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l’analisi

«Occhiuto ha le mani libere per salvare la Calabria?»

Roberto Occhiuto è un politico a tutto tondo. Di quelli che più si avvicinano, con l’eloquio pacato da ragionatore ossequioso della sintassi e dell’esigenza di approfondire gli argomenti prima di spa…

Pubblicato il: 23/06/2021 – 12:27
di Romano Pitaro*
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Roberto Occhiuto è un politico a tutto tondo. Di quelli che più si avvicinano, con l’eloquio pacato da ragionatore ossequioso della sintassi e dell’esigenza di approfondire gli argomenti prima di sparlarne, alla grandezza dei protagonisti della migliore tradizioni del cattolicesimo impegnato in politica del secolo scorso. Di segno inoppugnabilmente meridionalista ed europeista. Rara avis nel panorama politico nazionale che, a corto di pensieri lunghi, soggiace all’inconcludente tecnica della recitazione a soggetto. Figurarsi nello scalcinato contesto calabrese presidiato da una moltitudine di politici senza politica.
L’on. Occhiuto è un professionista della politica avveduto, informato e intelligente. Non c’è dubbio. Studia, riflette, usa i social e ha la battuta lesta, mai esorbitante. Mai offensiva verso chi dissente dalle sue opinioni, nutre rispetto per le diversità.
Da giovanissimo consigliere comunale d’opposizione a Cosenza (1993-1997), ha tenuto testa al sindaco Giacomo Mancini, il leone socialista. E in quell’esperienza ha imparato la pazienza e la determinazione di cui fino a qui ha dato ampia prova e che gli ha consentito di vincere molte sfide. Da consigliere regionale (nella VII legislatura di Chiaravalloti e nell’VIII di Loiero) non ha solo badato a pararsi i colpi di chi l’ha espulso dal partito di Berlusconi, inducendolo, prima di rientrare e diventare il capogruppo di FI alla Camera dei deputati, a transitare nell’Udc di Casini e Cesa. Ma si è anche distinto nella funzione di consigliere regionale, prima di maggioranza e poi di opposizione, esercitando egregiamente le sue prerogative istituzionali e intestandosi anche un’importante iniziativa legislativa per arginare la fuga dei giovani.
Aggiungendo che siamo di fronte ad un politico che potrebbe svolgere, restandosene a Roma, ruoli e compiti di portata nazionale ed europea e che, se l’impressione non è del tutto sballata, la Calabria e le sue infinite litigiosità gli sono sempre state non strette ma strettissime, al punto che per anni ha scelto di dedicarsi interamente ai temi di politica nazionale badando a mettere tra lui e le dispute localistiche la giusta distanza, viene spontaneo porsi qualche domanda.
Qual è la molla che lo spinge a esporsi cosi direttamente nel culturalmente asfittico agone politico calabrese e ad occupasi, qualora ne divenisse il Presidente, della Regione più disastrata d’Italia in cui la mano destra non sa quel che fa la sinistra e che è considerata dai calabresi non un’alleata, ma un Palazzo blindato, ostile, che seguita a consumare risorse senza promuovere sviluppo produttivo né nuova occupazione? Qual è la molla che spinge un politico che potrebbe arricchire altrove e più agevolmente il suo cursus honorum, a rischiare di restare schiacciato (com’è accaduto ad altri Presidenti all’inizio incendiari e dopo neanche un anno imbalsamati nella routine della gestione) nella palude della Cittadella di Catanzaro e in quell’Aula senza lode e senza infamia che è diventato il Consiglio regionale? E di sfinirsi nelle diatribe scatenate dalle infinite emergenze calabresi, assumendosi responsabilità tutt’altro che lievi? Da martedì ufficialmente, nella sala di un hotel lametino circondato dai leader del centrodestra e da tantissimi volti di noti politici calabresi, l’on. Occhiuto ha iniziato la corsa in vista del voto d’ottobre.
Non gli sfugge che la congiuntura nazionale, connotata da roventi convulsioni epocali e da trasformazioni strutturali in corso, impone a chi non vuol lasciarsi sopraffare dallo tsunami pandemico che s’è abbattuto sull’economia e che ha spinto Mattarella a chiamare d’urgenza Draghi a Palazzo Chigi per evitare il default istituzionale un radicale cambio di passo.
E’ apprezzabile ciò che l’on. Occhiuto intende comunicare con lo slogan che accompagnerà (così pare) la sua campagna elettorale: “Io in Calabria ci sono nato, conosco i calabresi e quello di cui sono capaci. Non ci resta che farlo vedere a tutti!”. Proviamo, allora, a indicare sommariamente ciò che ai cittadini piacerebbe vedere. C’è bisogno, per superare l’isolamento della Calabria nello stesso Mezzogiorno e per iniziare a occuparsi con rigore del Next Generation Ue – il dossier europeo fondamentale per l’abbattimento del divario di cittadinanza Nord-Sud – di recuperare i principi della programmazione e della partecipazione popolare con cui inverare la visione della Calabria da qui a dieci anni e dare impulso alla fragile democrazia regionale. Di introdurre, nei meccanismi decisionali della Regione, innovazione, competenza e merito all’insegna della legalità e dell’efficienza amministrativa. Di fermare le logiche politiche che acutizzano drammaticamente la frammentazione territoriale e non aiutano la coesione del sistema-regione sol perché i vari accumulatori del consenso assistito una volta eletti debbono togliersi i debiti elettorali. Di spalleggiare lo svecchiamento delle classi dirigenti con energie nuove della società civile, di smascherare e rompere il patto scellerato tra politicanti e burocrazia che è una delle cause della sconfitta del regionalismo calabrese e rimodulare, con lo sguardo alle questioni multidimensionali e alle dinamiche internazionali, il modello di sviluppo regionale. Ebbene, piace quel “…Non ci resta che farlo vedere a tutti”.
Ma ha, oltre alla volontà non opinabile, le mani libere l’on. Occhiuto per concretizzare almeno parte di questi sostanziali cambiamenti e dar vita ad un laboratorio di superamento del regionalismo oligarchico e clientelare e senza cui la prossima legislatura rischia di far fare alla Calabria un salto nel buio? Ossia, un arretramento che vorrebbe dire la sua definitiva consegna all’emarginazione sociale e all’irrilevanza politica? Hic Rhodus, hic salta!

*giornalista

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