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Urla e fischi in carcere mentre il nipote di “Luni Scarpuni” parla con i magistrati

La collaborazione di Pasquale Megna: «Posso riferire di omicidi, tentati omicidi e tante altre cose». I sei fogli fitti di appunti. Il ricordo di sua zia Tita Buccafusca: «Era impaurita»

Pubblicato il: 04/05/2023 – 19:43
di Alessia Truzzolillo
Urla e fischi in carcere mentre il nipote di “Luni Scarpuni” parla con i magistrati

CATANZARO Il 18 febbraio intorno all’una del pomeriggio i microfoni si sono accesi per la prima volta davanti a Pasquale Alessandro Megna, 38 anni. L’uomo in quel momento non ha ancora un difensore di fiducia ad assisterlo, si riserva di nominarlo in un secondo momento. Megna è figlio di una Buccafusca, sorella di Tita Buccafusca, moglie di Pantantaleone Mancuso detto “Luni Scarpuni”, componete di vertice del clan Mancuso di Limbadi. La parabola della bella zia Tita fu drammatica. Il 14 marzo del 2011, la donna si recò dai carabinieri di Nicotera Marina, con in braccio il figlio nato da poco, affermando di voler collaborare. Cominciò a parlare poi si fermò dicendo di voler riflettere su quello che stava facendo. Le cronache narrano che alla fine tornò a casa dal marito e il 16 aprile successivo fu proprio Pantaleone Mancuso a bussare ai carabinieri di Nicotera Marina per avvertirli che la moglie aveva ingerito acido muriatico. Tita Buccafusca morì il 18 aprile 2011, dopo una tragica agonia. L’inchiesta aperta su questa morte venne poi archiviata.
All’epoca Pasquale Megna aveva 26 anni, 12 anni dopo siede davanti al sostituto procuratore della Dda di Catanzaro, Annamaria Frustaci, e a due investigatori dell’Arma.
Si trovano nel carcere di Vibo Valentia dove la notizia della collaborazione di Megna si deve essere diffusa, tanto che nel verbale di spontanee dichiarazioni, mentre Megna afferma «io intendo collaborare con la giustizia», l’ufficio di Procura dà atto che «si sentono continuamente delle urla e dei fischi provenienti dal cortile della casa circondariale nel corso della verbalizzazione». Megna però prosegue: «Confermo la volontà di collaborare, sono in grado di riferire di omicidi, di tentati omicidi, omicidi e di tante altre cose, la maggiori parte delle quali afferenti a fatti di ‘ndrangheta».
Dice di essere capitato «per sfortuna» nella famiglia Mancuso «che io ritengo che sia un cancro, manipolatori che pensano solo al potere e ai soldi».
Al secondo incontro con gli investigatori, Pasquale Megna porta con sé sette fogli sui quali ha annotato degli appunti.
La Dda di Catanzaro ha redatto, per il momento, 11 verbali che sono stati messi agli atti del processo Rinascita-Scott, istruito contro le cosche vibonesi e i loro sodali. Questi primi verbali sono omissati già dalle prime righe.

«Zia Tita era impaurita»

Ed è omissato anche il racconto che spontaneamente rilascia sulla vicenda di sua zia Tita Buccafusca. «Sulla questione di mia zia Tita – dice – prima che morisse, quando era impaurita è perché, qualche sera prima era andato Agostino Papaianni a casa sua e ha sentito parlare mio zio Luni Scarpuni ed Agostino di qualcosa che riguarda l’omicidio Barbieri».
Il resto del racconto di Megna è custodito da un lungo omissis.
Quello che si sa, perché è ormai cronaca, è che Vincenzo Barbieri venne ucciso a San Calogero il 12 marzo 2011, due giorni prima che Tita Buccafusca si presentasse dai carabinieri.
Barbieri era un broker del narcotraffico sulla cui morte la giustizia non ha ancora fatto luce.
La sua è stata una vera e propria esecuzione, l’opera di un commando di tre uomini giunti col volto coperto, in pieno giorno, davanti al tabacchino dove Barbieri sostava insieme al cugino. Sullo sfondo di questa vicenda, che deve trovare ancora un finale alla sua trama, c’è un grosso traffico di cocaina sul quale il broker Barbieri avrebbe fatto il doppio gioco incorrendo così nell’ira dei Mancuso. Nei racconti di Pasquale Megna, da quello che si intravede nei ritagli di verbali imbiancati dagli omissis, la vicenda di Tita Buccafusca si incrocia con quella di Barbieri. Omissis per i quali a più d’uno tremano i polsi. (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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