«I presidi fuori regione e le scuole “sguarnite” in Calabria»
“Mancano presidi in Calabria”, questa la notizia che in questi giorni ha campeggiato sui media regionali e che deriva dalla circostanza, davvero eccezionale, di circa 80 scuole che saranno date in re…

“Mancano presidi in Calabria”, questa la notizia che in questi giorni ha campeggiato sui media regionali e che deriva dalla circostanza, davvero eccezionale, di circa 80 scuole che saranno date in reggenza per il prossimo anno scolastico. Per i profani di un linguaggio tecnico da addetti ai lavori (anche sul linguaggio un maggiore sforzo di semplificazione per un Ministero che è preposto all’istruzione pubblica forse sarebbe auspicabile) la reggenza è quell’istituto che vede un solo dirigente a capo di due scuole o anche più scuole. Gli effetti sono facilmente immaginabili, solo pensando al vecchio detto evangelico secondo il quale è difficile servire due padroni. Giusto per fare un esempio pensate allo stesso dirigente che deve presiedere doppie riunioni di organi collegiali, gestire almeno 300 unità di personale tra docenti e Ata, avere responsabilità su decine di plessi scolastici dislocati anche su quattro o cinque comuni, e quindi avere a che fare con quattro o cinque sindaci, un buon numero di assessori e consiglieri comunali, senza contare i dirigenti comunali e, soprattutto, centinaia di alunni con relative famiglie, ecc., ecc., ecc.. L’elenco potrebbe continuare e chiunque è passato anche solo per caso in una scuola potrebbe confermarlo. Se a tutto ciò si aggiunge che il legislatore – bontà sua – negli ultimi anni ha caricato sulle spalle dei Dirigenti Scolastici responsabilità sempre crescenti per cui anche la caduta di un nido da un albero vicino alla scuola diventa responsabilità del povero preside, capirete come tutto ciò ha ricadute evidenti sull’offerta scolastica sul territorio.
Ma perché si è creata questa situazione? Perché non ci sono presidi in Calabria e, nello stesso tempo, l’Usr della Calabria dichiara di non avere posti da assegnare ai Ds calabresi costretti a lavorare fuori regione e a non assegnare, per il secondo anno consecutivo, neanche un posto ai Dirigenti Scolastici vincitori del concorso del 2017 che, a loro volta saranno costretti ad accettare la nomina dall’Emilia Romagna in su? Perché, con ogni probabilità, il prossimo concorso per Dirigenti Scolastici sarà a posti zero in Calabria? E perché tutto ciò avviene in presenza di un ruolo, quello del Ds, che per legge è di livello regionale? Senza addentrarsi in complesse argomentazioni in quel linguaggio tecnico di cui sopra tutto ciò è l’effetto di una “tempesta perfetta” nata dal combinato disposto di un concorso per Ds che è stato fatto a livello nazionale ma mantenendo l’impianto regionale previsto per legge, da una miriade di ricorsi e interventi legislativi che hanno finito per renderlo una sorta di colabrodo in cui si sta infilando il tutto e il contrario di tutto.
A ciò si aggiungano, non meno importanti, gli effetti del “nuovo” dimensionamento scolastico –approvato nell’ultima legge di bilancio- che porterà alla soppressione in Calabria, nei prossimi tre anni, a partire da settembre 2024, di ben 79 dirigenze e poi 82, con accorpamenti massicci tra Istituti scolastici. Dimensionamento che condurrà alla creazione di “mega scuole” di minimo 900 alunni, costituite da Istituti collocati tra comuni molto distanti tra loro, vista la conformazione territoriale della nostra splendida regione, su più comuni, da un minimo di tre a n. indefinito con inevitabili, checché ne dica il Ministro, tagli anche al personale ATA e docente e conseguenti chiusure di plessi. Magari si riuscirà a salvare qualche plesso nelle nostre montagne ma comunque le prossime generazioni di bambini e adolescenti vivranno l’esperienza di alzarsi alle sei del mattino se non prima per farsi minimo un’ora di bus per arrivare a scuola alle 8 e mezza.
Ciò sarà vero soprattutto nelle regioni al sud della “linea gotica” mentre al nord per ragioni diverse, gli effetti del dimensionamento saranno praticamente nulli. Si realizzerà quella autonomia differenziata che nei fatti al Sud significherà più di oggi, meno servizi, meno scuola, meno sanità, meno tutto. In un Paese davvero unito, buon senso vorrebbe, a fronte di un indubitabile calo demografico, attrezzare i servizi per renderli più efficaci ed efficienti non semplicemente tagliarli dove già sono ai limiti della esistenza, in nome di quel principio costituzionale di eguaglianza di opportunità che devono avere tutti, a prescindere da dove la sorte ha deciso che nascessero.
Ecco perché il tema dei “dirigenti fuori regione”, del loro diritto a lavorare nella loro regione, che conoscono e che devono poter conoscere per meglio operare al servizio del territorio, è fondamentale e merita attenzione.
Si tratta di un diritto che è insito nello spirito della legge sull’autonomia scolastica, che è stata l’innovazione più significativa della scuola negli ultimi trent’anni, e non è certamente il vezzo di funzionari dello Stato comunque “privilegiati” da un migliore (e neanche tanto rispetto ad un qualunque altro dirigente della pubblica amministrazione con minori responsabilità) trattamento economico.
Facciamo appello a tutte le OOSS, a tutte forze della politica, sia a livello regionale che nazionale, a prendere in mano questa ennesima “vertenza Calabria” per consentire il rientro dei dirigenti calabresi fuori regione e per frenare un “brusco dimensionamento”, e, soprattutto, per il bene della nostra comunità e delle nostre scuole.
Siamo in tempo, anche con lievi accorgimenti amministrativi, a scongiurare gli effetti di scelte che creeranno uno scenario ancora più disastroso di quello sopra descritto sia pure a grandi linee.
Gabriele Petrone e Anna Maria Tarsitano
* dirigenti calabresi fuori regione