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il racconto

La fuga da Kabul, il terremoto in Turchia, poi il naufragio. «Aggrappato a un salvagente per non morire»

Nei verbali dei Carabinieri un afgano racconta la propria Odissea. «Hanno cambiato rotta per evitare i controlli, poi l’urto»

Pubblicato il: 02/03/2023 – 7:05
di Giorgio Curcio
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La fuga da Kabul, il terremoto in Turchia, poi il naufragio. «Aggrappato a un salvagente per non morire»

CROTONE «Prima di averci fatto imbarcare, ci hanno sistemati in alcune abitazioni messe a disposizione dai trafficanti a Istanbul tipo “safehouse”, dalle quali non potevamo uscire perché strettamente sorvegliati dai pakistani. Poi ci hanno trasferito con un pick-up dalle case fino ad un cantiere edile dove, sempre seguendo i loro ordini, siamo saliti su un camion in gruppo da settanta-ottanta persone e ci hanno condotti, dopo un viaggio durato circa sette ore, alla spiaggia di partenza». È intriso di drammaticità e disperazione il racconto di un cittadino afgano, quasi trentenne, uno dei superstiti del drammatico sbarco avvenuto all’alba di domenica a Steccato di Cutro, sulle coste crotonesi, costato la vita a decine di migranti.  

La testimonianza

Sono i Carabinieri di Cutro, giunti sul luogo della tragedia, a trascrivere nei verbali poi finiti nel fermo dei tre presunti scafisti, qualunque dettaglio utile per riscostruire, passo dopo passo, tutta la traversata. Dettagli strazianti ma che meglio spiegano le origini che hanno portato al dramma che ha sconvolto la comunità internazionale. «C’erano due soggetti pakistani che ci tenevano segregati nella stiva per impedirci di salire sul ponte dell’imbarcazione» racconta l’uomo «e tali pakistani, sulle direttive dei quattro scafisti ci facevano salire soltanto per esigenze fisiologiche o prendere pochi minuti di aria, prima di farci ritornare nella stiva».

La fuga dal terremoto in Turchia

Il viaggio dell’uomo afgano, uno dei tanti protagonisti della drammatica traversata, ha origini lontane e in un passato fatto di speranza, delusioni e il sogno della fuga dal proprio Paese. «Nel 2021 ho lasciato Kabul, per raggiungere la provincia in autobus una provincia dell’Afghanistan e da lì entrare clandestinamente in Iran, tramite i trafficanti, un po’ su un pick-up e un po’ a piedi». L’uomo racconta di essere rimasto in Iran per poco più di un anno a Teheran, poi il trasferimento ancora da clandestino in Turchia a dicembre dello scorso anno. «A Capodanno del 2023 ho provato a raggiungere l’Italia ma sono stato arrestato insieme ad altre persone dalla Polizia turca e condotto in un campo di prigionia dove sono rimasto per circa due mesi fino all’evento del terremoto che ha coinvolto quel territorio. Dopo il disastro siamo riusciti ad uscire e scappare dal campo e poi tramite un amico connazionale abbiamo organizzato il viaggio per raggiungere l’Italia». Per il viaggio intrapreso «ho pagato 8mila euro, lasciandoli a garanzia in un’agenzia Hawala della città di Kabul».

Il viaggio della disperazione

Viaggio che avrebbe avuto inizio intorno alle 3 del 22 febbraio 2023 insieme ad altre 180 persone di cui 20 bambini, da una spiaggia del distretto di Çeşme, in Turchia. Salpati su una prima imbarcazione lunga circa 15-18 metri dedicata ad attività turistica «era condotta da due uomini sconosciuti, rispettivamente di nazionalità turca e siriana. Di ciò ne sono certo poiché riconosco la lingua. Dopo circa tre ore di navigazione, l’imbarcazione ha avuto dei problemi al motore poiché usciva fumo dalla sala macchina (…) siamo stati raggiunti da un’altra imbarcazione, dopo circa 3-4 ore, delle dimensioni più grandi, condotta da altri tre uomini a me sconosciuti, che parlavano in lingua turca e siamo stati trasbordati (…) c’erano pozze di carburante che il motore perdeva e quando la barca si muoveva di lato, le persone si bagnavano di gasolio». Secondo il racconto fornito ai Carabinieri, gli accordi erano di sbarcare in sicurezza sulla terra ferma in Italia «e per tale necessità avrebbero atteso il 26 febbraio 2023, in quanto essendo domenica e le previsioni erano di “mare mosso”, sarebbe stato improbabile incontrare controlli di moto-vedette italiane». «Quando l’imbarcazione è stata fermata – racconta il cittadino afgano – ci siamo lamentati con loro perché impauriti dalle condizioni del mare volevamo che venissero già chiamati i soccorsi, ma per tranquillizzarci ci hanno inizialmente mostrato l’i-pad raffigurante la rotta e la distanza dalla nostra posizione fino alla terraferma, specificandoci che volevano far trascorrere quelle ore per poterci sbarcare nel cuore della notte per eludere i controlli di polizia». Poi è ripresa la navigazione e, dopo 7 ore, l’imbarcazione si avvicina alle coste calabresi ma, «neanche in questa occasione nessuno, sebbene glielo avessimo richiesto, ha chiamato i soccorsi».

Le segnalazioni, il cambio di rotta e la tragedia

Nel frattempo, le condizioni del mare peggiorano e mentre i migranti iniziano a scorgere segnali luminosi dalla costa, i quattro scafisti «pensando che fossero poliziotti hanno fermato la navigazione cercando di cambiare rotta e modificare il punto di approdo (…) i bambini piangevano, così come le donne. La situazione era diventata critica e dopo il repentino cambio di rotta le onde alte hanno iniziato a far muovere e piegare l’imbarcazione sino a quando improvvisamente la barca ha urtato contro qualcosa e ha iniziato a imbarcare acqua ed inclinarsi su un fianco». Dopo l’urto, dunque, secondo il racconto i tre membri dell’equipaggio avrebbero buttato in mare un tender e sono saliti allontanandosi, «io – racconta l’uomo afgano – ho perso di vista i due pakistani perché per salvarmi mi sono subito tuffato in mare aggrappandomi ad un salvagente e così hanno fatto anche le persone che erano con me. Nel momento in cui mi sono tuffato ci trovavamo a circa 200 metri dalla riva».  (g.curcio@corrierecal.it)

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