Libertà di stampa. Musmeci: «Mai piegarsi ai poteri forti»
Il segretario del sindacato Giornalisti della Calabria si schiera contro le denunce temerarie: «Nella nostra regione fenomeno in deciso aumento, anche da parte di chi dovrebbe essere al fianco dei ci…

REGGIO CALABRIA «Intimidazioni e minacce portate avanti anche con denunce temerarie non devono piegare la passione di chi voglia intraprendere questa professione che resta un baluardo di libertà per una regione come la Calabria». Andrea Musmeci, segretario del sindacato Giornalisti della Calabria, invita i cronisti calabresi a non temere le azioni civili che definisce «un bavaglio al diritto di cronaca». Sull’iniziativa lanciata dal Corriere della Calabria assieme ad altre testate, all’ordine e al sindacato dei giornalisti, Musmeci racconta le attività già avviate dal sindacato. Una battaglia, riconosce, che non ha «raggiunto risultati significativi». Da qui la richiesta forte di «far fronte comune» contro l’attacco frontale alla libertà di stampa in Calabria. E ai colleghi “minacciati” assicura: «Come sindacato staremo sempre al loro fianco».
Il mondo giornalistico calabrese in qualche modo è assediato. Ad intimidazioni quotidiane si sommano minacce verbali e azioni civili. Perché un giovane dovrebbe ancora amare questa professione?
«La dovrebbe amare perché comunque resta affascinante. Accedere alla professione, soprattutto nella nostra regione, è quantomeno difficoltoso, ma prerogativa di un giovane dovrebbe essere quella di non arrendersi mai. Intimidazioni e minacce non devono scoraggiare, per usare un eufemismo, fa parte del gioco. In Calabria poi, è più che mai necessario, che chi decide di abbracciare la professione del giornalista sappia che non bisogna mai piegarsi ai così detti “poteri forti”. La nostra professione oggi più che mai è da considerare una sorta di baluardo per difendere i diritti di chi non ha voce».
Tra le minacce che si stanno maggiormente diffondendo c’è quella di azioni civili che spesso si basano sul nulla. Quanto è diffuso il fenomeno in Calabria?
«Tra le varie minacce che spesso ricevono i colleghi ci sono anche le “querele temerarie” che mettono in difficoltà i giornalisti e che di fatto imbavagliano il diritto di cronaca. La Fnsi proprio di recente ha chiesto alla Commissione Europea di meglio interpretare i rapporti tra chi amministra la giustizia e la stampa, ed il ministro Cartabia ha più volte sottolineato che caposaldo della democrazia è proprio il diritto di cronaca. Nella nostra regione il fenomeno delle azioni civili è in deciso aumento, anche da parte di chi dovrebbe essere a fianco dei cittadini».
Come sindacato vi siete schierati da tempo contro quello che giudicate un attacco alla libertà di informazione soprattutto in un territorio già complicato come quello calabrese. Con quali risultati, finora?
«Nonostante le prese di posizione del sindacato dei Giornalisti della Calabria, non si può a suo favore dire che si siano raggiunti risultati significativi. Saremo sempre al fianco dei colleghi e non ci faremo scoraggiare, ma è necessario che la categoria sia compatta non solo facendo fronte comune ma sostenendo l’operato di chi tenta di combattere contro coloro che in modi anche subdoli tentano di mettere bavagli a chi non fa altro che la propria professione. In Calabria è sempre più indispensabile esercitare il diritto di cronaca. Troppe le incongruenze che affliggono la nostra regione che ancora oggi non riesce a trovare la sua giusta collocazione nel panorama nazionale».
Quali strumenti come sindacato potete mettere in piedi per tutelare un giornalista finito sotto attacco?
«Abbiamo pochi strumenti a disposizione del sindacato. Dal punto di vista legale possiamo solo garantire il gratuito patrocinio esclusivamente nella fase iniziale di un procedimento. Questo non vuol dire non essere a fianco dei colleghi minacciati o “intimiditi”. Prerogativa del sindacato è quella di difendere, nel caso specifico, la professione giornalistica e di conseguenza chi svolge con serietà e passione il proprio lavoro».
Ed il problema delle azioni temerarie poi colpisce soprattutto le piccole testate che caratterizzano l’informazione calabrese. È un problema nel problema?
«Certamente. C’è però da sottolineare che poco o niente fanno gli editori. Non è un atto di accusa nei loro confronti, ma potrebbero fare di più. Se di fronte ad un’azione temeraria, chi edita un giornale non prende posizione a difesa di un suo collaboratore, non solo a mio parere, rischia di far perdere credibilità alla testata, ma lascia in balia dei così detti ‘poteri forti’ il giornalista che subisce intimidazioni. Quindi quando parlo di far fronte comune, intendo, che debbono essere coinvolti colleghi ed editori. Forse solo così si potrà ridare dignità all’informazione».
Quale dovrebbe essere la risposta delle istituzioni per difendere la libertà della stampa rispetto a questo vero e proprio attacco soprattutto in una regione fragile – sotto il profilo dei diritti – come è la Calabria?
«Purtroppo le istituzioni non sempre comprendono l’importanza della libertà di stampa. Se si è liberi nell’informare si è anche liberi di potersi confrontare con chi gestisce la “cosa pubblica”. La nostra regione è fragile proprio perché manca un dialogo franco e aperto con le istituzioni. Del resto spesso e volentieri gli attacchi alla professione giornalistica arrivano proprio da chi vede nel nostro mestiere un nemico da contrastare. A mio avviso, resta complicato far capire che una stampa libera ed indipendente riuscirebbe con maggiore incisività a portare avanti le aspirazioni di un territorio, che pur avendo tantissime potenzialità, resta emarginato. La Calabria ha necessità di una libertà di stampa nel senso più pieno e di colleghi che con sempre maggiore passione continuino a svolgere il loro lavoro». (r.desanto@corrierecal.it)