MILANO I Nuclei di polizia economico finanziaria della Gdf di Milano e Varese, stanno eseguendo 15 arresti in un’inchiesta del pm della Dda milanese Bruna Albertini su presunte infiltrazioni della ‘ndrangheta nei subappalti per lavori sulla rete ferroviaria (Rfi è parte offesa). Nell’ordinanza cautelare è contestata l’associazione per delinquere finalizzata a reati tributari e bancarotta e ad alcuni arrestati l’aggravante dell’agevolazione mafiosa, perché con un sistema di incassi ‘in nero’ società riconducibili ai clan, attive tra il Varesotto e Isola Capo Rizzuto, avrebbero sostenuto affiliati detenuti e le loro famiglie.
Sono stati sequestrati anche oltre 6,5 milioni di euro per reati tributari nell’inchiesta della Gdf di Milano e Varese, coordinata dalla Dda milanese, su presunte infiltrazioni della ‘ndrangheta nelle costruzioni e manutenzioni delle linee ferroviarie che ha portato a 15 arresti (11 in carcere e 4 ai domiciliari). Stando alle indagini, numerose imprese intestate a prestanome e riconducibili alla cosca della ‘ndrangheta dei Nicoscia-Arena di Isola di Capo Rizzuto avrebbero ottenuto in subappalto lavori che Rete Ferroviaria Italiana spa (parte offesa) appaltava a ‘colossi’ del settore, come Generale Costruzioni Ferroviarie spa (Gcf) del Gruppo Rossi. I rapporti tra le società che si aggiudicavano gli appalti e quelle riferibili alle cosche, che prendevano i subappalti, venivano ‘schermati’, secondo l’accusa, attraverso contratti di fornitura di manodopera specializzata, il cosiddetto “distacco di personale” previsto dalla Legge Biagi. E ciò per eludere la normativa antimafia e le limitazioni in materia di subappalto previste per le imprese aggiudicatarie di commesse pubbliche. I lavori di manutenzione della rete ferroviaria finiti al centro delle indagini, condotte dal Gico (Gruppo investigazione criminalità organizzata), riguardano diverse regioni e in prevalenza Lombardia, Veneto, Abruzzo, Lazio, Campania, Calabria e Sicilia.
Alcuni «componenti dell’associazione per delinquere, che avrebbero messo le mani sui
lavori di armamento e manutenzione della rete ferroviaria italiana», avrebbero «agevolato la ‘ndrina, facente capo alla ‘locale’ di Isola Capo Rizzuto, contribuendo al mantenimento finanziario dei detenuti e dei loro familiari e procurando falsi contratti di assunzione per far ottenere benefici premiali a soggetti colpiti da provvedimenti giudiziari». Lo scrive il procuratore facente funzione di Milano, Riccardo Targetti, in un comunicato relativo al blitz della Gdf di Milano e Varese. Le indagini, spiega il procuratore, hanno ricostruito «una rete di società fittiziamente intestate a prestanome, i quali sono risultati fiduciari dei principali indagati» destinatari dell’ordinanza, «tutti soggetti in rapporto di contiguità-parentela con la famiglia ‘ndranghetista Arena-Nicoscia». Gli inquirenti ipotizzano che gli arrestati incassassero profitti “ingenti” dalla «sottoscrizione di contratti apparentemente di ‘distacco di manodopera’, ma di fatto di ‘pura somministrazione’» di lavoratori. Contratti stipulati con «le società appaltatrici delle commesse di Rfi spa per la realizzazione di lavori di manutenzione e armamento delle rete ferroviaria in svariate regioni». I 6,5 milioni di euro sequestrati riguardano «i profitti derivanti dai reati frode fiscale e dalla omessa presentazione delle prescritte dichiarazioni di imposta e dalla compensazioni di debiti erariali con falsi crediti iva».
«Adesso vai a prelevare… mi porti 2.000 euro al mese… a me…che abbiamo i nostri carcerati da mantenere». E’ questo il tono delle intercettazioni che si leggono nell’ordinanza del gip di Milano, che ha portato a 15 arresti nell’inchiesta su presunte infiltrazioni della ‘ndrangheta nei cantieri della rete ferroviaria. Dialoghi in cui parlano, in particolare, i fratelli Antonio e Alfonso Aloisio, finiti in carcere, che si presentano come imprenditori, ma sono «contigui alla ‘ndrangheta», scrive il giudice, e si inseriscono «in modo spregiudicato in contesti imprenditoriali di rilevante spessore, riuscendo in breve tempo a diventare partner delle maggiori imprese operanti nel settore dell’armamento e della manutenzione di reti ferroviarie». Dalle cosche mutano «i metodi violenti per la risoluzione di controversie che possono insorgere sui loro cantieri o con gli operai che vi lavorano». Così respingono un tentativo di estorsione, minacciano «un fornitore che sollecita il pagamento delle sue prestazioni» e puniscono «un operaio che aveva appiccato l’incendio in un magazzino per protesta contro la mancata apertura di una pratica infortunistica». Episodi a cui i due fratelli, parlando nel giugno 2019, fanno riferimento con frasi come «volevano la mazzetta? (…) te la do io la mazzetta, nel cuore te la infilo». E ancora, riferendosi a una persona con cui avevano avuto contrasti, Antonio Aloisio spiega di avergli detto «vedi che te li portiamo al tuo funerale i fiori». E Alfonso: «Guarda che i fiori noi li portiamo per dote, dalla nascita, si è tappato la bocca con me». Tante le intercettazioni di minacce e intimidazioni nelle oltre 380 pagine dell’ordinanza.
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