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‘Ndrangheta ad Alpignano, tentata estorsione ai danni di un locale: in aula il terrore dei testimoni

Ne scrive oggi l’edizione torinese del Corriere della Sera. Il pm nella sua requisitoria: «Clima di omertà comprensibile»

Pubblicato il: 16/07/2023 – 21:48
‘Ndrangheta ad Alpignano, tentata estorsione ai danni di un locale: in aula il terrore dei testimoni

TORINO «Io penso che il testimone abbia continuato a mentire, perché ha paura». È quanto ha detto il pm della Dda di Torino Dionigi Tibone nella sua requisitoria nel corso del dibattimento che prende spunto dall’inchiesta su una tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso in un ristorante di Alpignano, comune italiano di poco più di 16 mila abitanti della città metropolitana di Torino, già in precedenza sequestrato nell’ambito di una vasta operazione antindrangheta. ‘Ndrangheta che poi — per gli investigatori — avrebbe cercato di rientrarne in possesso, con classiche modalità criminali. A scriverne oggi è il Corriere della Sera (il pezzo porta la firma di Massimiliano Nerozzi). Per il pm, riporta sempre il quotidiano milanese, «è un comportamento abbastanza comprensibile, per questo non chiederò la trasmissione degli atti alla Procura». Nell’operazione del maggio scorso, furono arrestati Giuseppe Ursino, 55 anni, già condannato per criminalità organizzata, e il cognato, S.V., incensurato, poi scarcerato dal tribunale del Riesame. Una storia complessa, scrive il Corriere, anche a causa di «un’indagine spezzettata dal Covid». Sempre Tibone evidenzia come le dichiarazioni del testimone siano inverosimili, «non sa dare una spiegazione perché non la vuole dare», e poi ancora: «anche nel dibattimento abbiamo respirato il clima di omertà». La Procura, ha chiesto 2 anni e 8 mesi per l’incensurato e 4 anni e 8 mesi per Ursino. Per gli inquirenti quel locale era «espressione della rete di attività economiche funzionali al riciclaggio e al sostentamento economico del sodalizio mafioso». Ursino sarebbe coinvolto negli affari della locale di San Mauro, riconducibile alla famiglia Crea.
La vicenda – scrive ancora il Corriere della Sera – iniziò con una lettera fatta recapitare dal carcere, dov’era detenuto Ursino, che si chiudeva così: «Mi auguro che tua moglie e i tuoi figli stiano bene». Dirà il destinatario: «Mi sembrava di essere in un film». Tipo, Quei bravi ragazzi. Poi, il rappresentante della Fondazione che gestiva il locale si presentò dai carabinieri: «Ma temporeggia – riassume il pm – perché non vuole fare denuncia, e scrive poi al capitano che il Cda preferisce continuare sulla strada che comporta il minor coinvolgimento personale». Domanda, verso i giudici: «Cosa vuol dire?». Già nell’ordinanza di custodia cautelare era emerso uno «stato di diffusa sottomissione imposto ad Alpignano dalle cosche di ‘ndrangheta, tanto da indurre le persone più comuni a fornire alle autorità ricostruzioni assolutamente inveritiere e scarsamente convincenti».

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