è più cosi. Con il restringimento delle risorse ordinarie e l’occhiuta attenzione dell’Europa che vigilerà con rigore draconiano sull’impiego dei fondi e la distanza siderale tra politica e calabresi che illanguidisce la democrazia, riproporre il comando della gestione con i metodi del passato e col sostegno di una burocrazia asservita, sarà come sfidare la forza di gravità. Sicuramente sarà più rischioso ed esporrà rapidamente gli irriducibili della politica clientelare ai richiami degli organi di controllo e alle proteste di un popolo disilluso e pronto a passare dalla protesta di tastiera a quella delle piazze. L’auspicio non può che essere rifondare la Regione attraverso un neoregionalismo incarnato da uomini e donne di qualità, condiviso e culturalmente partecipato e che abbia, nelle forze più dinamiche della società calabrese e nella buona politica, i suoi protagonisti combattivi, liberi e appassionati. E’ parte del gioco stringere patti elettorali e fare massa critica per vincere le elezioni, ma non si dimentichi che la crisi ha segato credibilità alle sbracate prese in giro dei mestieranti della politica e alle impennate demagogiche e che ciò che è urgente è tracciare un modello di sviluppo incentrato suoi punti di forza della Calabria. Se oggi la Regione, isolata com’è, non sa come parlare all’Europa e farsi ascoltare e neppure si occupa di come trasformare i flussi del Mediterraneo in piattaforme di relazionalità, ma neanche sa come restare al Sud, sintetizzando le diversità del suo territorio in un disegno unitario e dando risposte ai calabresi non con intenzioni roboanti ma con azioni concrete, di questo e di queste cose bisognerà occuparsi. Altrimenti, comunque vada per la Calabria sarà un insuccesso.