SAN LUCA A passi lenti ma decisi, sotto il sole cocente di luglio. Ogni tanto una sosta per riprendere fiato e bere un sorso d’acqua. Il percorso a tappe per fermarsi ad ascoltare le testimonianze di chi ha perso una madre, un padre, una sorella, un figlio. La marcia di Libera nel cuore dell’Aspromonte per ricordare le vittime innocenti della ‘ndrangheta è lenta ma decisa. Un racconto di morte che si intreccia inevitabilmente con l’estrema bellezza di quei luoghi di cui è necessario riappropriarsi e la speranza che si legge – nonostante le sofferenze indicibili – negli occhi di chi è sopravvissuto. Luoghi che, come è successo 19 anni fa con la vicenda che ha coinvolto Lollò Cartisano e la sua famiglia, possono dare risposte inaspettate.
Era il 22 luglio del 1993. Nella Locride era il periodo dei sequestri di persona e dei morti ammazzati per strada. Quando Adolfo Cartisano, conosciuto come Lollò, fece ritorno con la moglie nella sua casa al mare venne rapito. Da quel momento partirono le indagini e le mobilitazioni per ritrovarlo, ma del fotografo di Bovalino con la passione per il calcio non si seppe più nulla. Le risposte arrivarono soltanto dieci anni dopo, nel 2003, con la confessione di un pentito che in una lettera anonima rivelò che il corpo del fotografo si trovava in Aspromonte, nei pressi di Pietra Cappa. «Pensavamo che il desiderio di avere almeno il corpo di mio padre fosse impossibile da esaudire», racconta ai nostri microfoni la figlia Deborah, referente di Libera Locride. E invece è arrivato quello che la famiglia Cartisano definisce «un dono immenso»: la verità.
Ad ogni tappa il racconto di una vita spezzata dalla ‘ndrangheta. Dal 2003 il cammino promosso da Libera traccia il percorso di chi non vuole dimenticare, ripercorrendo i passi che permisero alle forze dell’ordine di trovare le spoglie di Cartisano. Non con poca fatica, donne, uomini, anziani e bambini percorrono il sentiero impervio – fatto di strade dissestate – che porta ai piedi del monolite più alto d’Europa che si innalza sopra San Luca. «Chi cammina insieme a noi racconta e fa conoscere la storia dei propri cari. Spesso – spiega Deborah Cartisano – si tratta di storie sconosciute, soprattutto dalle nuove generazioni che sicuramente non le studieranno sui libri di scuola. Tutto questo ha una valenza educativa anche per i giovani che non sanno a volte spiegarsi come mai questa terra sia ridotta cosi, e il sacrificio umano che c’è stato e che continua ad esserci. Vedere meno sangue, meno stragi, dà l’illusione che le mafie non ci siano più. Invece – afferma la referente di Libera – lavorano più di prima, hanno solo cambiato aspetto».
Ricordo e speranza. Con queste due parole il prefetto di Reggio Calabria, Massimo Mariani, ha descritto l’importanza di una giornata come quella organizzata da Libera. «È un momento dedicato al ricordo. È doveroso non lasciare indietro queste storie e i volti delle persone vittime della ‘ndrangheta e di tutte le mafie. La ‘ndrangheta – ha spiegato Mariani – oggi si occulta, ma l’influenza su queste terre continua a farsi sentire e continua a condizionare la vita sociale, economica e culturale». «Essere qui con tutti questi giovani – ha aggiunto il prefetto di Reggio Calabria – significa seminare la speranza di una crescita reale di questa terra con l’aiuto di tutti».
Carico di forza ed emozione l’intervento di don Ciotti prima della celebrazione della messa ai piedi di Pietra Cappa. «C’è bisogno di verità. E la verità gira per le nostre strade. C’è chi ha visto, chi ha sentito. L’omertà uccide tutto», ha tuonato il fondatore di Libera, che ha sottolineato: «Le mafie oggi sono più forti di prima. Sono tornate più forti di prima. Oggi si uccidono meno i corpi, ma si uccidono di più le speranze delle persone». Don Ciotti ha poi parlato dell’importanza di una «rinascita» della società. «Continuate a credere che un nuovo mondo, non solo è possibile, ma anche necessario. Anche se la strada è in salita. È il momento in cui ci deve essere una rinascita in questa società».
x
x