«Ripensare il lavoro dopo il Coronavirus»
Che tipo di rapporto hanno gli italiani con il lavoro dopo un biennio di pandemia? Quali sono le esigenze, i giudizi e i desideri maturati in un periodo segnato da trasformazioni profonde e repentine…

Che tipo di rapporto hanno gli italiani con il lavoro dopo un biennio di pandemia? Quali sono le esigenze, i giudizi e i desideri maturati in un periodo segnato da trasformazioni profonde e repentine del modo di lavorare? Sono alcuni tra gli interrogativi al centro del 5° Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale, che si concentra sulle trasformazioni in atto nel mondo del lavoro sotto l’aspetto qualitativo, e quindi analizzando il rapporto soggettivo degli italiani con il lavoro. Incertezza esistenziale e insicurezza diffusa sono penetrate nel rapporto delle persone con il lavoro, riducendo la capacità del lavoro stesso di rassicurare e generare tranquillità. E infatti, 1 lavoratore su 3 ha ansia nel pensare al ritorno alla normalità, mentre quasi 7 su 10 pensando al proprio lavoro si sente meno sicuro e tutelato rispetto a due anni fa. Si accentua dunque la crisi del rapporto soggettivo degli italiani con il lavoro, con una forte contraddizione tra il senso di sollievo per aver mantenuto il proprio posto e la latente ma intensa insoddisfazione verso il proprio lavoro. Un fenomeno pericoloso di “estraniazione dal lavoro nel lavoro” destinato ad accentuarsi nei prossimi anni e determinato dal fatto che il lavoro non riesce più a dare quel riconoscimento necessario a generare identità e appartenenza.
«Tra i lavoratori italiani il pragmatismo vince sulla tentazione delle dimissioni al buio per cercare un impiego più gratificante o per fare altro – spiega Francesco Maietta, responsabile Politiche sociali del Censis -. Il 56,2% degli occupati in Italia non è propenso a lasciare il proprio lavoro, nella convinzione che non troverebbe un impiego migliore. La percentuale sale al 62,2% tra i 35-64enni e al 63,3% tra gli operai». Tra i fattori che affliggono l’umore degli italiani al lavoro prevale lo stress e il timore per quello che potrebbe accadere. Il 73,8% degli occupati ritiene che nei prossimi dieci anni ci saranno altre importanti emergenze sanitarie o di altro tipo, con una interruzione della vita ordinaria e inevitabili risvolti di incertezza estrema sul futuro, che tocca anche le relazioni con le aziende e il lavoro mentre il 68,8% dei lavoratori, pensando al proprio lavoro e al ruolo svolto nell’azienda, si sente meno sicuro e con le spalle meno coperte rispetto a due anni fa. Altro fattore che contribuisce a creare una sindrome amotivazionale è rappresentato dal blocco della retribuzione: il 58,1% dei lavoratori ritiene di ricevere una retribuzione non adeguata al lavoro svolto. La percezione è confermata dalle statistiche ufficiali: negli ultimi 20 anni le retribuzioni medie lorde annue nel nostro Paese si sono ridotte del 3,6% in termini reali (al netto dell’inflazione), mentre in Germania sono aumentate del 17,9% e in Francia del 17,5%. L’analisi del Censis ha messo in luce che per il 51,3% degli occupati la propria professione è cambiata molto durante la pandemia, a partire dal cambiamento nell’uso del digitale, necessario ma non indolore: il 58% ha riscontrato difficoltà nell’utilizzo dei dispositivi digitali. Anche sul passaggio obbligato e rapido al lavoro agile l’analisi rileva una notevole articolazione di preferenze individuali: il 25,1% non vorrebbe farlo, il 32,9% è soddisfatto e vorrebbe proseguire, il 42% opterebbe per una soluzione ibrida.
Cosa vorrebbero quindi i lavoratori italiani in questo momento? Il 91,2% dei lavoratori vorrebbe retribuzioni più alte, l’86,5% più servizi di welfare aziendale in ambiti come la sanità e l’assistenza per i figli, il 75,2% un maggiore supporto nel rispondere ai bisogni sociali, quali la non autosufficienza di un familiare, la previdenza e l’istruzione dei figli. In sostanza più soldi e welfare aziendale. Intanto aumentano le imprese che puntano sugli strumenti del welfare aziendale. Per il 62,5% di un panel di responsabili delle risorse umane di grandi imprese il welfare aziendale è una priorità e il 71,9% si dice pronto ad attivare servizi ad hoc per informare nel merito i lavoratori e rispondere ai loro bisogni. Piani di welfare «su misura», fatti di servizi e supporti personalizzati, disegnati sull’unicità dei bisogni del lavoratore, possono dare un contributo decisivo alla domanda di riconoscimento dei lavoratori, stimolando un diverso rapporto con il lavoro e con l’azienda.