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l’intervista

De Masi: «Solidarietà dagli imprenditori? No, oggi c’è solitudine. Al Nord più omertà che in Calabria»

Il racconto della “resistenza” in una terra di ‘ndrangheta. L’invito ai colleghi a «pagare borse di studio e non il pizzo». E la speranza di chi non si arrende

Pubblicato il: 27/10/2022 – 13:27
De Masi: «Solidarietà dagli imprenditori? No, oggi c’è solitudine. Al Nord più omertà che in Calabria»

LAMEZIA TERME «Sono cresciuto avendo ben presente il bianco e il nero, chi fossero i buoni e chi, invece, i cattivi». Tutta l’intervista di Antonino De Masi a “L’altra Politica” si svolge su un duplice piano. Da una parte ci sono la «speranza e il risveglio delle coscienze» auspicate e raccontate da «un orgoglioso calabrese». Dall’altra una condizione generalizzata di quella che l’imprenditore chiama «abitudine al brutto», un’acquiescenza al peggio che vede crescere giorno dopo giorno in Calabria. Un esempio. Alla domanda “C’è più solidarietà oggi tra i suoi colleghi imprenditori?” arriva una risposta dura da ascoltare: «Assolutamente no, c’è solitudine. Qui la gente è abituata a dire “poverino”, ma io non voglio essere commiserato, sono un combattente».
In questa testimonianza dalla trincea della legalità De Masi ribadisce di aver vissuto la propria «con un sogno: avrei voluto vedere la luce e il bello prevalere sul brutto». E ricorda che «nel nome del pragmatismo» avrebbe dovuto «fare le valigie e andare via da questa terra. Non c’è una ragione per la quale io avrei dovuto continuare a fare impresa qui e non al Nord, in un contesto nel quale io sarei stato uno dei tantissimi imprenditore e avrei vissuto una vita tranquilla. In me – spiega ai conduttori Danilo Monteleone e Ugo Floro – ha prevalso non il pragmatismo ma l’amore per questa terra e la rabbia, il desiderio di rivalsa. Io sono un combattente e ho messo da parte la ragione per andare avanti con il sentimento».

«Chiesi di espellere chi incassava il pizzo ed espulsero me»

Il prezzo lo si vede ogni mattina davanti alla sede dell’azienda che produce macchine agricole: una vita sotto scorta, le camionette dell’esercito, i militari che scrutano per sventare eventuali pericoli.
«Lo so, è un prezzo devastante per tante ragioni». Ma non c’erano alternative, perché serviva una reazione a un contesto, quello calabrese (e non solo) che ha «normalizzato il brutto e la cultura mafiosa del “mettiti a posto”». De Mari lo spiega con un esempio: «Ero uno dei dirigenti di un’associazione di industriali – non dico il nome se no si incazzano – siciliana. Il presidente disse “Dobbiamo espellere chi paga il pizzo”, io andai in assemblea a Reggio Calabria e dissi che prima di espellere chi paga il pizzo avremmo dovuto espellere chi lo incassa. Alla fine hanno espulso me, poi li hanno commissariati e mi hanno richiamato».
La storia dell’impegno antimafia di De Masi prende spesso spunto da esempi. Che non sono sempre lusinghieri per il mondo dell’impresa. «Alcuni colleghi imprenditori – dice – mi hanno detto: “Stai facendo tutto questo casino perché dici che vuoi essere libero ma la libertà l’hai persa, paga 2-3mila euro e mettiti a posto”. Io ho però spiegato ai miei: “Se ritenete che stia sbagliando chiudetemi in un manicomio” perché in un contesto in cui tutti ragionano in modo diverso ti dici che sei un pazzo».

«Al Nord c’è più omertà che da noi, si girano dall’altra parte»

«Questi territori – spiega sono stati massacrati. Viviamo in aree dove c’è stato e c’è un controllo asfissiante della ‘ndrangheta. Non c’era nulla che non venisse controllato e quando qualcuno cercava la sua strada la risposta erano bombe e minacce». Questo è il contesto. Ma – qui De Masi capovolge uno stereotipo ma è la sua conclusione è accompagnata da anni di atti giudiziari – «al nord c’è più omertà che da noi. Da noi può partire uno spiraglio di rinascita perché abbiamo toccato il fondo. In Calabria c’è la resistenza, a Nord non è così e noi potremmo essere da esempio e offrire l’esperienza per lottare contro i fenomeni criminali. Lì c’è il “pragmatismo nordico”, si girano dall’altra parte e fanno finta che il problema non ci sia».

«Imprenditori, pagate le borse di studio anziché pagare il pizzo»

A proposito di esperienza e resistenza, l’imprenditore racconta a “L’altra Politica” l’iniziava di una “Tazzina della legalità”. Nata dopo l’invito «per un atto di solidarietà a Catanzaro, organizzato molto bene da un gruppo di professionisti guidati da Sergio Gaglianese. L’evento è andato molto oltre il fatto, si vedeva il terrore della gente per le aggressioni criminali. Ma ho visto la sete di legalità e si è innescato un consenso importante». L’idea è quella di «finanziare borse di studio per i ragazzi in modo da innescare la cultura della legalità e far capire che quello che viviamo non è normale. La cultura dell’illegalità, del brutto, la soggiacenza a una cappa ossessiva non possono essere normali». Alla fine il messaggio pensato per gli imprenditori è semplice: «Anziché pagare il pizzo pagate le borse di studio ai ragazzi: è più intelligente e nel lungo tempo vi esonera dal pagamento del pizzo. Ora quell’idea sta per diventare un’associazione culturale. E all’università di Catanzaro si dibatterà di legalità per rivendicare una determinazione da parte dei calabresi a riprendersi la propria vita».

«La politica partitica non mi interessa»

Mentre è forte l’impegno per la legalità, De Masi ribadisce che «la politica partitica non mi interessa, non voglio farla. Voglio parlare del futuro della mia terra, voglio guardare la Calabria senza le lenti scure della bruttezza che ci circonda». Eppure non nega che i progetti per la legalità siano politici, nel senso largo (e buono) del termine. «Vogliamo stimolare i ragazzi a pensare e, in questa prospettiva, a fare politica nell’interesse collettivo, nell’interesse del bene pubblico».

«Il porto di Gioia Tauro protetto dalle forze dell’ordine ma per la gente è un corpo estraneo»

A proposito di interesse collettivo, De Masi pensa allo sviluppo e al sistema che ruota intorno al porto di Gioia Tauro. «Si protegge ciò che ci permette di crescere e il “sistema Gioia Tauro” c’è, funziona. Produce 2mila stipendi e genera ricchezza per 2mila famiglie: genera ricchezza per tutta la Calabria. Ogni cittadino della regione è proprietario di quel bene. Mi chiedo perché consentire alla ‘ndrangheta di distruggere quello che abbiamo. Tutti i calabresi dovrebbero proteggerlo perché le aziende sono il contrasto alle valigie degli emigranti, che una volta erano di cartone e oggi sono griffate, anche se il risultato è lo stesso».
«Il porto – continua De Masi – oggi è protetto dalle forze dell’ordine ma la gente lo vede come un corpo estraneo. Non ci si rende conto che se chiude 2mila persone vanno via». Arriva un sì chiaro anche all’ipotesi del rigassificatore, ieri accennata anche dalla neo premier Giorgi Meloni nel proprio discorso in Senato: «Dà valore aggiunto all’agricoltura e crea sviluppo per questa regione, che è l’unica leva che serve per sconfiggere il male». (redazione@corrierecal.it)

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