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Misiti: «Il diritto alla salute non può essere legato a interessi particolari. La politica non lo capisce»

Intervista al deputato del M5S. «In 12 anni di commissariamento nulla ha funzionato. Se non si cambia strada per la sanità non c’è speranza»

Pubblicato il: 25/05/2022 – 7:38
di Emiliano Morrone
Misiti: «Il diritto alla salute non può essere legato a interessi particolari. La politica non lo capisce»

ROMA Massimo Misiti, Carmelo di primo nome, è un chirurgo ortopedico cosentino, molto stimato in ambito professionale, anche al di fuori della Calabria. Vanta un curriculum prestigioso. Da ortopedico ha svolto volontariato in Camerum, Eritrea, Tanzania, America del Sud. Tra l’altro, ha contribuito a creare un ospedale in Eritrea, in cui sono presenti reparti attrezzati. Misiti, ora anche deputato della Repubblica, è un esponente atipico del Movimento 5 Stelle, nel senso che non fa molta comunicazione social ma preferisce lavorare in silenzio. Mai aggressivo, in Parlamento è nota la sua pacatezza. In Calabria, raccontano degli attivisti della provincia di Cosenza, è riuscito a creare armonia tra gli eletti pentastellati, per il suo carattere inclusivo e la voglia di costruire gruppo, di mettere insieme le intelligenze e le esperienze di ciascuno. Di recente Misiti ha presentato una proposta di legge di riforma dell’Emergenza/Urgenza. Ne abbiamo discusso con lui, chiedendogli, tra l’altro, la propria opinione sull’operato del commissario per l’attuazione del Piano di rientro, Roberto Occhiuto, e sul futuro della sanità calabrese.

Lei ha presentato una proposta di legge per riformare il sistema dell’Emergenza/Urgenza sanitaria. Che cosa prevede e quali criticità si prefigge di risolvere?
L’obiettivo è ambizioso, spero non presuntuoso. In poche parole, la mia proposta di legge mira a strutturare un sistema di emergenza omogeneo su tutto il territorio. Così i pazienti bisognosi di trattamento in urgenza possono essere seguiti dal momento della richiesta di soccorso fino al trattamento stesso presso la struttura sanitaria alla quale vengono destinati o alla quale si sono rivolti. La proposta punta a garantire la presenza sul territorio di mezzi e personale omogeneamente formato e pronto ad eseguire o seguire le indicazioni dei sanitari della Centrale operativa. Centrale operativa che, per come ho articolato la proposta, è perfettamente consapevole dei mezzi in servizio e di quelli a disposizione, oltre che della disponibilità dei posti letto “in tempo reale” nelle strutture di riferimento. Di eguale importanza è, nella mia proposta, la creazione del dipartimento dell’Emergenza/Urgenza con l’integrazione del servizio territoriale e ospedaliero, assolutamente in grado di affrontare le emergenze sanitarie. Immagino un percorso di turn over tra il personale che presta servizio interno e/o esterno alla struttura sanitaria. Penso a un sistema dell’emergenza che sia di attrazione per il personale sanitario (medici ed infermieri); che assicuri una premialità anche economica; che sia ambìto dal personale e non frustante come adesso; che, insomma, dia modo al cittadino di essere curato.

Crede che la proposta di legge possa essere approvata nella legislatura corrente?
Sarebbe un ottimo risultato. So bene che questo obiettivo è difficile da raggiungere in tempi brevi. In Senato si sta lavorando alla riforma dell’Emergenza con una lentezza esasperante. Per invertire questa lentezza, mi auguro che una pressione mediatica possa far comprendere la necessità dell’approvazione della legge di riforma del settore. Insieme agli stakeholder con cui ho lavorato da più anni alla stesura della proposta legislativa, speriamo di aver trovato la giusta strategia e i giusti interlocutori.

Lei ha già detto che oggi si registra sempre meno personale disposto a lavorare nell’Emergenza/Urgenza. Al riguardo ha parlato di posti di formazione che vanno deserti, di medici e infermieri quotidianamente malmenati nelle unità di Pronto soccorso e di altri problemi specifici. Oltre agli interventi legislativi, di che cosa c’è bisogno?
Di giusta attenzione, di conoscenza dei problemi. Non si possono proporre e far approvare regolamenti, leggi e disposizioni da chi ha solo svolto un ruolo dirigenziale amministrativo, da chi non ha prestato un solo minuto di lavoro nel campo dell’Emergenza/Urgenza. La sanità per anni ha subito il percorso dei tagli e mai quello della programmazione e degli investimenti, sia in campo regionale che nazionale.

Come si può agire in modo trasparente e legale per favorire la riapertura, in Calabria, di ospedali chiusi? Quali presìdi ospedalieri, e per quali motivi, andrebbero a suo avviso riattivati? 
È una domanda alla quale non è facile rispondere in modo semplice e sintetico. Sarebbe importante sapere quando sono stati chiusi quali erano gli obiettivi per i quali venivano chiusi, se sono stati raggiunti o meno; se il personale degli ospedali chiusi è stato integrato nelle strutture aperte; quale era il piano operativo sanitario dell’epoca e qual è il piano operativo sanitario di riferimento ad oggi.
Anni fa si sarebbero dovute organizzare le reti sanitarie regionali in un tempo certo e con percorso ben definito. Il famoso Dca 64 (il decreto commissariale vigente sulla rete ospedaliera, nda) ne aveva dato indicazioni, anche se non la tempistica. Molto a me sembra sia stato fatto solo in modo molto molto superficiale, nell’esecuzioni di diktat politici, e molto poco in un percorso di esigenze dell’ambito territoriale. Ma già oggi le esigenze e le necessità sono diverse.
Va rivista la distribuzione della popolazione sul territorio, vanno rivisti il numero di posti letto che non possono essere quelli indicati dall’Europa, né quelli previsti dall’ormai vecchio DM 70 (il decreto ministeriale sugli standard ospedalieri, nda) né tantomeno dal nuovo e non accettabile decreto di aggiornamento. Il pianeta sanità è complesso e non si può ragionare in modo matematico. Occorre invece ragionare in modo complessivo.

Che cosa, nei quasi dodici anni di commissariamento, non ha funzionato nella riorganizzazione della sanità calabrese?
Alla luce dell’evidenze attuali, ha funzionato assolutamente nulla. 

Come vede, al momento, il rapporto tra sanità pubblica e sanità privata in Calabria?
Mancano ancora la giusta collaborazione e la programmazione. Non ci sono paletti e/o muri da spostare, ma regole da seguire. Molto spesso questo non avviene.

Perché sul diritto alla salute non c’è, in generale, convergenza tra le rappresentanze politiche della Calabria?
Perché c’è ancora chi lavora sotto le bandiere della politica, dell’interesse politico. Perché la politica, che non è più quella degli anni passati, non ha ancora compreso che il diritto alla salute è legato alle necessità dei cittadini e non all’interesse del singolo o di particolari ambienti.

È vero che in Calabria c’è una certa tendenza ad allontanare i medici bravi?
È una evidenza sotto gli occhi di tutti.

Assunzioni, strutture, dotazioni tecnologiche, management, ricambio generazionale, meritocrazia, criteri di ripartizione del Fondo sanitario. Ho ricordato alcune questioni ricorrenti. Quali sono, a suo avviso, le priorità cui dedicarsi perché la sanità calabrese inverta la rotta?
Il mio pensiero, non penso possa far piacere, è legato a quello che vedo e vivo. Se il fallimento è sotto gli occhi di tutti, ed un fallimento avviene in tanti anni dal punto di vista amministrativo, politico e sanitario qualcuno ha delle responsabilità di cui penso debba dar conto a stesso e ai cittadini.

Che cosa pensa della gestione del Piano di rientro da parte del commissario Roberto Occhiuto?
Ha appena iniziato, sta facendo una ricognizione. Diamogli ancora un po’ di tempo.

È ottimista rispetto al futuro della sanità calabrese?
Se la via che verrà seguita sarà quella del passato, la mia risposta è No.

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