Magistrato in pensione di origine lametina, Adelchi d’Ippolito presiede la Commissione per lo studio e l’approfondimento delle problematiche relative alla colpa professionale medica, istituita con decreto del ministro della Giustizia, Carlo Nordio, dello scorso 28 marzo.
La medicina difensiva, cioè l’insieme delle prestazioni sanitarie prescritte dai medici per evitare guai giudiziari, è l’effetto delle frequenti azioni legali nei loro riguardi. Secondo una specifica indagine dell’Agenas, risalente al 2014, il costo pubblico della medicina difensiva era vicino ai 10 miliardi di euro all’anno. Tuttavia, a parere di alcuni specialisti, oggi la cifra oscillerebbe tra i 14 e i 15 miliardi di euro annui. Si tratta di risorse pubbliche che invece potrebbero essere utilizzate per assumere nuovi medici e per investire in ambiti sanitari fondamentali: tecnologia, prevenzione e ammodernamento strutturale.
La Commissione guidata da d’Ippolito si è già insediata. Entro il 28 marzo 2024 dovrà, precisa il ministero della Giustizia: «esplorare l’attuale quadro normativo e giurisprudenziale in cui si inscrive la responsabilità colposa sanitaria per discuterne i limiti e le criticità e proporre un dibattito in materia di possibili prospettive di riforma»; «proporre un’approfondita riflessione e un accurato studio sul tema della colpa professionale medica ai fini di ogni utile successivo e ponderato intervento, anche normativo».
Oltre a d’Ippolito, l’organismo in questione è composto da altri esperti eminenti: Matteo Caputo, professore ordinario di Diritto penale nell’Università Cattolica di Milano; Enrico Elio Del Prato, ordinario di Diritto civile nell’Università Sapienza; Vittorio Fineschi, ordinario di Medicina legale nell’Università Sapienza; Antonio Fiorella, professore emerito di Diritto penale; Giulio Maira, professore aggiunto di Neurochirurgia nell’Università Humanitas di Milano; Francesco Musumeci, direttore dell’unità complessa Cardiochirurgia e Trapianti di Cuore dell’Azienda ospedaliera San Camillo-Forlanini di Roma; Antonella Polimeni, rettrice dell’Università Sapienza; Giovanni Scambia, professore ordinario e direttore dell’Istituto di clinica ostetrica e ginecologica del policlinico Gemelli di Roma; Attilio Zimatore, professore ordinario di Istituzioni di diritto privato nell’Università Luiss Guido Carli.
Abbiamo intervistato d’Ippolito sui compiti assegnati alla Commissione che presiede e sul tema più generale della colpa professionale medica, tornato al centro del dibattito pubblico soprattutto dopo la pandemia da nuovo coronavirus. «Siamo stati chiamati – precisa d’Ippolito – per cercare di individuare un perfetto punto di equilibrio tra la tutela piena del paziente e la serenità del medico. Infatti, un medico preoccupato può fare ricorso alla medicina difensiva. Questo arriva a significare che prescrive tutta una serie di accertamenti che possono essere invasivi, inutili e costosi. Ne conseguono due tipi di danni. Il primo è che il paziente viene sottoposto ad esami superflui quanto pesanti; il secondo è che si sottrae al malato, che invece ne avrebbe davvero bisogno, la possibilità di sottoporsi a quegli accertamenti particolari. Con questa prassi diffusa, si allungano le liste d’attesa. Infatti, tanti posti sono occupati da quanti si sottopongono ad accertamenti senza averne bisogno e soltanto perché il loro medico, preoccupato, ha richiesto quegli esami inutili. La Commissione istituita dal ministro Nordio ha anche l’obiettivo di garantire la serenità del medico, evitandogli aggressioni giudiziarie».
Ci sono troppe denunce contro i medici?
«Le riporto un dato, che dà la dimensione del fenomeno. Ogni 100 denunce, soltanto due si concludono con la condanna del medico. Vuol dire che le altre 98 sono infondate. Ecco, noi vogliamo evitare che i medici siano sottoposti ad una illegittima pressione. Quindi vorremmo introdurre degli istituti che possano scoraggiare denunce temerarie, fatte con la disinvoltura di chi non ha nulla da perdere. Come si può riequilibrare il sistema? Per esempio, si può cominciare con l’introdurre, mutuandolo dal dritto civile, l’istituto della lite temeraria».
Può spiegare meglio, a beneficio dei non addetti ai lavori?
«Sì. Se una denuncia dovesse risultare clamorosamente infondata, dunque del tutto strumentale, allora bisognerebbe non limitarsi a rigettare la domanda, ma si dovrebbe anche condannare chi ha proposto quella domanda per temerarietà della lite».
La Commissione si è già riunita?
«Sì. Nella seduta del prossimo 10 maggio, poi, cominceremo con una serie di audizioni. La nostra Commissione, pur ristretta nel numero dei componenti, vuole restare aperta a tutti i contributi che arriveranno dalle varie società mediche, dalle associazioni dei pazienti e dalle assicurazioni, cioè da tutti gli interessati e da quanti sono impegnati nello specifico settore».
Avete già ricevuto proposte o commenti da parte delle rappresentanze della dirigenza medica?
«Sì. L’istituzione della Commissione, dovuta alla sensibilità e alla cultura del ministro Nordio, è stata molto apprezzata. L’argomento che affrontiamo è di straordinaria importanza per la classe medica e per tutti i cittadini italiani. Nel merito c’è già grande attenzione, grande interesse, grande consenso e anche grande attesa. Si confida molto che la Commissione possa dare garanzie al paziente, come ho detto prima, e che individui gli strumenti utili per assicurare serenità al medico. Credo che tutti siano d’accordo nel pensare che un medico che opera con serenità è un bene per la collettività. Un medico preoccupato è un medico che non fa bene il proprio lavoro».
Oppure è un medico che potrebbe ricorrere allo scaricabarile, che potrebbe passare la palla ad altri.
«Quando un medico è preoccupato, fa troppo oppure troppo poco. Ciò non va bene in entrambi i casi. In condizioni di tensione, il medico fa troppo, nel senso che prescrive esami inutili e costosi; oppure fa troppo poco, evitando di intervenire e assumersi le proprie responsabilità, passando la patata bollente ad un altro. Invece, il medico deve fare ciò che è opportuno e ciò che è giusto ed appropriato».
Nell’attesa ridefinizione delle norme sulla colpa professionale medica, quanto ha inciso la vicenda della pandemia?
«Il mondo della sanità ha sempre guardato al tema della colpa professionale con molta preoccupazione. L’ambito delle cure mediche è tra i più importanti della vita civile. Certamente la pandemia ha portato all’attualità, e direi in emersione, alcune vaste problematiche legate al mondo della sanità. Ancora, la drammaticità della pandemia ha riportato in ruoli di assoluto protagonismo la classe medica, riconoscendone la centralità professionale e calamitando una sempre crescente attenzione verso l’attività molto delicata che i medici svolgono. Abbiamo un anno di tempo per terminare i lavori: per offrire al ministro della Giustizia uno studio approfondito su cui, poi, egli possa eventualmente avviare una propria proposta di legge che sia fortemente innovativa della materia».
Da magistrato, lei ha lavorato anche a Catanzaro. Che ricordo ha di quel periodo?
«Buono, bello. Ricordo con affetto tutto ciò che mi lega alla Calabria».
Riguardo al tema più generale degli errori sanitari, nel 2007 la Calabria era finita in stato di emergenza. Allora morirono tre minori per malasanità: Federica Monteleone, Flavio Scutellà ed Eva Ruscio. Trovare un punto di equilibrio tra la tutela del paziente e la tranquillità del medico è un compito gravoso.
«Certo. Per questo, il ministro Nordio ha voluto istituire una Commissione di esperti con specifiche competenze. Da magistrato, mi ero occupato moltissimo di colpa professionale medica e avevo svolto anche le funzioni di consigliere giuridico del ministro della Salute. Inoltre, nella Commissione ci sono professionalità di altissimo livello nel campo del diritto e della medicina. Abbiamo già avviato un lavoro meticoloso, che, come detto, nel tempo vedrà la partecipazione dei diversi attori della sanità. Naturalmente, daremo conto dei nostri lavori. L’informazione puntuale e corretta è sempre essenziale, specie in una materia così delicata e di straordinario interesse pubblico».
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