CATANZARO «Un comportamento odioso quello di sfruttare i bambini per spacciare la droga». Con queste parole il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri ha stigmatizzato il quanto emerso nel corso dell’inchiesta denominata “Drug family” che ha portato a 31 misure cautelari e conta in tutto 36 indagati. Il coinvolgimento dei minori era tale da avere indotto l’intervento del gip per il Tribunale dei minori che ha disposto la misura cautelare per un ragazzo. L’indagine ha riguardato il quartiere Aranceto di Catanzaro dove, come ha ricordato il capo della Squadra mobile Fabio Catalano, il territorio «è ostaggio di sparuti gruppi di famiglie che condizionano l’esistenza di tutta la popolazione residente». «Sono stati coinvolti dei minori, questa purtroppo sta diventando una costante – ha ribadito il procuratore –. Questo è un allarme che fa capire, anche dal punto di vista sociale, che altre istituzioni, altri organismi devono intervenire per debellare questa piaga. Noi, con le forze dell’ordine cerchiamo di fare la nostra parte».
Il procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla ha sottolineato come l’attività di indagine, condotta da carabinieri e polizia, sia stata ostica poiché gli indagati hanno adoperato un sistema di video sorveglianza per controllare entrate e uscite nel quartiere. «I risvolti sul territorio sono stati inquietanti – ha detto Capomolla –, abbiamo registrato due casi per overdose, con una vittima e un sopravvissuto. I minori venivano utilizzati sistematicamente sia per quanto riguarda le vedette, e quindi le contromisure da adottare contro le forze di polizia ma anche per i contatti tra i vari componenti dell’associazione e con gli assuntori delle sostanze stupefacenti», ha aggiunto Capomolla il quale ha detto che le attività tecniche di indagine si sono avvalse anche delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia «due in particolare hanno dato delle utilissime informazioni per la ricostruzione della organizzazione criminale». C’è stato anche il contributo di un collaboratore di giustizia «mancato – ha detto Capomolla – nel senso che ha avviato un percorso di collaborazione dall’interno dell’associazione per poi fare delle scelte diverse. Anche nei confronti di questo soggetto è stata adottata la misura cautelare».
«Non ci sono santuari inespugnabili», ha affermato il procuratore aggiunto Giancarlo Novelli che è responsabile per la Dda della fascia ionica del distretto di Catanzaro. Affermazione sostenuta anche dal colonnello Antonio Montanaro, a guida del comando provinciale dei carabinieri.
Presenza delle forze dell’ordine sul territorio che si è più volte scontrata con gli indagati. In una occasione – ha raccontato il capitano Ferdinando Angeletti, comandante della Compagnia dei carabinieri di Catanzaro – è giunta al 112 una chiamata per l’incendio di autovetture nel quartiere Aranceto. Giunte sul posto le Gazzelle sono state raggiunte da una sassaiola. Una vera e propria imboscata ordita, probabilmente, perché pochi giorni prima era stato sequestrato dai militari un chilo e mezzo di cocaina.
«Lo spaccio – ha detto Angeletti – avveniva su base familiare. L’abitazione interessata non doveva mai rimanere disabitata, sia per poter servire i clienti che per evitare controlli da parte delle forze dell’ordine». Molto spesso il gruppo criminale utilizzava telefonate anonime che accusavano altri soggetti per depistare le indagini.
A capo dell’organizzazione – ha spiegato il dirigente della seconda sezione della Questura di Catanzaro Costantino Belvedere – vi era Marco Passalacqua. Lo spaccio riguardava soprattutto eroina e cocaina ma anche marijuana e hashish. Gli indagati non disdegnavano, inoltre di perpetrare furti con il classico metodo del cavallo di ritorno.
«Un’attività di spaccio senza sosta – ha detto Belvedere – che non si è fermata neanche durante il lockdown». (a.truzzolillo@corrierecal.it)
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