LONGOBUCCO «Il vero problema, in questo caso, non era l’infrastruttura in sé, ma il rischio idrogeologico legato alla posizione dei piloni nell’alveo del fiume». Francesco Caporaso, capo compartimento Calabria dell’Anas, parla al Corriere della Sera il giorno dopo il crollo del viadotto sulla Sila-Mare. Fortuna che nel primo pomeriggio di mercoledì ci sono state avvisaglie: smottamenti nell’area a monte del viadotto, poi fenomeni di erosione dell’argine nel tratto di strada con il viadotto che fiancheggia il fiume. È stato a quel punto che, poco prima delle 17, Anas ha deciso di chiudere il tratto. Il resto è storia, con la campata che si stacca come nei giochi Lego e il video del ponte sbriciolato che diventa virale. Un sospiro di sollievo per la scampata tragedia e uno di angoscia per la comunità della Sila Greca che si sente isolata e teme la “fine” di un percorso già lunghissimo, legato al sogno di una infrastruttura della quale si discute dagli anni 50.
Cifre e modalità di esecuzione sono tornate d’attualità. Le prime sono – come si conviene a certe opere incompiute – enormi, sulle seconde ha già acceso i riflettori la Procura di Castrovillari, chiamata a fare luce sulle cause del collasso strutturale. L’inchiesta si annuncia complessa: per dirla ancora con Caporaso «la posizione del pilone apre un fronte molto più ampio rispetto alle nostre (di Anas, ndr) possibilità di azione, per la moltitudine di soggetti coinvolti nella realizzazione di opere nell’alveo del fiume e per il contenimento del rischio idraulico di tutta la strada».
Parlare della statale 177 significa ripercorrere il sogno dei collegamenti di un’area montana e isolata durato oltre trent’anni, con la posa della prima pietra nel 1990, l’inaugurazione di un tratto importante nel 2015 e ancora diversi chilometri da completare. Un progetto finora costato più di 100 milioni di euro, che – a voler dare un cenno storico – nasce negli anni 50 quando il sindaco di Longobucco era Giacinto Muraca e i denari pubblici venivano spesi per la bonifica del Trionto e la costruzione di una diga sul fiume Laurenzano, pure quella incompiuta.
Nel patchwork dei lavori messi insieme nel corso degli anni tra un Accordo di programma quadro e l’altro, quelli del tratto crollato sono tra i più recenti. La storia del quarto lotto parla di un costo ipotizzato di 23,5 milioni di euro. I soldi non bastano: per il completamento si aggiungono 5,4 milioni di euro nel 2012. La competenza è, inizialmente, della Comunità montana “Sila Greca”, con un finanziamento ascrivibile a un Accordo di programma quadro del 2002 (all’epoca l’assessore regionale ai Lavori pubblici era Aurelio Misiti). L’aggiunta dei 5,4 milioni di euro, invece, arriva nel 2012. Si tratta di fondi regionali che contribuiscono di fatto alla costruzione del ponte crollato, che si trova nel tratto terminale di quel lotto. A realizzare l’opera è una ditta lucana, la Sogemi/Olivieri. Il progettista dei primi 4 lotti è l’ingegnere Gianfranco Volpe, il collaudatore del tratto un altro ingegnere e dirigente regionale di lungo corso, Luigi Zinno. La Regione Calabria, infine, assume la titolarità dell’opera nel 2014, con l’appalto per il progetto preliminare la parte a valle del viadotto crollato.
Sono i dati storici di un progetto finito sotto la lente dell’opinione pubblica dopo essersi frantumato sotto la piena del Trionto. Gli abitanti di Longobucco temono sia andata in pezzi anche l’idea di unire in 30 minuti d’auto la costa jonica con l’interno della Sila, mettendo assieme il turismo marino e quello montano e avvicinando centri storicamente tagliati fuori dai flussi (non solo turistici) come Longobucco e Cropalati. Una strada a scorrimento veloce al posto dei tornanti infiniti. Un’infrastruttura “difficile”, con un costo previsto di alcune decine di miliardi di lire diventati 100 milioni di euro. Gli ordini di grandezza spesso divergono quando si tratta di opere pubbliche. È anche per questo che il crollo fa più male e da ogni parte si chiede di fare chiarezza. I cittadini chiedono anche di non dimenticare il loro diritto ad avere collegamenti efficienti. Chiedono di non essere abbandonati. Il collasso del ponte è stato paragonato a quello del viadotto Morandi di Genova. Non resta che garantire una ricostruzione altrettanto rapida. (p.petrasso@corrierecal.it)
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