REGGIO CALABRIA Tutto è nato dal sequestro di uno zainetto contenente oltre un chilo di cocaina alla stazione centrale dei bus a Palermo. È l’ottobre del 2019 e gli agenti della Guardia di Finanza ancora non sanno chi c’è dietro ad una vicenda che avrà da subito dei risvolti inaspettati. Una telefonata anonima del 25 ottobre 2019 agli uffici della Polizia giudiziaria nella quale l’interlocutore chiedeva come mai la notizia non fosse stata data alla stampa. Dall’altro capo del telefono non c’era però un giornalista, ma un soggetto che aveva di fornire giustificazione a terzi del motivo per il quale la consegna della coca non era andata a buon fine, allontanando i dubbi di una appropriazione “indebita” dello stupefacente. È uno dei dettagli cruciali messi nero su bianco nell’ordinanza firmata dal gip del Tribunale di Palermo, Lirio G. F. Conti, con l’arresto di 22 persone nell’ambito dell’operazione “Cagnolino” della GdF di Palermo coordinata dalla Dda del capoluogo siciliano.
Dagli accertamenti gli inquirenti sono risaliti alla figura di Alessandro Genuardi e Maria Rosa Cardinale, palermitani rispettivamente classe ’79 e ’78 e tutti e due finiti in carcere, considerati i responsabili del trasporto dello zainetto e di aver stabilito contatti con alcuni soggetti calabresi e siciliani dall’elevato spessore criminale. Ricostruendo i tabulati telefonici, gli agenti della Polizia giudiziaria hanno scoperto che, tra l’1 agosto 2019 e il 4 novembre dello stesso anno, l’utenza si fosse messa in contatto solo con tre numerazioni utilizzate a “citofono”, ovvero impiegate per comunicazioni strettamente riservate allo scambio di informazioni. Due di queste intestate a due soggetti localizzati tra Bovalino e Brancaleone, nel Reggino. Partendo dall’attività dei coniugi Genuardi-Cardinale, gli inquirenti sono riusciti a risalire e ricostruire dalle fondamenta l’associazione criminale costituita dai fratelli Fascella residenti a Palermo e da alcuni componenti della famiglia calabrese dei Barbaro del comprensorio di Bovalino finalizzata al traffico organizzato di cocaina dalla Calabria alla Sicilia, con diramazioni anche in Piemonte. Esistenza certificata anche da una serie di sequestri portati a termine grazie ai servizi di osservazione, pedinamenti, rilevazioni gps e attività tecnica di intercettazione telefonica.
Il primo risale al 9 ottobre 2020 quanto i militari della Guardia di Finanza di Messina intercettano l’Audi Q7 di Renzo Logioia (cl. ’70, anche lui tra gli arrestati) agli imbarcaderi della “Caronte & Tourist” con a bordo quasi 20 chili di cocaina occultati all’interno di un doppiofondo meccanico artatamente ricavato nel bagagliaio dell’autovettura. È il 3 dicembre dello stesso anno e ancora una volta i finanzieri intercettano il Fiat Ducato condotto da Giuseppe Antonio Gangemi (tra gli indagati) a Termini Imerese, nel Palermitano, presso lo svincolo autostradale di Buonfrnello. A bordo trovano 10,6 chili di cocaina occultati all’interno di un carico di copertura composto da 49 casse di mandarini. Il 5 marzo 2021, invece, a Villabate, nel Palermitano, le forze dell’ordine intercettano un autoarticolato guidato da Francesco Reitano (cl. ’76) finito in carcere, con a bordo 10,5 chili di cocaina. Gli inquirenti riescono poi ad individuare un immobile utilizzato dal gruppo criminale come deposito dove poter nascondere la cocaina. È il 20 ottobre del 2021 e, grazie all’ascolto delle conversazioni tra i fratelli Giuseppe e Salvatore Fascella, finiti in carcere, le forze dell’ordine fanno irruzione nell’edificio di proprietà dei coniugi Vincenza Denise Bonanno (cl. ’89) e Antonino Pilo (cl. ’90), trovando 3,44 chili di cocaina. Una serie di colpi che hanno consentito di delineare, nel corso di un anno, il modus operandi del gruppo criminale che, sottolinea il gip nell’ordinanza, ha mostrato la capacità di rigenerazione «a seguito degli arresti e sequestri subiti (anche di ingenti quantitativi di cocaina con la contestuale perdita dei capitali investiti) che non hanno apparentemente scalfito l’associazione, la quale ha proseguito senza sosta nella realizzazione del proprio disegno criminoso comune».
La cocaina in Sicilia arrivava dalla Calabria con la fornitura gestita dalla famiglia Barbaro. Sono loro, secondo l’indagine, tra i protagonisti dell’attività criminale, almeno per il versante calabrese. L’attività tecnica e i riscontri, nonostante abbiano fatto emergere diversi membri della famiglia, hanno consentito di individuare le figure principali di Giuseppe e Pasquale Barbaro, rispettivamente classe ’80 e ’90 e finiti in carcere entrambi, il primo con il ruolo di promotore e capo dell’associazione, il secondo con il ruolo di partecipe. Secondo le indagini – così come riporta il gip nell’ordinanza – Giuseppe Barbaro avrebbe finanziato, diretto ed organizzato la fornitura delle partite di cocaina da destinare ai sodali palermitani. E avrebbe anche provveduto alle trattative con gli acquirenti per l’approvvigionamento delle sostanze stupefacenti e alla conclusione degli accordi per la vendita. In una conversazione intercettata, Salvatore Orlando (anche lui arrestato) spiega a Salvatore Fascella che la direzione del gruppo calabrese «Quelli più grossi diciamo» fosse assunta da Francesco Barbaro (non indagato) e dal fratello minore Giuseppe “Pino” «(…) poi c’è Pino, quell’altro fratello, meno stravagante (…) Pino invece è serio…». C’è poi Pasquale Barbaro che, nonostante non abbia precedenti di polizia, secondo gli inquirenti è comunque legato alla famiglia ‘ndranghetistica “Giorgi-Boviciani”, perché sposato con Maria Giorgi, figlia di Domenico Giorgi (cl. ’63) già arrestato nell’operazione “Platinum” come capo dell’omonima cosca ’ndranghetista dedita al narcotraffico. Per gli investigatori Pasquale Barbaro avrebbe custodito la cocaina a casa sua a Bovalino, dove poi i corrieri del gruppo si rifornivano. (g.curcio@corrierecal.it)
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