REGGIO CALABRIA «Una giornata storica», così, l’assessore al Patrimonio edilizio del Comune di Reggio Calabria, Rocco Albanese, ha definito lo scorso 15 luglio, giorno dello sgombero coatto della baraccopoli nell’ex Polveriera del Rione Ciccarello. «L’area del demanio militare – scrive in una nota – è stata definitivamente sgomberata e consegnata alla titolarità del Ministero della Difesa. Ieri, infatti, anche le ultime famiglie che occupavano alcune baracche fatiscenti hanno lasciato il ghetto e sono state condotte in alloggi dignitosi e sicuri sottratti alla criminalità organizzata. Ora, finalmente, una porzione importante del territorio potrà rinascere grazie, soprattutto, ad un cospicuo finanziamento messo in campo dal dicastero di via XX settembre e dal Viminale».
Dopo una lunga serie di ringraziamenti riferiti alle forze dell’ordine e a pezzi dell’amministrazione impegnati dell’operazione, Albanese conclude: «Il prossimo obiettivo dell’amministrazione sarà quello di sgomberare pure la parte del demanio civile in maniera tale da completare un iter intenso e chiudere il cerchio su un’attività capillare di recupero degli spazi urbani, della dignità delle persone e del vivere civile».
Ma i problemi, per alcune delle famiglie sgomberate, paiono solo essere stati solo aggirati.
Nei giorni scorsi, l’Osservatorio cittadino per il disagio abitativo, composto da una serie di associazioni e realtà territoriali, aveva evidenziato le difficoltà di trovare un’interlocuzione con il Comune al fine di consegnare una ricollocazione dignitosa ai nuclei familiari sfrattati dall’amministrazione.
I casi erano due. Il primo era quello di Giovanna, 81enne costretta in carrozzina e mandata nella stessa abitazione assegnata nel 2018 al figlio Cosimo. «Stiamo parlando di un alloggio sito al terzo piano di un palazzo, senza ascensore e con innumerevoli barriere architettoniche, dov’è stato necessario traportare di peso l’anziana», dice Giacomo Marino a nome dell’Osservatorio di cui fa parte anche la sua associazione, “Un mondo di mondi”. Il secondo caso era quello di Mimma, 26enne madre di tre figli mandata a vivere nello stesso alloggio assegnato ai genitori che oggi conta in tutto 8 persone.
Alla base di queste scelte, la decisione dell’amministrazione di non assegnare gli alloggi secondo il criterio del nucleo familiare, bensì quello dello stato di famiglia, «così non rispettando la legge in materia che prevede l’assegnazione sulla base del primo criterio» rimarca Marino.
Per questo motivo, gli occupanti stanziati nelle baracche dell’ex Polveriera hanno provato ad opporre resistenza passiva chiedendo «diritto alla casa» e una ricollocazione dignitosa.
L’assessore Albanese afferma la legittimità dell’azione di Palazzo San Giorgio. Di volta in volta sono stati notificati ai residenti gli avvisi, fino a che lo sfratto non è divenuto esecutivo e si è concretizzato nell’intervento coatto.
«Non c’è stata volontà di confrontarsi – dice Marino – non solo con noi, ma soprattutto con le famiglie. Non si è guardato ai bisogni». «Ma se si vuole, c’è la possibilità di conciliare tutti gli interessi in gioco» aggiunge. L’unico incontro con l’amministrazione risale allo scorso 21 maggio. Al 26 giugno quello con la prefettura. Poi più nulla fino all’intervento di questo 15 luglio, preannunciato nelle scorse settimane.
«L’unica interlocuzione in tutta la giornata è stata col dottor Rindone, che ha coordinato le forze dell’ordine per lo sgombero. Sarebbe del Comune il ruolo di interfacciarsi e interloquire sul diritto alla casa delle persone. Noi ci stiamo muovendo, nei limiti di quello che ci consente la legge, per tutelare il diritto alla casa di queste famiglie».
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