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la requisitoria

“Malapianta”, chiesta in appello la conferma di 30 anni di carcere per Alfonso Mannolo

L’accusa ha invocato 18 condanne per i componenti della consorteria “Mannolo-Trapasso-Zoffreo-Falcone” che ha imperversato sulla costa crotonese

Pubblicato il: 19/06/2023 – 19:32
di Alessia Truzzolillo
“Malapianta”, chiesta in appello la conferma di 30 anni di carcere per Alfonso Mannolo

CATANZARO Ha chiesto la conferma di 15 condanne comminate in primo grado dal Tribunale di Crotone e la riforma di tre condanne. In particolare, il sostituto procuratore della Dda di Catanzaro Pasquale Mandolfino, applicato quale pg in appello, ha invocato la conferma di 30 anni di reclusione nei confronti del capo cosca Alfonso Mannolo, vertice indiscusso dell’articolazione mafiosa del locale di San Leonardo di Cutro (con la dote di vangelista e la carica di capo società di San Leonardo), considerato il riferimento operativo delle organizzazioni ‘ndranghetistiche del territorio. È accusato di esser colui che gestiva le strategie estorsive attuate nei confronti degli imprenditori Notarianni, gestore del villaggio “Porto Kaleo”, Maresca, gestore del “Serenè Village”, e dell’imprenditore veneto Stefano De Gaspari.

Dante Mannolo collaboratore credibile quando parla del padre boss

Oggi, nel corso del processo d’appello del procedimento Malapianta, il pm Mandolfino ha sottolineato, nella memoria depositata, come una pletora di «collaboratori di giustizia, descrivono l’operatività di Alfonso Mannolo nel tempo, praticamente, senza soluzione di continuità fino al 2019». Tra questi c’è anche suo figlio Dante Mannolo il quale, secondo la difesa, sarebbe inattendibile perché «mosso da spirito di livore contro il proprio padre per avergli quest’ultimo impedito di esercitare liberamente la propria attività imprenditoriale rimanendo al di fuori delle dinamiche della famiglia».
Ma, fa notare il magistrato, come la tesi difensiva in realtà confermi la credibilità di Dante Mannolo poiché «il presunto livore non è mai emerso giudizialmente, ma è emerso dalle sue dichiarazioni dibattimentali che egli voleva una vita libera come imprenditore e che, invece, non ha potuto sottrarsi alle logiche della propria famiglia, che erano logiche, appunto, criminali, alle quali non avrebbe potuto far altro che soggiacere in ragione del condizionamento ambientale che respirava a casa. Insomma, che Dante Mannolo abbia segnato un confine, una inversione di rotta tra sé e la propria famiglia è ovviamente vero, ma che egli abbia mentito in giudizio al sol fine di colpire il proprio padre (con una pena a 30 anni di reclusione) solo per una sorta di ripicca generazionale è veramente una conclusione, anche umanamente, insostenibile».

Le richieste

Un comprensorio depredato per anni in maniera feroce dalle cosche “Mannolo-Trapasso-Zoffreo-Falcone” inserite nel più ampio contesto criminale capeggiato dalla famiglia Grande Aracri, questo racconta l’inchiesta condotta dalla Guardia di finanza di Crotone, guidata, all’epoca delle indagini preliminari, dal colonnello Emilio Fiora. Il controllo delle attività economiche era appannaggio delle famiglie di mafia che hanno sfruttato per il proprio tornaconto la ricchezza turistica del territorio, in particolare insidiandosi nella gestione dei villaggi turistici.
Un contributo decisivo alle indagini è stato dato dal testimone di giustizia Giovanni Notarianni, difeso dall’avvocato Michele Gigliotti.
Il pg ha chiesto la conferma della condanna di
Alberto Benincasa, 4 anni e 6 mesi di reclusione;
Giuseppe Benincasa, 17 anni e 2 mesi;
Antonella Bevilacqua, 11 anni e 50mila di multa;
Antonio De Franco, 13 anni;
Ciro Di Macco, 3 anni e 6 mesi;
Francesco Falcone, 16 anni;
Roberto Fusari, 3 anni e 9 mesi;
Piero Giacchetta, 3 anni;
Luigi Giappicchini, 5 anni e 20mila euro di multa;
Luca Mancuso Trabucco, 4 anni;
Alfonso Mannolo, 30 anni di reclusione;
Remo Mannolo, 19 anni di reclusione;
Paolo Menicucci, 5 anni;
Annunziato Profiti, 4 anni e 4000 euro di multa;
Renzo Tiburzi, 3 anni di reclusione.

Il magistrato ha inoltre chiesto la riforma della sentenza di primo grado quanto a:
Mario Cicerone, 4 anni di reclusione e 6.500 euro di multa in luogo di 7 anni e 6 mesi e 7000 euro di multa comminato in primo grado;
Pasquale Nicola Profiti, 7 anni di reclusione in luogo degli 8 anni comminati in primo grado;
Pietro Russo, 2 anni e 4 mesi in luogo dei 3 anni in primo grado. (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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