ROMA L’ordinario di Storia dei Paesi islamici all’Università della Calabria, Alberto Ventura, è tra i massimi studiosi di esoterismo islamico e sufismo, autore di numerose pubblicazioni e della curatela per la più accreditata traduzione del Corano nella nostra lingua. Ed è lui che, in una intervista rilasciata per Il Foglio, ha cercato di delineare quello che è il quadro attuale della situazione in Afghanistan dopo il ritiro dell’Occidente. E lo fa soprattutto ricordando l’approccio del nostro Paese alle missioni all’estero, declinato negli anni Ottanta in Libano. «Aveva una caratteristica fondamentale: la consapevolezza che è necessaria una conoscenza tridimensionale dei popoli e delle culture tra cui si sta operando» racconta a Il Foglio. «Prevale dappertutto – ha spiegato – la mentalità dell’uno vale uno, sebbene grandi diplomatici della storia come von Metternich c’insegnino che bisogna disporre tra i consulenti persino di teologi e di filosofi. Per rimanere in tempi più recenti, voglio ricordare il generale Franco Angioni, che comandò il contingente italiano della Forza Multinazionale in Libano tra l’82 e l’84». Ma a caratterizzare, secondo Ventura, l’attuale scenario c’è anche “l’abbassamento” del livello, sul quale ha influito «il nostro sistema scolastico e universitario, sempre più calibrato sui grandi numeri. Prendiamo la lingua urdu, parlata in Pakistan e dai musulmani in India, i cui corsi sono stati soppressi per scarsità di studenti. E pensare che era insegnata all’Orientale di Napoli sin dalla fine dell’Ottocento e che la prima grammatica di urdu in una lingua europea fu redatta in italiano. È un errore enorme cancellare alcune materie perché considerate “di nicchia”. Anche se lo sono, restano importanti per la politica estera di un paese. Vedi il caso dell’Afghanistan, che non sarà centrale per la formazione degli studenti italiani eppure, oggi ce ne ricordiamo, si rivela essenziale conoscerlo meglio per tutto l’Occidente». Sulla “fiducia” da riporre sui Talebani, Ventura non ha dubbi: «L’occupazione militare degli americani, cui si sono aggregati altri paesi, ha dimostrato ai talebani che se vogliono governare l’Afghanistan non possono tenere lo stesso atteggiamento di vent’anni fa. È una questione d’immagine verso l’Occidente. Che si traduca in azioni concrete però dubito molto. Cosa hanno fatto, dagli accordi di Doha a oggi, nei confronti di Al Qaeda? A parole molto, nella realtà direi nulla. Cosa faranno nei confronti dell’Isis-k? Chiunque conosca la storia afghana si rende conto di quanto, da Alessandro Magno ai sovietici, sia stato difficile controllare il paese. Non è solo questione di conflitti tra gruppi armati o di signori della guerra: la resistenza del figlio di Massoud risponde anche a una diversità di lingua e di etnia in uno stato dove i tagiki nel nord, vicini alla cultura iranica e con un proprio idioma, non possono facilmente amalgamarsi con i pashtun». Nel corso dell’intervista rilasciata a Il Foglio, Ventura spiega: «Dobbiamo stare allerta: anche l’attentato di Kabul potrebbe suscitare fra i ‘cani sciolti’ fenomeni di emulazione che s’ispirano all’Isis senza che sia questo a organizzarli». E infine: «Un mondo islamico sic et simpliciter non esiste. È come se parlassimo di mondo cristiano. È un’ottica provinciale. La prima cosa che dico ai miei studenti è che sì, insegno Storia dei Paesi islamici, ma si tratta di una dizione ministeriale senza molto senso. Guardando al ‘mondo islamico’ dobbiamo precisare di cosa parliamo: del Nord Africa, del mondo arabo propriamente detto, di Iran, Pakistan, Indonesia e così via…».
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