Un velo di tristezza scende sul cuore. Ad appena due anni dalla tragica estate del 2021, nuovi incendi accerchiano l’Aspromonte. Alcuni nel cuore della montagna: nel Vallone della Madonna, sopra il Santuario di Polsi. Altri sulle colline ioniche, minacciando anche i paesi.
Mentre nel resto della Calabria, il grande caldo di questi giorni sembra aver scoraggiato – per il momento – i piromani, in Aspromonte no. Non sono bastate le morti e la distruzione di quell’agosto di fuoco del 2021, a fermare gli incendiari: quelli che per pura sciatteria puliscono i fondi col fuoco in un tempo di caldo e siccità in cui sarebbe severamente vietato; quelli che per cattiveria, dispetto, pazzia appiccano dolosamente il fuoco a proprietà pubbliche e private. Ma neppure sono bastate ad attivare una seria politica di prevenzione e spegnimento da parte delle istituzioni preposte. C’è un senso di disillusione, di mortificazione, di impotenza nei tanti che da sempre credono nella rigenerazione dell’intero Sud Italia a partire dal suo “patrimonio”, bello ed umile, intricato e nello stesso tempo semplice, in rovina eppure eternamente vivo e resiliente.
Il primo pensiero, in queste ore di apprensione, va ai boschi, alle campagne, alle donne e agli uomini che si vedono assediati dalle fiamme. Solidarietà e vicinanza, in particolare, ai tanti che vivono stoicamente ai piedi e dentro l’Aspromonte, e che, come me, sono devoti a questa misteriosa montagna del Sud Europa, che venerano come la Grande Madre: una figura mitica al centro delle prime civiltà del Mediterraneo, “gilaniche” (secondo la definizione di Riane Eisler), cioè senza distinzione di potere fra i sessi, pacifiche e in armonia con la natura. La loro principale divinità fu appunto Terra Madre, poi, dopo l’arrivo di popoli maschilisti e guerrafondai dall’Europa, incarnatasi in Gea, Iside, Demetra sino alla Madonna cristiana. Una madre rappresentata ancora dai tanti simboli dell’eterno femminino di cui è costellato l’Aspromonte: dalle persefoni di Bova alle “madonne” che lo cingono in un grande abbraccio, a partire da quel “centro del Mondo”, per dirla con Mircea Eliade, che è Polsi.
Nel 2021 scrissi che tocca a noi calabresi, per primi, rimediare ai torti che altri calabresi, nichilisti e folli, sistematicamente fanno alla loro terra. Ne sono ancora fortemente convinto. Non esistono società senz’ombra, come non esistono individui senz’ombra: questa la grande lezione di Carl Gustav Jung! E l’Aspromonte, che è paradigma di tutti i sud d’Europa, contiene in se stesso, quell’ombra che solo la luce può dissipare. Non possiamo demordere. Non dobbiamo abbandonarci alla disperazione. Occorre essere sempre portatori di luce. Solo così l’ombra sarà ricacciata indietro. Come hanno già fatto le guide del Parco Nazionale dell’Aspromonte che hanno indetto una manifestazione nell’alta valle del Menta-Amendolea per domenica 29 luglio. E come fecero tanti volontari, proprio nel 2021, che, con zappe e badili, salvarono parte degli boschi millenari d’Aspromonte. Non bisogna cedere alla tentazione di gettare la spugna, di lasciar morire la nostra terra, di lasciarci morire con essa. È esattamente quel che vorrebbero i demoni che da sempre – anche in queste ore – la stanno affossando, con azioni ed omissioni.
Come raccomandò Augusto Placanica nel 1993, a conclusione del primo capitolo della sua grande opera sulla storia della Calabria, «L’amore per le proprie terre, i propri paesaggi, le acque, le rocce, l’aria, le piante, e gli esseri viventi di Calabria deve essere la nuova sfida culturale dei calabresi: la difesa ad oltranza del proprio territorio ne sarà il vero – primo ed ultimo – banco di prova».
*Avvocato e scrittore
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