LAMEZIA TERME Continua il dibattito politico sul rapporto tra l’autonomia differenziata e il Servizio sanitario calabrese avviato dal Corriere della Calabria. Dopo le interviste con i parlamentari Anna Laura Orrico (M5S), Domenico Furgiuele (Lega), Nicola Irto (Pd) e Giovanni Arruzzolo (Forza Italia), sull’argomento oggi sentiamo Orlandino Greco, già consigliere regionale della Calabria e leader del movimento “Italia del Meridione”.
«In generale – ricorda Greco – l’autonomia differenziata è un tema tracciato dalla nostra Costituzione: dal terzo comma dell’articolo 116. Si tratta del riconoscimento di forme e condizioni particolari di autonomia per le Regioni a statuto ordinario. È un principio condivisibile, a maggior ragione per chi, come il sottoscritto e l’”Italia del Meridione” tutta, si batte per la difesa del sistema delle autonomie locali partendo dalla territorialità. Il problema – evidenzia il leader dell’Italia del Meridione – sta nel come il tema si sta imponendo al centro del dibattito: a fronte di un mancato ragionamento a monte sul come risolvere prioritariamente il nodo dei divari territoriali, di genere e di generazioni, è evidente il rischio di ulteriori frammentazioni tra regioni ricche e regioni con gravi ritardi di sviluppo infrastrutturali e sociali, per cause poco riconducibili alle capacità amministrative degli attori locali e invece imputabili ad una persistente, iniqua redistribuzione di risorse statali tra nord e sud del Paese».
«Prima di adoperarsi su questa autonomia differenziata, occorre – avverte Greco – ristabilire il principio di equità territoriale, ridurre i divari e garantire la coesione territoriale».
C’è una questione meridionale irrisolta od ignorata, specie riguardo alla tutela del diritto alla salute?
«Assolutamente sì. Sono anni che l’”Italia del Meridione” denuncia questo stato d’allerta: oltre 300 milioni di euro annui di emigrazione sanitaria dalla Calabria; Livelli essenziali di assistenza, Lea, ampiamente insufficienti; iniqui investimenti dei governi nazionali nei miglioramenti del sistema sanitario, i quali rivelano uno squilibrio tale tra Nord e Sud per cui se a Bologna la spesa è di 85 euro pro capite, a Reggio Calabria è di appena 15 euro; Aziende sanitarie che non riescono a pagare i debiti con i fornitori; commissari ad acta rifilati dai vari governi nazionali, pagati a peso d’oro ma dimostratisi incapaci di gestire sistemi corporativi privi di colpevoli ma pieni di malasanità. Nel mentre, gli ospedali del Sud vengono tenuti in condizioni da “Quarto mondo”, ridotti a serbatoi elettorali e nei quali nessun medico di valore vuol venire ad operare. Sono questi i tratti caratterizzanti di una stasi che dura ormai da anni. I cittadini sono stanchi, è tangibile la loro voglia di giustizia ed equità sociale, ora o mai più. Diversamente, si fa prima a dichiarare che la sanità pubblica del Sud è un privilegio per pochi e a sancire definitivamente la fine di uno dei diritti fondamentali della Costituzione. Quindi, per far sì che un diritto universale non resti solo un principio su carta, bisogna porre fine alle sperequazioni e garantire i reali fabbisogni dei territori in tutto il Paese. Questo potrà avvenire se, e solo se, si abolirà la regionalizzazione della gestione sanitaria e se lo Stato tornerà a fare lo Stato, ripristinando un Servizio sanitario nazionale patrimonio di tutti gli italiani».
Come vi state muovendo e come pensate di agire rispetto all’iter, in corso, che dovrebbe portare alla definizione dell’autonomia differenziata?
«Siamo scesi nelle piazze della Calabria e del Sud, per spiegare, numeri alla mano, gli effetti nefasti di questa autonomia differenziata, qualora venisse attuata in questo momento storico. Saremo in piazza davanti a Montecitorio per manifestare pacificamente contro il silenzio assordante della rappresentanza parlamentare, soprattutto meridionale. Stiamo raccogliendo firme e adesioni, insieme a tutte le parti sociali, per far arrivare forte il messaggio, a Roma e a Pontida, che gli egoismi non possono prevalere sull’interesse generale. La nostra è una mobilitazione politica che passerà anche attraverso la redazione di un documento da far approvare nei civici consessi, nei quali il nostro movimento vanta una notevole presenza istituzionale. In gioco vi è l’unità vera del Paese e noi non possiamo fare sconti a nessuno, per il futuro dei nostri territori e dei nostri figli».
Come valuta il comportamento, nel merito, dei partiti calabresi e dei parlamentari eletti in Calabria?
«Il centrodestra nazionale e locale si muove coerentemente con i percorsi del proprio passato, essendo il tema dell’autonomia differenziata un vecchio cavallo di battaglia leghista. Se non fosse drammatico il contesto in cui viviamo, susciterebbero ilarità le dichiarazioni che al Corriere della Calabria ha rilasciato l’onorevole Domenico Furgiuele, il quale, nel tentativo di attribuire i princìpi del ddl Calderoli all’intera coalizione, ha dimenticato clamorosamente che, senza un riassetto delle condizioni di partenza delle regioni del Sud, quella di Calderoli resterebbe una proposta iniqua, penalizzante per il sistema Italia e quindi perfettamente in linea con le originarie battaglie secessioniste del suo partito. Il riassetto deve passare prioritariamente dal calcolo e dal finanziamento dei Lep (Livelli essenziali delle prestazioni, nda), dal superamento della spesa storica e dalla ridefinizione del fondo perequativo per i Comuni. Dall’altro vi è la schizofrenia del centrosinistra, in particolar modo del Pd, che al Nord ha spinto per le famose intese preliminari firmate dall’allora governo Gentiloni su pressione di governatori come Bonaccini. Ora, con la propria deputazione e classe dirigente del Sud, a suo tempo silente e supina alla volontà romana, in parte il Pd cerca imbarazzanti tentativi di smarcamento, ma per becero gattopardismo. Approvare il ddl Calderoli senza prima superare il problema dei divari, significherebbe aggravare lo stato di salute degli enti locali, dei Comuni e dei cittadini del Sud. Sono questi i temi che rappresentano le battaglie del nostro movimento; sono queste le ragioni per cui lavoriamo insieme per contribuire, ciascuno nel proprio ruolo, a fare da cassa di risonanza verso una classe politica spesso insensibile all’importanza dello sviluppo sostenibile delle vocazioni territoriali del Sud, indispensabili per ridare slancio e vigore allo sviluppo dell’intero Paese».
Quali effetti potrebbe avere l’autonomia differenziata sul Servizio sanitario della Calabria? E quali sono le vostre proposte per il rilancio della sanità calabrese?
«La ripartizione del Fondo sanitario nazionale, dopo l’istituzione del Servizio sanitario nazionale, ha attraversato varie fasi. Il finanziamento delle attività sanitarie, seppure nell’intento di garantire i Livelli essenziali di assistenza, ha seguito parametri che, alla fine, si sono rivelati non equi, ancorché penalizzanti. Possiamo evidenziare, nel tempo, tre parametri di ripartizione del Fondo: la spesa storica delle Regioni, il parametro capitario e il parametro capitario pesato. Quest’ultimo si basa su una pesatura della popolazione sulla scorta dell’età e del tasso di mortalità, mentre non tiene conto delle malattie croniche, della morbilità, della comorbilità, della vulnerabilità sociale, degli indici di deprivazione socio-economica e della conformazione geomorfologica dei territori. Il parametro capitario pesato ha comportato, per effetto, un definanziamento per le regioni storicamente prive di servizi ed infrastrutture sanitarie e sociosanitarie, nonché con popolazioni affette da patologie ad andamento cronico-evolutivo. Ciò si sarebbe potuto evitare, se fossero state attuate le disposizioni legislative sulla perequazione infrastrutturale tra le Regioni, sull’istituzione del Fondo perequativo interregionale e se si fossero definiti su tutto il territorio nazionale, ai fini dell’equa distribuzione del Fondo, i costi e i fabbisogni standard delle prestazioni erogate dal Servizio sanitario nazionale. La mancanza di un’equa ripartizione del Fondo ha comportato una contrazione dei Lea nelle regioni storicamente disagiate ed un aumento, per le stesse, della mobilità sanitaria passiva interregionale, a tutto vantaggio delle Regioni storicamente avanzate sul piano sanitario. In assenza del Fondo perequativo infrastrutturale, è innegabile il vantaggio per le regioni come il Veneto, la Lombardia e l’Emilia-Romagna, che sarebbero fruitrici, se passasse l’autonomia differenziata in previsione, di una fiscalità di vantaggio sperequativa ed ingiustificata. Per quanto concerne la sanità calabrese, occorre prevedere, quali soluzioni di fondo, la storicizzazione e la conseguente cancellazione del disavanzo sanitario, come l’abolizione del Piano di rientro e del commissariamento governativo, con il ritorno alla competenza degli ordinari organi regionali di gestione. Inoltre, si rende indispensabile disciplinare l’attività della spedalità privata accreditata, secondo il principio di intensità e complessità delle cure. È necessario, infine, per poter assolvere alla garanzia della sanità di prossimità, predisporre una reale ed efficiente rete territoriale e dell’attività ospedaliera di base». (redazione@corrierecal.it)
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