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l’inchiesta

Il “ragioniere” dei Piromalli, il nipote del boss e l’«affiliato» al clan Mancuso. La galassia dell’aspirante deputato Patamia

Dalle carte dell’operazione Radici emergono i rapporti dell’imprenditore rampante con personaggi ritenuti vicini alla ’ndrangheta. E il «progetto politico» avviato con l’aiuto dell’ex parlamentare …

Pubblicato il: 28/10/2022 – 7:02
di Pablo Petrasso
Il “ragioniere” dei Piromalli, il nipote del boss e l’«affiliato» al clan Mancuso. La galassia dell’aspirante deputato Patamia

È la «gestione sui generis» di un albergo a inguaiare Francesco Patamia, prima imprenditore rampante e poi aspirante parlamentare per “Noi Moderati”. A segnalare al commissariato di Cesena che qualcosa non quadra attorno all’Hotel Esperia è il sindaco di Cesenatico Matteo Gozzoli. Strano che quella struttura rimanga chiusa sia nelle festività pasquale che in occasione della Nove Colli, gara ciclistica che richiama turisti nel comune. Un fatto «anomalo» per il primo cittadino. Gli approfondimenti investigativi fanno il resto. E questa storia apparentemente lontana della Calabria prende sostanza grazie ai rapporti di Patamia e della sua famiglia con la Piana di Gioia Tauro e ai presunti legami con la potente cosca Piromalli.
Francesco, fondatore di “Europei Liberali”, e il padre Rocco compaiono nelle indagini. Per gli inquirenti, attraverso la società Fp Group, «attiveranno cospicui investimenti finanziari, procedendo a rilevare la gestione di diverse attività economiche nel settore alberghiero e della ristorazione».

La Nove Colli di Cesenatico

Giuseppe Maiolo, “ragioniere” imparentato con i Piromalli

Il referente in Riviera era Giuseppe Maiolo, detto “il ragioniere”, un dipendente della “Dolce Industri srl”, società controllata dalla Fp Group. Maiolo, sottolinea il pm della Dda di Bologna, è stato «condannato in via definitiva per appartenenza ad associazione di stampo mafioso e in particolare quale appartenente al clan Piromalli, rispetto al quale è anche legato dal vincolo familiare della moglie». Questa «certificazione» è, per gli inquirenti, un segnale: considerano, infatti, impossibile che “il ragioniere” sia un semplice «dipendente con compiti di basso livello». I Piromalli sono il «vertice assoluto di ‘ndrangheta per importanza» nella Piana di Gioia Tauro e Maiolo è il cognato di Gioacchino Piromalli “l’avvocato”, «attualmente detenuto nella casa circondariale di Cuneo per associazione di tipo mafioso», figlio di “don Nino” Piromalli.

Il commercialista scillese e Mazzaferro e il nipote del boss Mazzaferro

Gli investigatori cerchiano poi in rosso un altro nome, quello di Marcello Bagalà, commercialista 35enne nato a Scilla, cugino di un uomo arrestato su richiesta della Dda di Reggio Calabria per associazione di tipo mafioso. Il terzo indizio emerge dall’analisi del traffico telefonico: l’aspirante politico Francesco Patamia avrebbe «intrattenuto strettissimi rapporti» con Teodoro Mazzaferro, non indagato in questo procedimento ma descritto dagli inquirenti come «altro elemento di spicco del crimine organizzato di matrice ‘ndranghetista» e nipote dell’omonimo 84enne considerato «al vertice della gestione dell’omonima consorteria di ‘ndrangheta». Gli incontri tra Patamia e Mazzaferro si sarebbero svolti a Roma, dove l’imprenditore partito dalla Piana di Gioia per l’Emilia Romagna assieme alla famiglia contava di stabilirsi dopo le recenti Politiche (se avesse vinto, ovviamente). Aspirazione virtuale, in realtà, visto che era nell’ultima posizione nel listino plurinominale per un movimento che ha ottenuto una percentuale dello 0,58%. Candidatura di servizio, si dice in questi casi. Il punto è al servizio di chi, visti i rapporti oscuri dei Patamia.

I contatti di Patamia con l’ex parlamentare Romagnoli protagonista (scagionato) di un intrigo internazionale

Francesco è, a parere degli investigatori, il frontman del gruppo, poiché «scevro da precedenti penali che lo riconducano all’affiliazione o alla vicinanza alla ‘ndrangheta». Accanto al «progetto imprenditoriale» coltiva un «progetto politico tramite l’intermediazione di Massimo Romagnoli, ex parlamentare messinese di Forza Italia eletto all’estero-circoscrizione Europa nel 2006». Il nome di Romagnoli è legato a una vicenda che ha i connotati di un intrigo internazionale. Per l’ex parlamentare la storia – che lo ha portato in carcere negli Stati Uniti – si è conclusa con un proscioglimento. Gli inquirenti, comunque la riportano negli atti dell’inchiesta sulla ‘ndrangheta in Emilia Romagna. Romagnoli, appuntano, «è stato il responsabile estero del Gruppo degli europarlamentari di Forza Italia, poi responsabile europeo di Azzurri nel Mondo, al centro di inquietanti vicende giudiziarie in quanto nel 2014 venne arrestato in Montenegro insieme a due cittadini romeni (tra cui uno con importanti cariche nel governo di Bucarest) a seguito di un’inchiesta delle autorità statunitensi ed estradato».

Massimo Romagnoli

La Dda di Bologna ricorda la carcerazione del politico negli Usa, «ove veniva condannato a quattro anni di reclusione (di cui 32 mesi scontati dopo essere stato poi liberato in quanto scagionato in secondo grado) per traffico e terrorismo internazionale finalizzato all’uccisione di cittadini americani». L’accusa, poi caduta, è quella di «aver tentato un vendita di armi – tra cui cannoni anti aerei e lanciarazzi – all’organizzazione terroristica (colombiana, ndr) delle Farc», una «vendita di armi nell’ordine di svariati milioni di euro sventata grazie a una serie di intercettazioni e da tre agenti della Dea statunitense che operavano sotto copertura fingendosi intermediari delle Farc». Romagnoli, che oggi descrive se stesso come vittima di un complotto internazionale, secondo la ricostruzione presente negli atti, si sarebbe «offerto di fornire falsi certificati europei per farla risultare legittima». Un quadro inquietante dal quale tuttavia il politico è stato scagionato e «oggi risulta essere Ceo» di una azienda che offre servizi di consulenza nel settore dell’euro-progettazione e affianca enti pubblici e privati nella loro realizzazione mediante la gestione di fondi europei e delle Organizzazioni delle Nazioni unite con specifico riferimento al settore della difesa internazionale».

I rapporti con un «pregiudicato per delitti di mafia»

Sempre «relativamente all’impegno politico di Patamia», i magistrati antimafia segnalano «anche i rapporti con un importante pregiudicato per delitti di mafia di origine siciliana». Patamia viene contattato nel gennaio 2020 da tale Tonino e gli dice «di essere appena rientrato a Bologna da Roma dove, il giorno precedente, ha avuto un appuntamento al Quirinale». L’interlocutore avverte Patamia di fermarsi «da solo qui da noi prima di arrivare a Bruxelles», «da solo senza nessuno». E precisa che «ci sono grosse novità». Istruzioni perentorie e termini sfumati, sintomatici «di un codice di sicurezza da seguire, verosimilmente richiesto per la particolarità non certo lecita degli argomenti che verranno trattati».

L’idea di chiudere le società e darsi alla politica

Per il pm, dunque, «emerge l’abitudine per entrambi i Patamia nel fare affari e mettersi in società con ulteriori soggetti emersi che hanno come comune denominatore il fatto di essere sempre legati alla criminalità organizzata calabrese». Sono questi a intervenire «man mano che Francesco Patamia decide di dedicarsi alla politica e di trasferirsi a Bruxelles, manifestando la necessità di sbarazzarsi delle società che, fortemente indebitate, non possono essere semplicemente chiuse ma vanno fatte confluire in altri soggetti economici che possano da un lato garantire la transizione dei beni tangibili e intangibili, senza farsi carico dei debiti fino a quel momento maturati, e dall’altro sostituendosi a Patamia, ovvero trovandogli dei prestanome di comodo per evitare un suo diretto coinvolgimento anche di natura penale che ne bloccherebbe sul nascere la possibilità di effettuare quella scalata politica che sta iniziando a compiere».

L’aiuto dei “paesani”: Saverio Serra, «organico e affiliato» al clan Mancuso

Sono i “paesani” a proseguire il progetto imprenditoriale perché Patamia si dedichi a quello politico. E tra questi spicca Saverio Serra; per i pentiti Andrea Mantella e Raffaele Moscato – sempre secondo quanto ricostruito dai magistrati emiliani – si tratterebbe di un uomo «organico e affiliato» al clan Mancuso di Limbadi. Non solo, sempre stando alle valutazioni dell’accusa, Serra verrebbe «chiamato a occupare una delle posizioni di maggiore rilievo all’interno della cosca Mancuso, anche e soprattutto alla luce dell’arresto del cognato, Antonio Scrugli, e alla giovane età del figlio di quest’ultimo». A completare il quadro, poi, c’è il fatto che «il giorno immediatamente successivo al rientro» da un viaggio in Germania, in cui Francesco Patamia avrebbe «incontrato il “mafioso” Calogero Pulci», lui e il padre Rocco «concordano un incontro a Milano con Saverio Serra per discutere tra le altre cose proprio della riunione in Germania». (p.petrasso@corrierecal.it)

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