COSENZA Presunta sieropositività e conseguente suicidio di Denis Bergamini. Quasi cinque ore di dibattimento per arrivare, proprio nel finale del suo intervento, a parlare di questi due temi. Può essere riassunto così il lungo controesame dell’avvocato della difesa Angelo Pugliese (oggi assistito da Pasquale Marzocchi) nell’udienza in corte d’Assise del processo in corso al tribunale di Cosenza sulla morte dell’ex calciatore rossoblù che vede come unica imputata Isabella Internò, presente in aula dopo un lungo periodo di assenza. Sul banco dei testimoni, per la terza udienza consecutiva, è salita Donata Bergamini, sorella di Denis. Quasi cinque ore di intervento alla fine del quale Pugliese ha chiesto alla teste se fosse a conoscenza che nel 1990, l’avvocato Andrea Toschi, a quell’epoca legale di parte civile della famiglia Bergamini, avesse chiesto al professor Antonio Dell’Erba una perizia sul corpo del calciatore per accertare la sua eventuale sieropositività. Il legale di Isabella Internò ha chiesto anche a Donata Bergamini se sapeva che Denis era in attesa degli esiti delle analisi relative all’Hiv e se avesse per caso trovato i risultati di quelle analisi. La donna ha risposto di non aver mai saputo nulla di tutto ciò, ricordando però che difficilmente il fratello avrebbe baciato la nipote (come fece il 13 novembre del 1989) se avesse avuto solo il sospetto di una cosa del genere. L’argomento è stato quasi subito interrotto dalla presidente della corte Paola Lucente apparsa chiaramente indispettita («Non ammetto altre domande sull’Hiv»).
L’argomento tirato fuori da Pugliese su una presunta sieropositività di Bergamini è seguito a quello della depressione a cui il legale di Isabella Internò ha legato il suicidio di una zia di Donata e Denis, avvenuto alla fine degli anni sessanta. La donna, a quell’epoca 32enne, era entrata in depressione dopo la nascita del figlio. Pugliese, citando anche il libro di Carlo Petrini “Il calciatore suicidato”, in cui Domizio Bergamini avrebbe lasciato intendere che suo figlio Denis stava attraversando un forte stato depressivo, ha chiesto a Donata Bergamini se in famiglia ci fossero stati altri casi del genere. La risposta della teste si è racchiusa in un sorriso e una espressione del viso più che eloquenti. Precedentemente la stessa Donata aveva dichiarato che il fratello, nei mesi e nei giorni precedenti alla sua morte, era apparso come sempre sereno e giocoso e non con lo sguardo perso nel vuoto come venuto fuori dal libro di Petrini. «Quello – ha tenuto a precisare – era l’anno più bello di Denis». A proposito di Petrini, durante il suo intervento Pugliese ha riletto alcuni passaggi del libro, chiedendo alla teste se fossero veri o inventati. «Papà – ha sottolineato Donata Bergamini – ha sempre detto che la Internò c’entrava con la morte di Denis. La teoria del suicidio era insopportabile, anche alla luce di quello che avevamo visto e raccolto. Il giro sporco di cui si parla nel libro? Tutto falso. Noi avevamo la nostra idea ma in quel momento non potevamo escludere nessuna pista, tranne ovviamente il suicidio. Il libro di Petrini, nonostante le tante invenzioni, era importante perché faceva parlare del caso dopo anni di silenzio». «È vero – ha proseguito la donna – ho regalato e distribuito il libro, anche con l’aiuto dell’associazione “Verità per Denis”, ma l’obiettivo restava sempre lo stesso. Mio padre diceva “l’importante è che se ne parli”. E così fu. Dopo Cosenza anche sullo jonio cosentino si iniziò a parlare del caso. In precedenza c’era una parte della Calabria che non ci sosteneva. Dal 2009 tante persone a Cosenza mi hanno trattata come una figlia. C’è chi è venuto a casa mia a dirmi che a Cosenza tutti sapevano la verità. Io non ho niente contro Cosenza». A questo punto l’avvocato Pugliese si è avventurato in un racconto confidenziale di una sua personale esperienza risalente agli anni dell’università. «Allora ero magro e biondo – ha rivelato –. Ricordo che un giorno, insieme a due amici alti e biondi anche loro, incontrammo delle ragazze marchigiane che ci chiesero se fossimo calabresi. Alla nostra risposta affermativa, rimasero sorprese perché per loro il prototipo dell’uomo calabrese era di statura bassa e con la coppola in testa». Un racconto concluso da Pugliese con la seguente domanda alla teste: «Lei come immaginava i calabresi?». Risposta di Donata Bergamini: «Non ho mai avuto un prototipo».
Donata Bergamini, incalzata dalle domande dell’avvocato Pugliese sull’eventuale risarcimento delle assicurazioni stipulate per la morte del fratello, ha ribadito che alla sua famiglia dei soldi non interessava nulla. «Le uniche somme che abbiamo incassato – ha evidenziato –, visto che la sentenza parlava di suicidio e non di omicidio, sono 14 milioni di lire da una sorta di fondo pensionistico e 4 milioni e 500 mila lire per l’infortunio subito da Denis nel gennaio del 1989. Se avessimo preso altri soldi, me lo ricorderei».
Pugliese, prima di arrivare alle questioni sieropositività e suicidio, ha elencato a Donata Bergamini una serie di nomi, chiedendole se li avesse conosciuti oppure no. Tra i tanti, sono stati citati il professor Vittorio Fineschi («Ne sentii parlare dall’avvocato Anselmo il quale mi diceva che avrebbe fatto parlare il corpo di mio fratello con l’aiuto della scienza»), il presidente della Provincia di Ferrara dal 1990 al 1995 Francesco Ruvinetti («Mio padre si rivolse a lui per arrivare alla verità»), alcuni esponenti del Partito radicale che poi presentarono un’interrogazione parlamentare sul caso nel 1989, e altri rappresentanti del Pd (come Veltroni e Franceschini) che furono i protagonisti di una interpellanza parlamentare nel 2009. «Io – ha precisato Donata Bergamini – Franceschini (che divideva lo studio legale con l’ex avvocato della famiglia Bergamini, Eugenio Gallerani, ndr) l’ho visto solo una volta a Ferrara durante un aperitivo in ricordo di Denis». L’avvocato della difesa ha chiesto alla teste anche un resoconto sui pagamenti effettuati ai vari avvocati che nel corso degli anni si sono succeduti al suo fianco, fino ad arrivare al suo numero di cellulare. «Ad alcuni – ha ammesso Donata Bergamini – chiedevo di chiamarmi su un altro numero di telefono perché sul vecchio ormai mi chiamavano tante persone, e molte neanche le conoscevo».
Nella lista di nomi stilata da Pugliese, è emerso anche il nome del giornalista Alfredo Iuliano, padre di Mark, ex calciatore e compagno di squadra alla Juventus di Michele Padovano. «Fece un’intervista a mio padre – ha affermato la teste –, io a un certo punto subentrai strappandogli il microfono dalle mani. Faceva domande che non mi piacevano, insisteva sulla droga e su Michele Padovano». «In quel momento eravamo sconvolti entrambi – ha detto Donata Bergamini rispondendo a una domanda di Fabio Anselmo in un secondo momento –, non riuscivamo a capire quell’accanimento del giornalista su Padovano. Però mio padre continuava a dire “dobbiamo farlo parlare, dobbiamo capire”. Ma io non riuscivo a capire. Mi sembrava che volesse collegare l’inchiesta per droga in cui era coinvolto Padovano con la morte di Denis». Pugliese ha chiesto alla donna anche di alcuni post sul suo profilo facebook dei figli contro il libro di Petrini a cui la casa editrice “Kaos Edizioni” rispose sostenendo che tutto quello che c’era scritto nel testo era vero.
Dal 1989 al 2009 la famiglia Bergamini ha potuto tenere con sé gli effetti personali di Denis, tra cui la Maserati, il portafoglio, una catenina e l’orologio che il ragazzo indossava in quella drammatica serata. In riferimento a ciò, Pugliese ha chiesto a Donata Bergamini se in famiglia avessero fatto aggiustare il quadrante dell’orologio, a cui la donna ha risposto con un «no», seguito da un piccato «non esiste questa domanda». E’ rispuntata fuori anche la vicenda legata alla relazione tra Bergamini e Roberta Alleati e l’appartamento che i due avrebbero preso insieme nell’estate del 1989 a Milano Marittima. Pugliese ha ricordato una dichiarazione della stessa Alleati del 2022 in cui affermava di non essere stata in quell’appartamento anche se, come sottolineato successivamente dall’avvocato di parte civile Fabio Anselmo, i due ragazzi nel maggio del 1989 erano andati a vedere un appartamento proprio in quella città. Sui contatti avuti con Isabella Internò dopo la morte del calciatore del Cosenza, Donata Bergamini ha detto di aver sempre saputo che la ragazza era coinvolta nella tragedia. «La vicenda dell’aborto – ha sottolineato – mi portava sempre a lei». Una affermazione che ha portato l’avvocato Pugliese a chiedere alla donna che idea si fosse fatta sulla morte del fratello. Questa la risposta, spazientita, di Donata Bergamini: «Io mi devo fare un’idea su come è morto Denis? La mia idea è che non hanno avuto pietà, nemmeno del suo corpo». La prossima udienza del processo si terrà il prossimo 28 aprile.
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