ROSSANO Nel dicembre scorso il brindisi di fine anno con i dipendenti, nel gennaio successivo la comunicazione relativa all’avvio delle procedure di licenziamento, pochi giorni fa, il 10 settembre, le lettere di licenziamento.
Per 40 lavoratori della Simet, l’azienda di trasporti con sede a Corigliano Rossano che collega la Calabria con le principali città del Nord Italia e con l’estero si apre lo spettro della disoccupazione, mentre altri 30 si erano dimessi, a giudizio dei sindacati, sotto la pressione dell’azienda. Quest’ultima ha comunicato che l’assegno di integrazione salariale chiesto non puo’ essere applicato «in quanto accolto in misura parziale e di conseguenza in misura insufficiente rispetto al periodo richiesto».
L’azienda, insomma, sostiene di aver tentato la procedura della Cassa integrazione che, non essendo stata accolta, ha reso inevitabile il licenziamento di 70 persone a causa della crisi indotta dalla congiuntura economica. Così, il 10 settembre scorso i dipendenti in esubero hanno ricevuto le lettere di licenziamento.
Ma le motivazioni addotte dalla proprietà non convincono i lavoratori, come spiega all’Agi Elda Renna, portavoce dei suoi colleghi. «Già dal 2017 – dichiara Elda, autista, che è fra i 40 licenziati – la Simet ha affidato ad altre ditte la gestione di alcune tratte. Si tratta di aziende provenienti da altre regioni che operano la livrea dell’azienda. In pratica, la Simet intende adottare il modello Flixibus, scaricando su di noi il suo cambio di strategia». Nei giorni scorsi la portavoce, che evidenzia «il totale disinteresse» della politica, locale e nazionale, verso la vertenza, ha diffuso una lettera a nome dei suoi colleghi. «Siamo – sostiene – le vittime sacrificali di una discutibile ristrutturazione aziendale ma anche dell’evidente abbandono che abbiamo percepito da parte di tutte le forze politiche, locali e nazionali. Da una parte, è chiaro come l’azienda stia mettendo in atto un decisivo passaggio di una rimodulazione della politica interna, mirante a trasformare il suo modello scaricando le presunte difficoltà su chi ha creato, con il suo lavoro, la ricchezza dei titolari della ditta».
Renna parla, dunque, di «presunte» difficoltà spiegando che «la maggioranza dei lavoratori licenziati proviene dalla fascia ionica, la zona in cui le linee sono maggiormente occupate e cariche di lavoro come lo sono, peraltro, le altre aziende che concorrono nello stesso ambito».
La sindacalista-portavoce denuncia «il completo disinteresse dei partiti e delle loro dirigenze alla questione, eccetto qualche rarissima eccezione. Quello che sospettiamo è che, in periodo pre-elettorale, non risulti abbastanza proficuo e conveniente, per determinati esponenti politici, “sporcarsi le mani” denunciando un sopruso e appoggiando un conflitto sociale col rischio di inimicarsi determinati ambienti padronali, importanti per l’acquisizione dei consensi previsti».
Dal 2018, si ribadisce nella lettera, «l’azienda ha cominciato ad appaltare alcune linee a imprese esterne, esternalizzando il servizio al fine di diventare un business modalità Flixbus, togliendosi il personale di dosso, delegando il servizio vero e proprio ad aziende che riescono a risparmiare di piu’ sui dipendenti attraverso un minor costo del lavoro e, magari, dei contratti con minori tutele, assumendo personale con i nuovi contratti atipici e senza il vecchio articolo 18, ma mantenendo il brand e l’organizzazione del lavoro in generale. In questo momento, ad esempio, nella linea da Crotone a Roma e viceversa il trasporto viene operato da altre aziende che hanno sempre la livrea Simet, gli autisti con divisa Simet, ma sono dipendenti di aziende di noleggio autobus».
I dipendenti della Simet erano più di 130 «e negli ultimi due anni – denunciano i lavoratori – la proprietà ha lavorato molto sul piano psicologico per fare in modo che molte persone andassero via da sole, prima attraverso la pressione velata e la minaccia di una crisi aziendale e, poi, nel periodo Covid con continui ritardi nell’erogazione degli stipendi o forzando i lavoratori a svolgere servizi al nord per mesi lontani dalle famiglie. Fino a quello che è, per noi, un tragico epilogo».
«La situazione di crisi della nostra società parte da lontano, da un accordo venuto meno con il gruppo Fs. Abbiamo avuto due anni di disastri aziendali, poi sono arrivati il Covid, la guerra e il caro energia. Tutto questo ci ha messo in difficoltà. Abbiamo percio’ dovuto seguire, tramite l’associazione degli industriali, l’iter finalizzato alla riduzione del personale per ridurre i costi». Gerardo Smurra, presidente della Simet, la società di trasporti che ha proceduto nei giorni scorsi al licenziamento di 40 dipendenti (altri 30 hanno spontaneamente rinunciato al lavoro), motiva così le ragioni della riduzione del personale. «Abbiamo dovuto chiudere 10 agenzie di viaggio – spiega all’AGI – abbiamo ridotto l’esercizio, abbiamo ridotto dei collegamenti. Facevamo 8 corse su Roma, adesso ne facciamo una. Il traffico è diminuito per diverse ragioni, di carattere tecnico e sociale per quanto riguarda la mobilità dal Sud al Nord. Siamo un’azienda di puro mercato, non abbiamo contributi, né rapporti con la Regione».
«Abbiamo avuto – sottolinea – dei ristori ma di piccolissima entità nel 2020 a fronte di un abbattimento del fatturato di circa l’80%. Avevamo 240 dipendenti, poi siamo scesi a 100 e ora siamo stati costretti, molto molto a malincuore, a prendere altri provvedimenti attraverso le regolari procedure sindacali. La Cassa integrazione non ci è stata concessa, nonostante a gennaio ci sia stato un incontro alla Regione. La commissione consiliare competente si era impegnata a verificare la possibilità di attivare la Cig. Da aprile siamo senza cassa integrazione ma la comunicazione ci è arrivata ad agosto. Quindi da aprile abbiamo pagato finora personale che doveva essere in Cig ma che non lo è. Abbiamo dovuto per forza di cose procedere con il licenziamento di 40 persone».
«Operiamo da 80 anni – sottolinea – e tentiamo di portare avanti l’azienda nel migliore dei modi. Speriamo che le Fs abbiano il buon senso di mettere a un tavolo e di rivedere la situazione. Non abbiamo chiesto soldi – chiarisce Smurra – ma semplicemente lavoro che non ci è stato dato».
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