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Povertà educativa, frutto avvelenato per il futuro della Calabria

Il divario di reddito tra generazioni è in crescita. A pagare maggiormente le fasce più deboli con ripercussioni sul rendimento scolastico. Daniele: «Occorre sostenere la scuola»

Pubblicato il: 06/03/2022 – 7:00
di Roberto De Santo
Povertà educativa, frutto avvelenato per il futuro della Calabria

CATANZARO C’è un dato che allarma più di altri per il futuro della Calabria. La crescente povertà diffusa tra le nuove generazioni. Il divario di reddito tra fasce di età aumenta e con esso la possibilità di assistere ad un riscatto del territorio. Compromettendo alle radici qualsiasi ipotesi di sviluppo endogeno. Un depauperamento progressivo che non è solo di carattere economico, ma anche sociale. L’impossibilità di far compiere un balzo in avanti alle nuove generazioni – che anzi registrano livelli di impoverimento maggiore rispetto ai propri genitori – si trasforma in una sorta di gabbia. Soprattutto per giovani e giovanissimi.
Una tendenza che si è rafforzata in Italia durante l’emergenza pandemica. Secondo i dati dell’Istat oltre il 13% dei minori è scivolato nella condizione di povertà assoluta dopo la diffusione dell’epidemia. E nella fascia tra i 18 e il 34 anni la quota di poveri è cresciuta di oltre 11 punti percentuali.
In Calabria, secondo i dati di “Save the children” che ha mappato la situazione, i minori in povertà relativa sfiorano un terzo. Per l’esattezza il 32,7% si trova in questa condizione.  I dati di Bankitalia dimostrano poi che la quota di minori che vivono in nuclei familiari privi di reddito durante l’anno più buio della pandemia, in Calabria è salito di circa un quarto.


L’altro aspetto che sembra far allungare una triste ombra sul futuro prossimo della regione è quello relativo alla povertà educativa.
Secondo l’ultimo rapporto Bes dell’Istat (nel periodo pre-pandemico), la Calabria registra il tasso più alto in Italia di competenze alfabetiche inadeguate nelle scuole superiori di secondo grado: con 47 studenti su cento.
Con la provincia di Crotone all’ultimo gradino nella classifica nazionale per impreparazione: circa il 57%. Una percentuale che sale se si valutano le competenze numeriche. Qui la fascia di studenti con un livello insufficiente tocca il 57,7%.
E dopo lo scoppio dell’epidemia e l’avvento della didattica a distanza quei dati sull’acquisizione delle competenze tra gli studenti calabresi sono peggiorati. Facendo superare ampiamente quota 60% tra i maturandi che non hanno raggiunto una soglia sufficiente di competenze alfabetiche (esattamente il 64%) e matematiche (addirittura 7 giovani su 10).
Come è elevatissimo il dato di chi tra i giovanissimi rientra nel novero dei Neet, cioè quei soggetti di un’età compresa tra i 15 e i 29 anni che né lavora né è inserita in circuiti formativi. Anche qui le province calabresi hanno il triste primato di stare in testa alla classifica nazionale.

Fonte: Istat

Dunque povertà economica che fa il paio con quella educativa, quasi a confortare la tesi diffusa secondo la quale quanto maggiore è il tasso di indigenza diffusa in un territorio, tanto elevato sarà quello relativo al livello di istruzione e formazione professionale. E sono proprio gli effetti di questo combinato disposto a gettare i timori più profondi sul futuro prossimo della Calabria. Se infatti le condizioni socio-economiche delle famiglie si riflettono poi sul rendimento scolastico dei ragazzi da cui provengono, il progressivo depauperamento del territorio rischia di compromettere le aspettative di sviluppo della regione. Cioè con il crescere del divario economico tra la Calabria e il resto del Paese – fenomeno in atto da tempo – aumenta il rischio dell’involuzione formativa dei giovani che provengono dalle fasce più povere della popolazione. Un meccanismo che, se non affrontato con le giuste misure correttive, potrebbe compromettere per sempre le aspettative di recupero del gap territoriale. Bloccando l’ascensore sociale di intere fette di cittadini calabresi, con ripercussioni su tutto il tessuto socio-economico della regione.

Daniele: «La scuola è fondamentale per l’uguaglianza. Va sostenuta»

Vittorio Daniele, professore di Politica Economica all’Università “Magna Graecia” di Catanzaro ha curato alcuni interessanti studi sulla correlazione tra competenze scolastiche e disuguaglianza sociale. In un paper, il docente ha fatto emergere come la condizione socioeconomica delle famiglie ha un ruolo fondamentale nel rendimento scolastico. Ma non solo, c’è anche il contesto in cui i ragazzi vivono fin dall’infanzia.

Vittorio Daniele, professore di Politica Economica all’Università “Magna Graecia”

Professore la Calabria è costantemente tra le regioni con minore crescita economica, mentre il tasso di povertà resta tra i più alti in Italia. Perché non si riesce ad uscire da questa condizione?
«
Perché il ritardo della Calabria, come del resto del Sud, dipende da fattori storici e geografici che hanno determinato uno sviluppo insufficiente della base industriale. Il Pil per abitante in Calabria è oggi circa la metà di quello medio del Nord: un divario che può essere ridotto, ma non colmato. Per far sì che il divario si riduca sono necessarie politiche di sviluppo che, però, a oggi, si sono dimostrate insufficienti e scarsamente efficaci».

Tra gli effetti della diffusa povertà c’è anche una crescita delle disuguaglianze sociali tra classi e tra la Calabria ed il resto del Paese.
«
Da anni, ormai, le disuguaglianze sociali crescono in quasi tutti i paesi europei. L’Italia non fa eccezione. La ricchezza tende sempre più a concentrarsi in un gruppo ristretto di persone: in Italia, il 20% più ricco della popolazione detiene il 70% della ricchezza nazionale, mentre il 60% più povero ne detiene il 13,3%. L’indice di Gini, che misura la disuguaglianza nel reddito è, in Italia, pari a 30 punti percentuali; al Sud è un po’ più alto che al Nord. Secondo l’Istat, nel 2020, quasi il 21% delle famiglie calabresi era in condizione di povertà relativa, a fronte del 6% delle famiglie del Nord. La povertà relativa (che è anche una misura di disuguaglianza) è data dalla percentuale di famiglie la cui spesa per consumi è al di sotto di una data soglia. Nel 2020, per una famiglia di quattro persone, la soglia di povertà relativa era di 1.633 euro mensili. Al Sud la quota di famiglie povere è maggiore che al Nord ma, poiché anche i prezzi sono mediamente più bassi, per molte famiglie a basso reddito la condizione di povertà è più sopportabile». 

Lo studio del professor Daniele che mette in relazione la povertà relativa e i punteggi Pisa

Studi fanno emergere inoltre che vi è una diretta connessione tra la condizione di povertà relativa e il rendimento scolastico. Gli studenti calabresi risultano agli ultimi posti nelle prove Invalsi. Potrebbe rappresentare un esempio?
«Come mostro in un mio recente lavoro, nelle regioni in cui la povertà relativa è maggiore, i risultati nei test scolastici sono mediamente più bassi. Nelle prove Invalsi, gli studenti meridionali ottengono sistematicamente punteggi inferiori a quelli dei loro coetanei settentrionali. Nel 2021, per esempio, il 64% degli studenti calabresi frequentanti l’ultimo anno delle superiori non ha raggiunto la soglia minima di competenze in italiano; una percentuale che sale al 70% per la matematica. In Veneto, le percentuali sono, rispettivamente, del 32% e del 38%. Un divario davvero considerevole. I risultati scolastici dipendono dalla condizione socioeconomica familiare, ma anche dal contesto sociale in cui gli studenti, sin dall’infanzia, vivono. In altre parole, la povertà economica si accompagna con quella educativa».

Eppure c’è chi sostiene, come lo psicologo Richard Lynn, che gli esiti scolastici dipendano addirittura da fattori genetici. Quasi che il nascere in alcune regioni influisca poi sulla resa negli studi?
«La tesi di Richard Lynn, esposta qualche anno fa in alcuni articoli, è che i divari tra Nord e Sud Italia nei risultati scolastici siano dovuti, almeno in parte, a differenze nel quoziente d’intelligenza (QI) delle popolazioni. I meridionali sarebbero meno intelligenti dei settentrionali e ciò contribuirebbe a spiegare i divari scolastici, ma anche quelli economici tra le due aree del paese. Il minor quoziente intellettivo medio dei meridionali sarebbe dovuto all’eredità genetica dei fenici e degli arabi che, in epoche diverse, si sono insediate in alcune aree del Sud. Dunque, se gli studenti calabresi e siciliani ottengono risultati mediamente inferiori nei test scolastici rispetto a quelli veneti o trentini, si deve non solo a cause socioeconomiche, ma anche genetiche, dunque ineliminabili. Una tesi scandalosa e discutibile».    

Certo è che la qualità dell’istruzione dei giovani determina poi la loro capacità di competere sul mercato del lavoro. Meno si è qualificati maggiore è il rischio di non migliorare la propria condizione economica. Dunque, una sorta di cane che si morde la coda e che rischia di far peggiorare la situazione calabrese?
«L’istruzione è un percorso cumulativo, in cui le competenze si costruiscono su quelle acquisite in precedenza. Le disuguaglianze iniziali, legate alla condizione familiare e al contesto sociale, influenzano il percorso formativo degli studenti e, in qualche misura, anche le loro prospettive occupazionali. Poiché l’Italia è un paese con ampie disuguaglianze territoriali, i destini individuali dipendono anche dal luogo in cui si nasce. Nascere a Trento non è la stessa cosa che nascere in un paesino dell’Aspromonte. La povertà socioeconomica influenza quella educativa e viceversa: le disuguaglianze si trasmettono, così, tra le generazioni. La scuola ha un ruolo fondamentale per l’uguaglianza e la mobilità sociale, e questo ruolo va sostenuto».

La diffusione della pandemia ha poi peggiorato il quadro economico della Calabria. Quanto ha influito sull’aggravamento delle condizioni di povertà nella regione?
«Secondo le rilevazioni ufficiali, nel 2020, con la pandemia il numero di persone in povertà assoluta è aumentato in tutto il paese, ma al Nord più che al Sud dove, però, l’incidenza continua a essere maggiore. È diminuita, invece, la povertà relativa che, ricordiamo, è una misura di disuguaglianza. In Calabria, il numero di famiglie in povertà relativa è calato di circa il 2%. Ciò è spiegato dalla contrazione generalizzata della spesa per consumi, che ha fatto diminuire le differenze tra le famiglie ricche e quelle meno abbienti. A trovarsi in condizione di povertà non sono solo i disoccupati, ma anche le famiglie di immigrati, quelle più numerose e, spesso, quelle che non hanno una casa di proprietà. Ci sono, poi, i nuovi poveri, i giovani con lavori precari e a basso reddito».    

Con l’arrivo delle risorse del Pnrr e della nuova Programmazione comunitaria si sta ora aprendo una nuova e straordinaria fase per la Calabria. Quali potrebbero essere gli interventi principali per contrastare la povertà diffusa?
«Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) prevede interventi per contrastare la povertà educativa al Sud. Tra quelli previsti, vi sono la realizzazione di asili nido, la riqualificazione degli edifici scolastici e il finanziamento di progetti educativi e del Terzo settore. Ritengo, però, che interventi come quelli infrastrutturali, pur utili vista la condizione di molti edifici scolastici, servano poco per ridurre il divario nelle competenze rispetto al Nord. Per la povertà economica, il Pnrr prevede, tra l’altro, interventi per il rafforzamento dei servizi sociali e per offrire a prezzi accessibili abitazioni alle famiglie meno abbienti. La riforma delle politiche per la famiglia, richiamata nel Pnrr, prevede un assegno unico familiare e altre misure di sostegno per alleviare la povertà minorile. Per contrastare la povertà è necessario, però, creare nuove opportunità occupazionali. Quella dello sviluppo economico, e della riduzione delle disuguaglianze, è la sfida che il nostro Paese si trova ad affrontare nei prossimi anni». (r.desanto@corrierecal.it)

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