«Caro Gratteri, il Padrino non c’entra»
Il procuratore Nicola Gratteri nei giorni scorsi ha accennato alla storia del cinema come possibile caso di emulazione per i boss. Ha citato il più grande film della storia, Il Padrino, come una sort…

Il procuratore Nicola Gratteri nei giorni scorsi ha accennato alla storia del cinema come possibile caso di emulazione per i boss. Ha citato il più grande film della storia, Il Padrino, come una sorta di pessimo esempio. È probabile che le sue parole siano state male interpretate o diffuse in un contesto particolare. Che molti boss si siano identificati con la storia della famiglia Corleone è probabile, seppure quel film (e soprattutto il libro di Puzo) poco abbiano a che fare con l’evoluzione di Cosa nostra. Si può dire lo stesso per Quei bravi ragazzi, per C’era una volta in America o Scarface, giusto per citare altri film che si rifanno alla mafia. Il Padrino ( la cui seconda parte, caso unico, è addirittura più bella della prima ) è un affresco che racconta le gesta degli italiani d’America , fatto circoscritto, negli anni che vanno dalla seconda guerra ai 60. La narrazione riguarda realmente il “successo” della mafia italiana, la genesi sociologica dovuta all’emigrazione, la risposta alla marginalità etnica attraverso la violenza e una nuova sovranità. Ma è anche una straordinaria metafora sulla rete di corruzione di giudici, giornalisti, poliziotti, imprenditori, sul nefasto avvento della droga e, soprattutto, sulle dinamiche della psicologia interattiva. Frasi come “Non far sapere mai le tue intenzioni al nemico “ sono state prese a prestito e traslate dalla comunicazione politica e culturale. Rivederlo annualmente, quasi come rileggere Dostoevskij, è una lezione di vita. Senza per questo che venga voglia di arruolarsi nelle mafie. Censurare l’arte come cattiva maestra è un esercizio pericoloso. In questo caso si tratta di arte magnifica, che mostra la spietatezza della mafia ma anche la cointeressenza di chi avrebbe dovuto combatterla. L’incipit con la richiesta del panettiere di avere giustizia per la figlia stuprata racconta anche la debolezza di saper realmente garantire la democrazia. Don Vito che piange quando scopre che il figlio prediletto ripercorrerà la sua vita e che avrebbe voluto “ nu piezz e novanta “ ci insegna a capire la sottigliezza tra bene e male. E su quella linea di demarcazione si svolge, soprattutto nel sud , la diaspora tra mondo legale e illegale. Forse una vera, grande lezione di vita per capire davvero come essere onesti.