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l’inchiesta

La ribellione degli zingari sulle cosche crotonesi. Il gesto di rottura di “Toro Seduto”

Domenico Bevilacqua e la trasgressione agli accordi sulle estorsioni. Le imprese sotto scacco e il ruolo di Lobello. L’accordo ad agosto 2019

Pubblicato il: 21/04/2023 – 17:00
di Alessia Truzzolillo
La ribellione degli zingari sulle cosche crotonesi. Il gesto di rottura di “Toro Seduto”

CATANZARO «I rapporti tra i nomadi di Catanzaro e i rappresentanti delle cosche crotonesi ed in particolare di Isola Capo Rizzuto, sono stati sempre solidi e ben strutturati». È questa la premessa della Dda di Catanzaro sull’evoluzione della criminalità organizzata rom che da manovalanza è diventata cosca riconosciuta.
Inizialmente i rom erano il «braccio operativo, per la commissione di atti intimidatori finalizzati alla riscossione di proventi estorsivi ai danni di imprenditori della città di Catanzaro», è scritto nella richiesta di misure cautelari vergata dal procuratore Nicola Gratteri, dall’aggiunto Giancarlo Novelli e dai sostituti Paolo Sirleo e Debora Rizza. I rapporti di forza si sono alterati a partire dal 2014. Così racconta il collaboratore di giustizia Santo Mirarchi – in passato referente per i clan crotonesi nel capoluogo – secondo il quale i rom hanno cominciato a ribellarsi quando, nel 2014, le cosche crotonesi hanno smesso di corrispondere «denaro al sodalizio nomade in occasione delle festività, disattendendo i trattati stabiliti». I patti erano che la manovalanza nomade venissero ricompensate con parte dei profitti delle estorsioni, come compenso per gli atti intimidatori svolti.
Venuto meno il riconoscimento da parte delle cosche crotonesi, in un’occasione, nel 2015 – racconta Mirarchi –, Domenico Bevilacqua, alias “Toro Seduto”, si era presentato da un imprenditore «facendosi consegnare a titolo estorsivo le rate della festività di Natale 2014 e di Pasqua 2015, trasgredendo gli accordi con le cosche crotonesi».

Il Natale andato a vuoto

Era Santo Mirarchi, come lo stesso racconta, che aveva il compito di farsi consegnare il “pizzo” dagli imprenditori di Catanzaro nelle festività, per poi darlo alla cosca di Isola.
Il collaboratore dice, in un interrogatorio del 2016, che, durante il Natale del 2014, gli isolitani non avevano girato a Mirarchi la parte dei proventi che gli spettava. Un altro referente della cosca Arena di Isola Capo Rizzuto, Nicolino Gioffrè, giustificò la cosa dicendo che, dato che erano stati raccolti “solo” 40mila euro questo denaro serviva per il mantenimento delle famiglie dei detenuti e per pagare gli avvocati. Gioffrè «ci chiese di avere pazienza che se ci fossero state delle ulteriori entrate derivanti dai pagamenti di qualche altra impresa che aveva saltato il pagamento di Natale avrebbero pensato a noi», dice Mirarchi.
L’elenco degli estorti che snocciola il collaboratore è lungo e variegato: un’impresa che lavorava al porto di Catanzaro Lido, un’altra alla galleria Sansinato, una rivendita di camion, l’impresa che stava realizzando la strada di collegamento in località Germaneto. Mirarchi racconta che, in particolare, c’era l’impresa di Giuseppe Lobello (non indagato in questo procedimento, ndr) che «fungeva da collettore con le altre imprese per la raccolta delle tangenti da destinare alla cosca isolitana».

Le estorsioni e il ruolo di Lobello

Il 26 maggio 2016 il collaboratore racconta ai magistrati della Dda di Catanzaro che da una serie di circostanze aveva compreso «quale era il ruolo di Pino Lobello nel senso che lo stesso costituiva il soggetto di collegamento, ai fini del pagamento delle estorsioni, tra le imprese piccole che dovevano pagare e la famiglia mafiosa di Isola di Capo Rizzuto che doveva ricevere il pagamento».
Tra le imprese che non avevano pagato a Natale 2014 ce n’era una dalla quale Mirarchi e Gioffrè passano a Pasqua per riscuotere anche gli arretrati. L’imprenditore si giustifica, dice che non si era presentato nessuno degli isolitani per riscuotere. Al contrario «sia a natale 2014 che a pasqua 2015 si è presentato da lui “Toro Seduto” dicendogli che i soldi li avrebbe dovuti dare a lui e non a Isola…».
L’azzardo di portare via le estorsioni agli isolitani è probabilmente costato la vita a Domenico Bevilacqua, alias “Toro Seduto”, ucciso il 4 giugno 2015.

Il summit di Natale 2015

A Natale 2015 gli esponenti delle cosche di Isola Capo Rizzuto siincontrano. Lo racconta lo stesso Mirarchi che prese parte al summit: «L’incontro periodico di Natale del 2015 non è stato fatto al villaggio di Simeri Mare in quanto in quel periodo Labello era controllato e noi non potevamo recarci da lui e ne lui poteva venire al nostro Incontro. Per questo motivo l’incontro è stato fatto presso il ristorante di cui ho già detto a Isola Capo Rizzuto. I quest’incontro c’eravamo io, Luigi Miniaci, Nico Gioffrè, Domenico Falcone, Paolo Lentini, Rosario Lentini, Fortunato, Tonino Pompeo, Vincenzo Lentini e Antonio Scerbo. In quest’occasione ci è stato riferito l’importo che era stato raccolto dalle estorsioni, che era di 50.000 euro, doveva essere diviso per le spese legali, per consentire alle famiglie dei detenuti di effettuare i colloqui con i loro parenti in carcere e una parte sono stati mandati alle famiglie delle zone della montagna sia dalle parti di Marcedusa e sia dalle parte di Borgia».
Per il secondo anno consecutivo Mirarchi non riceve il provento delle estorsioni con il quale avrebbe dovuto remunerare i suoi collaboratori per le azioni intimidatrici ed in particolare corrispondere una parte del denaro a tale “Massimo lo zingaro“. 

Le intercettazioni sulla “ribellione”

Ai vertici della cosca degli zingari la Dda indica Massimo Bevilacqua, detto “U Malosciu”, il fratello Luciano alias “puzzafogna e brutto” ed Ernesto Bevacqua, detto “u Giappone”. Dai dialoghi tra i promotori della consorteria emerge la gestione, ormai affrancata, delle estorsioni. Siamo a marzo 2019 e il gruppo fa riferimento al mancato rispetto dell’accordo da parte degli isolitani sulla spartizione del denaro delle estorsioni. «No, adesso comincio a fare danni da tutte le parti…», dice Massimo Bevilacqua.
Il 14 maggio 2019 Ernesto Bevacqua e Luciano Bevilacqua parlano del fatto che non avevano ancora riscosso denaro da parte di alcuni imprenditori sottoposti al “pizzo” inoltre si erano ribellati agli Arena mandandogli a dire, tramite il referente Mario Gigliotti, che il clan degli zingari non poteva occuparsi di tutte le attività delittuose facenti capo ai clan di Isola Capo Rizzuto, senza percepire alcunché. Da Isola si giustificano col solito argomento: hanno 200 persone in galera a cui provvedere. «Dice che hanno i detenuti, hanno duecento detenuti in galera… e perché noi non ne abbiamo in galera?», dice Massimo Bevilacqua.

L’accordo

Ag agosto 2019 i dialoghi intercettati mettono in luce come gli accordi tra il clan degli zingari e le cosche crotonesi e isolitane erano mutati. Dopo una riunione che aveva tenuto con il referente della cosca isolitana, Mario Gigliotti, era stato deciso che le attività estorsive che appartenevano alle cosche isolitane dovevano essere ancora gestite da queste, in virtù dei precedenti accordi, mentre le nuove, intraprese dal clan degli Zingari, sarebbero state gestite da quest’ultimi, senza l’influenza di altri gruppi criminali.
Non a caso Massimo Bevilacqua va su tutte le furie quando un consociato, Massimo Berlingere, ruba due gruppi elettrogeni a un imprenditore vittima dei crotonesi.
Grida che il sodale «Mi ha messo nei guai». Massimo Bevilacqua dà incarico a Ernesto Bevacqua di rintracciare il cognato Massimo Berlingere e riportare i due gruppi elettrogeni all’imprenditore.
«Digli a Massimo di prendere i gruppi e portarli un’altra volta la …. che si è preso i soldi dei carcerati!!! che ci sono problemi… e gliel’ho detto!!! telefonagli Giappò, che sull’ossa di mio padre …. io passo i guai con lui».

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