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Imprese “zombie” in Calabria, oltre tre su dieci ritornano in vita

In un triennio il tasso di recupero è stato quasi il doppio della media. Ma ad alto costo. Reina: «Accrescere le competenze del personale»

Pubblicato il: 16/06/2023 – 7:00
di Roberto De Santo
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Imprese “zombie” in Calabria, oltre tre su dieci ritornano in vita

CATANZARO In perenne difficoltà ad operare correttamente sul mercato e troppo spesso mantenute in vita solo grazie a forti iniezioni di liquidità provenienti da prestiti e da sussidi pubblici. Un fenomeno molto diffuso in Italia, se ne contano oltre 23mila, che passano sotto il nome di “imprese zombie”. Si tratta di aziende che si trovano in forte difficoltà finanziaria per la loro alta incidenza del tasso di indebitamento e per l’incapacità di ripagare gli interessi scaturiti da quei debiti attraverso gli utili realizzati dalla propria attività. Un fenomeno che interessa anche da vicino la Calabria.

Il quadro calabrese


Secondo i dati di Cerved, società che passa a setaccio lo stato di salute delle imprese, il numero di aziende che vivono nello stato “comatoso” nella regione sono 376 cioè il 2,3% del totale del mondo imprenditoriale calabrese. Un tasso che pone la Calabria nella media nazionale ma che indica quanto questo fenomeno possa essere diffuso nella regione. Anche se in netta diminuzione.
Stando al rapporto di analisi stilato da Cerved, emerge infatti che nel triennio 2019-2021 il numero di imprese “zombie” in Calabria è passato da 538 a 376. Una riduzione che si tramuta, in termini percentuali, in oltre 30 punti in meno in questo lasso di tempo. Una flessione di gran lunga superiore alla media nazionale ferma a -17,2%.
Scendendo nel dettaglio dell’analisi, inoltre, emerge che oltre la metà di quelle aziende (esattamente il 55,2%) che nel 2019 erano “zombie” risultano ora sanate. Allo stesso modo però quasi un quarto (23,8%) sono rimaste ancora nel “limbo” negli ultimi tre anni. Ed altre sono scivolate nelle procedure fallimentari o hanno chiuso definitivamente i battenti.
In particolare, quasi un’impresa “zombie” su dieci appartiene alla prima categoria, mentre l’11,7% delle imprese sono sparite dal mercato.
Numeri che dimostrano che se da un verso il problema delle aziende sostenute solo artificialmente sul mercato sussiste, dall’altro che non necessariamente quel sistema di “aiuti” non comporti benefici reali per la rete imprenditoriale. Se è vero che gran parte delle realtà finite nello stato “larvale”, in tre anni sono rientrate a pieno titolo ad operare nel mercato uscendo risanate.
Una soluzione positiva che ha interessato soprattutto quelle aziende che hanno potuto beneficare di un Fondo di garanzia (Fdg).
I dati di Cerved, infatti, fanno emergere che ben 7 aziende zombie su 10 sono uscite risanate dallo stato comatoso grazie al Fdg. Viceversa solo il 43,1% ce l’ha fatto senza il ricorso a quello strumento.
Un fondo che nel corso del 2023 ha erogato in Calabria complessivamente oltre 216 milioni (per l’esattezza 216.618.088) per garantire 1.622 operazioni con finanziamenti previsti pari a circa 288 milioni.

Il costo esoso per risanare le aziende


Ma nel contempo c’è da rilevare la mole enorme di debiti finanziari accumulati in Italia dalle “aziende zombie”: ben 130,4 miliardi di euro di cui 20,4 finanziati dal Fdg ed il restante montante senza quella copertura.
Così come il costo per consentire quel risanamento sia stato molto oneroso: 3,1 miliardi di euro di sovvenzioni. Un meccanismo doloroso soprattutto per il sistema, se si considerano quelle realtà che sono uscite dal mercato o sono rimaste tuttora nello stato comatoso. In questo caso l’ammontare delle somme “dilapidate” è stato pari a 1,3 miliardi di euro.
Se da un verso dunque quel meccanismo permette di tenere in piedi aziende in momentanea difficoltà salvaguardandone la tenuta economica e soprattutto il livello occupazionale, senza generare contraccolpi anche per il sistema creditizio, dall’altro la persistenza di “aziende zombie” rischia di distrarre risorse utili a sostenere la nascita di nuove imprese e ad accrescere il livello di competizione della rete produttiva più sana.
Aspetti che dovrebbero essere colti in pieno soprattutto in aree così fragili sotto il profilo economico come quello del territorio calabrese.

Reina: «Puntare ad accrescere le competenze del personale e degli imprenditori»


Aiuti sì, ma solo per sostenere le aziende a superare le crisi di liquidità impreviste ed emergenti. È questo in sintesi il pensiero di Rocco Reina, professore ordinario di Organizzazione Aziendale & Gestione del Personale all’Università Magna Græcia di Catanzaro facoltà di Giurisprudenza Economia e Sociologia.
Secondo il docente della “Magna Græcia”, la missione del sostegno alle aziende è fondamentale perché «la presenza di imprese nel tessuto sociale trasforma profondamente i contesti, rendendoli maggiormente vitali e dinamici». Una tesi che vale soprattutto in territori come quello calabrese. E per aiutare le imprese a superare i momenti di crisi, Reina chiede di focalizzarsi «sulle persone». «Occorre – sostiene – far crescere le competenze del personale dedicato ed affinare le skill manageriali degli imprenditori». Un percorso sul quale la Regione può contribuire molto.

Rocco Reina, docente di Organizzazione Aziendale & Gestione del Personale all’Università Magna Græcia di Catanzaro



Professore, la crisi economica innescata dal Covid e successivamente legata agli effetti dell’innalzamento dei costi di produzione hanno deteriorato ulteriormente la capacità finanziaria delle imprese soprattutto calabresi. È utile sostenere con risorse mirate il sistema produttivo?
«È da tempo che il dibattito nazionale ed internazionale si arrocca su posizioni diverse rispetto a questa domanda. È indubbio che l’impresa è un elemento fondamentale del sistema economico e che la presenza di imprese nel tessuto sociale trasforma profondamente i contesti, rendendoli maggiormente vitali e dinamici. Le esperienze vissute e gli stessi dati presenti sui principali siti di ricerca evidenziano come sostenere in maniera adeguata e mirata il sistema produttivo permette di superare i momenti di crisi imprenditoriale contingente e nella maggior parte dei casi restituire al territorio e ri-alimentarlo di quegli elementi vitali, chiamati “Imprese”».

Fonte: Ministero delle Imprese e del Made in Italy


Eppure si ritiene che il sistema di aiuti ad aziende in difficoltà possa “drogare” il mercato creando vere e proprie “aziende zombie”. C’è questo rischio?
«È chiaro che il rischio d’impresa appartiene come già detto da Shumpeter all’imprenditore e nessuno potrà eliminarlo o metterlo in discussione. La vita delle imprese è però altamente sensibile a fattori esterni talvolta non programmabili – come quelli anticipati di questi ultimi tempi – capaci di fiaccare la stessa vitalità aziendale, con effetti evidenti e tangibili su tutto il sistema socio-economico di riferimento. Davanti a simili eventi, allora, supportare le imprese rappresenta però un must, proprio per evitare ripercussioni evidenti sul territorio e sulla sua vitalità, senza d’altra parte rappresentare occasione di apprendimento per l’imprenditore colpito. Seguendo questa logica, non si tratta di drogare le imprese e renderle dipendenti dal sostegno finanziario pubblico, ma solo consentire loro di superare le crisi liquidità impreviste ed emergenti, presenti nei mercati, frutto di eventi imprevisti ed indipendenti dal business di riferimento».
I dati raccolti da Cerved, però, dimostrano che molte imprese anche in Calabria grazie a quegli aiuti sono riuscite a ritornare operative. Come lo spiega?
«La motivazione plausibile è collegata a quanto sostenuto: laddove il sostegno finanziario finisce per essere utilizzato da imprese in difficoltà momentanea, non strutturale, operanti in business solidi e spesso capaci di rivedere i percorsi di sviluppo, anche attraverso sofisticati meccanismi di programmazione strategica. Tutta la filiera agro-alimentare – fortemente presente in Calabria – rappresenta un esempio tipico di business solido e di alta qualità percepita. Capace di risentire di situazioni congiunturali imprevedibili, ma che d’altra parte mantiene un forte apprezzamento da parte dei mercati, anche esteri, per i quali e rispetto ai quali le nostre imprese hanno il dovere di continuare a crescere ed essere riconosciute».


Spesso il problema di molte aziende calabresi e che perseguono modelli produttivi non concorrenziali. Anche in questo caso è utile sostenerle, protraendo la loro attività?
«Parlare di modelli produttivi non concorrenziali è oggi un ossimoro. Gli imprenditori possono pensare di agire da soli come monadi sui mercati, possono sperare di reiterare modelli passati di competizione, ma rimane solo una personalissima ed individuale elaborazione concettuale. Nel mondo del web e del mercato globale, immaginare di guidare la propria azienda con modelli competitivi del passato, finisce per avere orizzonti di sviluppo limitati e “programmare” sicure crisi future. Vero è che le imprese calabresi dimostrano un basso tasso di internazionalizzazione, per il quale sarebbe utile insistere e supportarle. In tal caso risorse dedicate e mirate a processi di crescita che vedono le aziende arrivare e conoscere mercati internazionali, potrebbero essere di grande aiuto. Tali tipologie di processi chiedono alle imprese, al loro management, al personale tutto, sforzi cognitivi importanti, per i quali le risorse allocate e dedicate potrebbero rappresentare dei meccanismi push fondamentali, nel superare le inerzie organizzative e spingere l’impresa verso il nuovo.

L’incremento delle competenze del personale e degli skill manageriali degli imprenditori aumenta la competitività delle aziende



Come si può aiutare il sistema produttivo calabrese a reggere il mercato nei momenti di difficoltà?
«La domanda non ha una sola risposta e rimane fortemente ambigua, posto che i termini “sistema produttivo calabrese” e “mercato” e “difficoltà”, chiederebbero focalizzazioni e analisi contingenti, per poter anche solo immaginare riflessioni puntuali. Ciò detto, da studioso e ricercatore di Organizzazione aziendale, leggo il senso della domanda nell’unico modo possibile, considerando chi lavora nelle imprese. Allora per aiutare il sistema imprenditoriale calabrese a superare i momenti di difficoltà, la ricetta è unica: occorre focalizzarsi sulle persone che con il loro lavoro quotidiano permettono alle imprese di “alzare ogni giorno le saracinesche” ed affrontare le nuove sfide presenti. Significa far crescere le competenze del personale dedicato ed affinare le skill manageriali degli imprenditori. Senza un’attenzione costante alle persone tutte – presenti nelle imprese – la sfida del futuro per le aziende calabresi è già persa. Occorre quindi investire in formazione e sviluppo delle persone, per aumentare le capacità e competenze disponibili alle imprese per traguardare le sfide del futuro».

E cosa può fare la Regione in questo senso?
«Sicuramente potrebbe intervenire sostenendo i processi di formazione e crescita delle persone nelle Pmi calabresi, a partire dall’analisi dei fabbisogni organizzativi e poi formativi concretamente rilevabili sulle imprese. Successivamente chiedere al sistema della formazione e della ricerca regionale di farsi carico delle progettazioni operative a valle, dedicando risorse opportune alla misura. Ulteriore tema di interesse, è quello collegato alla tecnologia ed ai processi di transizione digitale in fieri e dalle molteplici implicazioni operative sia a carattere endo che eso-processuale. Altra parola chiave è sostenibilità. Per entrambi i temi, una guida ed una sollecitazione finalizzata e mirata da parte della Regione potrebbe rappresentare un ottimo driver per assicurare poi alle imprese le buone pratiche successive, foriere – si spera – di performance adeguate». (r.desanto@corrierecal.it)

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