LAMEZIA TERME Chi risulta positivo al Covid 19 in questo momento ha una storia un po’ diversa rispetto a chi ha vissuto la stessa esperienza qualche settimana fa. Da quando è stato registrato il primo caso di variante Omicron in Calabria, il 7 dicembre scorso, la curva ha cominciato a impennarsi – prima lentamente e poi rapidamente – e il quadro dei contagi che si è manifestato subito dopo, che fosse prevedibile o meno, ha superato qualsiasi predizione pessimistica portandoci al record assoluto di casi mai accertati in regione: oltre 2mila. Va da sé che se il virus si diffonde la gestione della sua incidenza risulta ancora più impegnativa: da un lato la quarta ondata si sta affrontando con più restrizioni (il metodo al quale siamo più abituati) ma dall’altro, a due anni dall’insorgere dell’emergenza, ci si aspetterebbe, anche, la pianificazione di più servizi. Contact tracing e possibilità di eseguire test molecolari al bisogno sarebbero due rimedi fondamentali tanto quanto le restrizioni, e, se applicati territorialmente, contribuirebbero a creare una gestione capillare e coerente del fenomeno pandemico. Una gestione plenaria del Covid 19 da parte delle istituzioni e delle autorità sanitarie è quello dovrebbe avvenire, ma che, da quanto testimoniano molti affetti da Covid, non sta accadendo, né nelle grandi città né nelle aree interne della Calabria. Il tracciamento, la quarantena, l’esecuzione di un tampone, sono tutte operazioni lasciate spesso al buon senso e alla capacità organizzativa dei cittadini, che una volta contratto il virus (o dopo aver avuto un contatto con un positivo) in autonomia avvertono le persone che hanno incontrato nelle ultime 48 ore (che a loro volta si ritrovano a dover prendere delle precauzioni), si mettono in isolamento, attendono che l’Asl certifichi la loro condizione con un tampone molecolare, e se ciò non avviene denunciano la propria positività all’amministrazione comunale e al proprio medico di base.
Luca, un lavoratore autonomo di Carlopoli, il centro montano del Reventino dove sorge l’Abbazia di Corazzo, ha raccontato la sua esperienza al Corriere della Calabria. Già vaccinato con doppia dose il 15 dicembre ha scoperto di essere positivo al virus, e, oggi, dopo 16 giorni, è ancora in isolamento ad attendere che l’Asp di Catanzaro lo contatti per riferirgli l’esito dell’ultimo tampone molecolare a cui si è sottoposto insieme ai suoi familiari il 27 dicembre. Quando lo abbiamo sentito per telefono, infatti, ci ha chiesto di poter fare l’intervista nelle ore serali: «Cerco sempre di tenere libero il telefono durante il giorno – ci ha detto – non vorrei che il mio numero risulti occupato all’Asp» una svista non di poco conto dato che potrebbe costargli diversi giorni in più di isolamento. Solo un molecolare con esito negativo, infatti, gli consentirebbe di uscire dalla quarantena e di tornare alla normalità. Ma niente è più complesso della normalità quando c’è di mezzo il Covid e la sanità calabrese, o, perlomeno, così è da quando i contagi hanno cominciato a crescere esponenzialmente mettendo a dura prova il sistema sanitario regionale. Ma all’esordio della malattia per Luca le cose erano filate piuttosto lisce: «L’iter iniziale non ha avuto intoppi – ha spiegato – appena ho scoperto di essere positivo, sono stato subito contattato dall’Asl per effettuare un tampone molecolare a Lamezia Terme, e lì ho avuto conferma dell’infezione. Da quel momento in poi il medico dell’Usca – ha raccontato Luca – mi chiamava quasi tutti i giorni per informarsi sul mio stato di salute e per accertarsi che non sviluppassi complicanze. Fortunatamente ho avuto solo sintomi lievi, mentre mia moglie e mio figlio, in isolamento volontario, sono finora rimasti sempre negativi al Covid». La rete assistenziale, dunque, in una prima fase aveva funzionato e aveva funzionato bene, ma nel giro di poco è cambiato tutto. «Dalla Vigilia di Natale ad oggi il medico dell’Usca mi ha chiamato una sola volta e da diversi giorni aspetto che mi venga comunicato il risultato dell’ultimo test che io mia moglie e mio figlio abbiamo eseguito. Esito – ha continuato – che non solo decreterebbe la fine della nostra quarantena, ma che è necessario per ottenere il super green pass. L’Asl non chiama e per accelerare i tempi ho provato a telefonare io usando i numeri con cui ero stato contattato, un numero risulta sempre occupato e l’altro inesistente. Non so per quanto resterò ancora bloccato in casa – ha concluso con rammarico – da quando sono in quarantena la mia piccola impresa è bloccata e ogni giorno di inattività per me è un serio danno economico».
C’è chi però ha scoperto di essere positivo proprio nei giorni di Natale e da quel momento attende ancora la prima chiamata dell’Asp per effettuare il molecolare e confermare la positività riscontrata col test rapido. Si tratta di diversi casi riscontrati a Soveria, a Decollatura e a Carlopoli, contagi del tutto formali, non conteggiati, privi di tracciamento e del servizio Usca. Sembra di essere piombati in una situazione di autogestione della pandemia, dove le regole da seguire più che prescritte e imposte da qualcuno, vengono applicate spontaneamente dai cittadini. Talvolta col sostegno dei sindaci che provano a sopperire alle carenze dell’Azienda sanitaria. «Abbiamo solo dati informali per ora, per questo motivo non possiamo emanare nessuna ordinanza di quarantena» ci ha spiegato Raffaella Perri, sindaca di Decollatura. «E’ la prima volta dall’inizio della pandemia che nel nostro Comune si registrano diversi contagi in pochissimo tempo. Casi di cui siamo a conoscenza solo perché a comunicarcelo sono stati i cittadini stessi». Decollatura era uscita quasi indenne dalle altre ondate, ma questa volta l’incidenza dei casi non sta risparmiando i centri dell’area del Reventino. Per andare incontro ai nuovi soggetti risultati positivi, il 29 dicembre l’amministrazione di Decollatura ha deciso di contattare l’Asl di Lamezia per proporre l’organizzazione di un drive in per i tamponi. «In questo modo – ha spiegato la sindaca – si sarebbero potuti gestire formalmente i nuovi casi riscontrati nei vari centri della nostra area montana e si poteva verificare la positività dei loro contatti stretti. Ma la risposta dell’azienda sanitaria – ha raccontato – è stata negativa in quanto ci è stato riferito che non ci sono test a sufficienza per allestire un servizio di questo tipo». Il dipartimento Asp che si occupa del Lametino, dunque, sembra in difficoltà, accumula ritardi nell’accertare i casi positivi e soggiace ad una carenza di risorse. Il problema non è solo la fornitura di test, come ha lamentato durante l’ultimo Consiglio comunale il sindaco di Soveria Michele Chiodo: «Il dipartimento di prevenzione sul fronte lametino sconta una grave carenza di personale, non si riesce a fare il tracciamento e ci sono molti ritardi nella gestione dei molecolari. Penso che l’Asp dovrà al più presto adottare delle misure straordinarie per migliorare l’attuale situazione».
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