LOCRI Chiesto l’ergastolo per Susanna Brescia e 30 anni di reclusione per Francesco Sfara e Giuseppe Menniti. Chiesta, invece l’assoluzione per Giuseppe Sfara (per non aver commesso il fatto). Queste le conclusioni della requisitoria del pm Marzia Currao, titolare dell’indagine per l’omicidio di Vincenzo Cordì. Il 42enne di Gioiosa Jonica era stato trovato carbonizzato all’interno della propria autovettura il 13 novembre 2019, in località Scialata del comune di San Giovanni di Gerace. Nell’aula del tribunale di Locri, a presiedere la Corte d’Assise Amelia Monteleone, giudice a latere Mariagrazia Galati.
L’omicidio, secondo l’accusa, si è consumato ad opera di Sussanna Brescia, compagna di Cordì, Giuseppe Menniti, l’amante della donna, e Francesco Sfara, figlio della donna avuto da una precedente relazione. Il delitto fu definito dal procuratore di Locri, Luigi D’Alessio «uno degli omicidi più efferati degli ultimi anni nella Locride». «Un omicidio – ha sottolineato il pm – dove tutti e tre meriterebbero l’ergastolo perché è di una crudeltà immensa». Vincenzo Cordì, che era scomparso due giorni prima del ritrovamento del cadavere carbonizzato, è morto dopo essere stato tramortito e dato alle fiamme ancora vivo all’interno della sua Fiat 16 la notte dell’11 novembre 2019. Questa la ricostruzione fatta dagli inquirenti, che hanno indagato sul caso per tre mesi. Da subito era stata esclusa l’ipotesi di suicidio, nonostante la donna sostenesse proprio questa tesi. Il giorno seguente l’omicidio Susanna Brescia aveva fatto una denuncia di scomparsa: secondo l’accusa una messa in scena con il tentativo di depistare le indagini. La donna sosteneva che Cordì fosse molto depresso e che facesse uso di antidepressivi. «Totalmente falso», ha sottolineato il pm. Decisive ai fini delle indagini le telecamere di videosorveglianza presenti in diversi punti del territorio circostante al ritrovamento del cadavere, attraverso cui gli inquirenti sono stati in grado di ricostruire gli spostamenti di quella notte. A incastrare gli indagati – secondo l’accusa – ci sono, inoltre, le prove scientifiche: una tra tutte le impronte digitali di Susanna Brescia sull’accendino antivento utilizzato per dare fuoco all’auto e trovato poco distante dalla scena del delitto. Numerosi, inoltre, i messaggi e le chiamate intercorse fra i tre indagati nelle fasi immediatamente successive all’omicidio.
«Susanna Brescia era una donna gelosa» e «non era fedele», è stato sottolineato in aula. Secondo l’accusa, il movente dell’omicidio è da ricercare nei difficili rapporti che Cordì intratteneva con la donna dalla quale aveva avuto due gemelli. Per Giuseppe Menniti e Francesco Sfara, invece, il movente sarebbe da ricercare nella «volontà di aiutare l’imputata ad annientare il compagno». «Lei era spaventata dal test del Dna sui due gemelli», ha detto Currao, leggendo alcune conversazioni della donna in aula. Susanna Brescia, secondo l’accusa, intratteneva da diverso tempo una relazione extraconiugale con Giuseppe Menniti, benché fosse particolarmente gelosa del compagno. I testimoni ascoltati in aula hanno parlato di «continue telefonate anche mentre Vincenzo si trovava sul luogo di lavoro». Secondo quanto emerso, l’uomo nel 2016 era stato ricoverato per intossicazione da barbiturici che avrebbe assunto senza rendersene conto: secondo l’accusa è stato un primo tentativo di avvelenamento, «un tentato omicidio», ha affermato il pm. (redazione@corrierecal.it)
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