REGGIO CALABRIA Si arricchisce il puzzle che va a comporre il così detto “sistema Castorina”. Quello stesso finito da dicembre scorso sotto la lente della procura di Reggio Calabria, attraverso il quale, l’ex consigliere comunale, primo eletto tra le liste del centrosinistra, avrebbe in qualche modo influenzato il risultato delle elezioni amministrative reggine.
Fin dalle prime battute, il procuratore capo Giovanni Bombardieri, aveva sottolineato come le condotte poste al vaglio degli inquirenti e finite nelle ordinanze applicative delle misure cautelari fossero «frutto di un sistema più articolato» che disvela, ora attraverso le parole riportate nelle intercettazioni raccolte dalla Digos e in parte pubblicate nella newsletter de ilfattoquotidiano, anche l’“animus” dei soggetti indagati (e non solo).
Come aveva sottolineato il procuratore aggiunto Gerardo Dominijanni, titolare del fascicolo insieme ai sostituti Paolo Petrolo e Nunzio De Salvo, Antonino Castorina si sarebbe «fraudolentemente avvalso della facoltà spettante al sindaco di nomina in surrogazione dei presidenti di seggio» al fine di orientarne la designazione e piazzare nei seggi in seguito attenzionati dall’indagine quelle che, nelle conversazioni riportate, definisce le sue «chiavi».
«Guarda che io…ad Archi ho una squadra di assalto. Ad Archi ho una squadra di assalto pazzesca». In alcune conversazioni, l’ex consigliere posto ai domiciliari lo scorso 14 dicembre (e attualmente sottoposto alla misura cautelare del divieto di dimora) vanta i collegamenti col quartiere da dove l’inchiesta ha avuto impulso, in quei seggi 172 e 184.
Nel secondo filone confluito nell’ordinanza firmata dal gip Stefania Rachele, a marzo scorso erano state applicate ulteriori 5 misure cautelari e una misura interdittiva dai pubblici uffici. Emergeva in questo caso l’ulteriore aspetto secondo cui Castorina si sarebbe riservato la possibilità di «determinare la nomina degli scrutatori dei vari seggi elettorali prendendo parte illecitamente alle adunanze della commissione elettorale del Comune, senza avere alcun titolo». Tra questi l’altro principale indagato, Carmelo Giustra, che dopo l’arresto aveva rilasciato una serie di dichiarazioni che sarà chiamato a confermare proprio in questi giorni.
Giustra aveva raccontato che una persona gli avrebbe fatto avere «una busta con i nominativi dei soggetti da inserire quali votanti, riferendo della consegna dell’elenco in un momento successivo “in quanto dovevano verificare quanti nominativi riuscivano a recuperare” e dando così direttive sui compiti da assolvere».
Nello specifico, il presidente di seggio individuato da Castorina avrebbe dovuto compilare direttamente le schede elettorali corrispondenti ai numeri presenti sull’elenco recapitatogli e inserirle nell’urna. Finiranno per “votare” anche soggetti in seguito risultati defunti innescandosi tutta una serie di circostanze che porteranno all’attivazione dell’inchiesta.
Un’inchiesta destinata ancora ad espandersi, come si evince dalla lettura di alcune captazioni confluite nel già ampio fascicolo della procura.
E dalle prime battute torna il nome di un’altra presidente di seggio, Giuseppina Facciolo che parlando proprio di Castorina si sarebbe lamentata della sua «ingratitudine» a fronte dei servizi resigli in sede elettorale. «Quello neanche una telefonata ha fatto neanche un messaggio, niente di niente, da giorno 4 non gli servo capisci». Secondo la ricostruzione della Digos, il perché di questo risentimento è da individuarsi nel mancato rispetto della promessa, con tutta probabilità fatta alla donna dall’allora candidato, di un lavoro al Comune in cambio dei favori. Motivo che induce gli investigatori a intravedere nella sua nomina un «preciso dinamismo clientelare» meritevole di approfondimento». Doglianze simili a quelle espresse da Luciano Barbuto, presidente di seggio “piazzato” alla sezione 38 in seguito alla rinuncia della moglie di Castorina. «Se io do una parola – si sente in un’accesa conversazione tra Barbuto e Castorina del 15 ottobre 2020 – a costo di andare meno… di qualsiasi altra cosa… io quella parola la devo mantenere, compare. Ed io l’ho sempre mantenuta. Non l’hai mantenuta come Dio Cristo… Antonio non l’hai mantenuta».
«Quindi Gomorra ti permetti di dialogare nella macchina?… Almeno ce la facciamo insieme (la galera, ndr)». La frase è estratta da un’ambientale captata nell’autovettura di Castorina che discute con una sua amica, tale Katia, che lo appella come «Gomorra». Secondo gli inquirenti è chiara l’allusione della donna – che invita Castorina alla prudenza – a «presunte intercettazioni». «Sembrerebbe ormai assodato – scrivono – che gli stessi occupanti siano potenzialmente al corrente della possibilità di essere oggetto di captazione».
Di fatti si cominciava già ad avere anticipazioni sull’inchiesta che all’epoca non aveva aveva assunto un volto. Siamo a fine novembre. Il 27 novembre, Castorina aveva avuto una discussione di simile tenore con Federico Milia, giovane consigliere eletto nell’opposizione tra le fila di Forza Italia con circa 1700 preferenze. Oggetto della discussione era una mozione presentata dal candidato di centrodestra, Antonino Minicuci, attuale capo dell’opposizione, dove veniva manifestata la volontà di costituirsi parte civile in un eventuale processo a carico di presidenti di seggio e scrutatori nel caso in cui l’Autorità giudiziaria avesse fatto luce su presunti brogli elettorali. Siamo a qualche settimana prima che l’inchiesta veda la luce (la prima ordinanza verrà firmata il 9 dicembre e Castorina finirà ai domiciliari il successivo 14). Il consigliere del Pd, nella conversazione, rappresenta la circostanza come «offensiva nei confronti dell’intera comunità rappresentata».
Gli inquirenti definiscono addirittura «specioso» il passaggio con cui Castorina tentava di «dirottare presunte responsabilità dei brogli verso altri, sostenendo che la sua elezione, ottenuta con voti in quasi tutti i seggi, fosse da considerare assolutamente sopra ogni sospetto».
«Nino dice che il rispetto della legalità sta alla base e bisogna fare luce…i presidenti di seggio e gli scrutatori erano 4 sventurati che per 100 euro sono stati lì due giorni…non lo che cazzo hanno fatto se hanno sbagliato o se hanno imbrogliato con dolo è giusto che paghino fino all’ultimo centesimo penalmente e civilmente…Se uno ha fatto degli errori o ha fatto il furbetto è giusto che paghi…ci sarà un’indagine e fateli lavorare alla Procura fatta da persone perbene». Il 14 dicembre successivo, il consigliere finisce ai domiciliari su impulso della stessa procura di Reggio Calabria. (redazione@corrierecal.it)
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