REGGIO CALABRIA «Se io devo andare a lavorare a Sbarre “parru sempre chi De Stefanu” avete capito, non è che vado direttamente (…) La stessa cosa per un’impresa di là». Maurizio De Carlo è un imprenditore edile; dopo l’arresto nell’inchiesta Malefix ha iniziato a collaborare con la giustizia e si è autoaccusato di essere un esponente della cosca De Stefano. Si è legato clan fin da ragazzo e ne è diventato il referente per l’«infiltrazione degli interessi della cosca nel settore edilizio».
In uno dei suoi primi interrogatori da pentito, quello del 14 settembre 2020, De Carlo ricorda che «i Berna prendevano impegni con i Libri» ed «erano figura dei Libri». Le dichiarazioni su Francesco (ex presidente di Ance Calabria) e Demetrio (già consigliere comunale a Reggio) Berna finiscono nel decreto che sancisce il sequestro del “tesoro” da 45 milioni di euro dei due fratelli costruttori. E contribuiscono a disegnarne il profilo e il genere di attività. «Prima di avviare un cantiere in città – segnalano gli investigatori –, a detta del collaboratore, i Berna “a titolo di mazzetta (…) ne parlavano con i Libri, questi si prendevano l’impegno”, e quindi quantificavano con loro l’importo dovuto e a loro consegnavano il denaro in questione (“quanto è il lavoro, vi faccio un esempio, un milione tot, mandaci tot, poi magari stabiliamo”)»
De Carlo spiega ai pm della Dda di Reggio Calabria quale sarebbe stato il guadagno dei Berni: nessuno, a parte la «garanzia di non subire danneggiamenti». «Niente, dottore, che ci guadagna – dice –. Chi nci fanno ranni…». Per i magistrati antimafia «la ragione di tale stato di cose era addebitabile al vincolo genetico che legava le imprese dei Berna al clan mafioso di Cannavò. Era stato il risalente legame (nel linguaggio del collaboratore: “la confidenza”) intessuto dagli imprenditori con i Libri a determinare un vincolo progressivamente divenuto indissolubile [“come si dice nel reggino i Berna sono stati prima sovvenzionati dai tempi in cui c’era Micu Libri… (…) e l’errore dov’è dottore, che uno gli dà confidenza all’inizio, l’errore è che si dà confidenza”».
«Fu Micu Libri chi lanciau (li lanciò, ndr)… per come si è parlato negli ambienti nostri», specifica De Carlo in un interrogatorio del 26 ottobre 2020. Sarebbe questa «sponsorizzazione» iniziale la «confidenza» di cui parla il pentito.
Anche Seby Vecchio «ha fornito significative informazioni sul conto dei fratelli Berna», che conosceva bene («ci siamo cresciuti insieme») anche per «le cointeressenze politiche che lo avevano avvicinato a Demetrio Berna, candidato in diverse competizioni elettorali» («gli ho fatto la campagna elettorale alla Provincia»).
Vecchio ha rivestito – così ne tratteggiano il profilo gli inquirenti – «nel corso degli anni il doppio ruolo di ‘ndranghetista e uomo delle istituzioni (assistente capo della Polizia di Stato, presidente del consiglio comunale e assessore all’Istruzione del Comune di Reggio Calabria)». Non solo un affiliato di tipo «tradizionale», dunque, ma anche e soprattutto un uomo capace di muoversi «in ragione dei ruoli istituzionali ricoperti negli anni ai livelli più elevati nelle strategie mafiose reggine, acquisendo anche in quel contesto un peculiare patrimonio conoscitivo».
«La famiglia Berna era dei Libri», dice l’ex poliziotto legato al clan Serraino. E rammenta «che Demetrio Berna, godeva dell’appoggio – durante le campagne elettorali – degli esponenti della famiglia Presto, provenienti dal medesimo contesto malavitoso [“…durante la campagna elettorale di quelli che ricordo io, che hanno avuto a che fare con la giustizia come esponenti diciamo vicino al clan dei Libri, c’erano se non mi sbaglio il cognome, sempre Presto… non mi ricordo se sono i Presto, comunque sono stati arrestati per estorsione”]».
L’ex assessore comunale ricorda anche «un’accorata conversazione con Demetrio Berna, nel corso della quale quest’ultimo gli aveva manifestato il suo timore di essere arrestato, proprio per le sue cointeressenze con la cosca Libri».
«Ho detto, Demetrio ma perché hai paura, di cosa hai paura?», avrebbe chiesto «prima del 2007» il futuro collaboratore di giustizia al politico-imprenditore. «La politica e l’imprenditoria purtroppo va a finire… qualche giorno ci arrestano, in più con le nostre vicinanze che abbiamo». Berna avrebbe parlato della «vicinanza a Cannavò», senza fare il nome della cosca Libri. Un’allusione che, a Vecchio, sembrò chiara. Quando, poi, si era diffusa la voce delle dichiarazioni rese dai Berna all’autorità giudiziaria sul conto della cosca Labate, Vecchio avrebbe registrato (e poi raccontato ai pm) un certo «disappunto» negli ambienti criminali di Reggio Calabria. «Ne ho parlato con Totò Libri, con Mimmo Sconti, con Mimmo Morabito – spiega il pentito –. Era un commento generale su tutti e la stessa cosa la dicevamo un po’ tutti». La metafora è colorita: «Fino a quando si sono riempiti il culo, sono stati bene, ora che li hanno toccati, cominciano a parlare (…) prima si prendeva i soldi, ci dava i soldi in maniera nitida e ora fa tutto il bravo…)…) fanno i bravi…». Il riferimento è al percorso di collaborazione avviato dai due imprenditori, le cui testimonianze sono risultate di grande importanza in alcuni procedimenti istruiti dalla Dda reggina. Un “affronto” che i clan di Reggio Calabria non hanno mai perdonato. (p.petrasso@corrierecal.it)
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