REGGIO CALABRIA «Interferenze sempre più frequenti tra il mondo dell’imprenditoria e le associazioni criminali». Troppi incroci e troppe ditte «sponsorizzate dalla ‘Ndrangheta» – così le ha definite il dirigente della Squadra mobile Alfonso Iadevaia. È uno dei temi caldi per la Dda di Reggio Calabria e in generale nelle attività di contrasto alla criminalità organizzata, tanto che è diventato «indispensabile, nell’esperienza giudiziaria, tracciare precisi confini tra gli imprenditori che si relazionano con i sodalizi mafiosi in posizione soggiacente (imprenditore vittima, ndr) e gli imprenditori che, invece, diventano parte integrante dei medesimi sodalizi o, comunque, stringono con gli stessi accordi paritari e funzionali al raggiungimento di reciproci vantaggi (imprenditori collusi, ndr)». La notazione del gip Flavia Cocimano è necessaria per affrontare uno degli aspetti dell’inchiesta “Atto quarto”: quello del ruolo degli imprenditori che trovano «con gli esponenti della consorteria mafiosa un accordo attivo per la gestione di determinati affari con vicendevole profitto, instaurando così una relazione di scambio e di cooperazione reciproca che può avere carattere occasionale oppure carattere stabile e continuativo».
All’imprenditore Giovanni Siclari i magistrati antimafia di Reggio Calabria contestano «i rapporti personali di mutuo sostegno intessuti con le cosche di ‘ndrangheta Rugolino, De Stefano e Libri». Nell’ipotesi dell’accusa Siclari (come Nunzio Magno e Antonino Pirrello, altri due titolari di imprese considerate vicine ai clan) è un concorrente esterno della ‘ndrangheta. Sono i collaboratori di giustizia a disegnare «il quadro di un imprenditore strettamente legato alla cosca Rugolino, collocato all’interno di un contesto territoriale da cui hanno poi preso la stura le cointeressenze economiche con altre famiglie mafiose, di cui Siclari si proponeva quale imprenditore “amico” e punto di riferimento». Al clan Libri, Siclari avrebbe accordato «disponibilità assoluta e incondizionata» che «faceva da contraltare alla possibilità di esercitare l’attività imprenditoriale in una posizione privilegiata», come dimostrerebbe l’«emblematica» vicenda relativa all’acquisto di un immobile nella zona di Sant’Anna, «che aveva visto a vario titolo interessate le cosche Libri e Tegano».
Grazie al legame con il boss Totò Libri, Siclari sarebbe anche riuscito «a inserirsi in un affare immobiliare quanto mai problematico, coinvolgente beni sottoposti a esecuzione riconducibili a esponenti della famiglia Tegano». Sarebbe stato proprio il capoclan, «competente per territorio in relazione al luogo in cui si trovava l’immobile, a mediare tra Siclari e la cosca di Archi, consentendo così all’indagato di avviare un’iniziativa altrimenti non praticabile, in ragione delle analizzate cointeressenze mafiose (si noti, peraltro, che quella di Siclari era l’unica offerta presentata)».
L’affare rischia di provocare un terremoto nelle cosche reggine. Totò Libri sarebbe intervenuto «personalmente anche per smorzare le tensioni legate al malcontento dei Tegano per il comportamento di Siclari». L’imprenditore viene posto sotto l’«ala protettiva» del boss «con una fermezza tale da rischiare di incrinare i rapporti con i Tegano quando questi ultimi, di fronte al veto posto dal capolocale di Cannavò, avevano messo in discussione la loro “amicizia” con l’intera famiglia Libri».
Do ut des. Se alcune mosse imprenditoriali di Siclari – è l’ipotesi della Dda – vengono rese possibili dalla vicinanza con Libri, da parte sua l’imprenditore si sarebbe prestato «a fare da sentinella per la cosca nel mondo dell’edilizia, fornendo personalmente al boss Totò preziosi suggerimenti e informazioni sui cantieri in fase di allestimento, utili alla consorteria mafiosa per progettare le strategie da attuare per insinuarsi e inquinare il tessuto economico sociale, ad esempio tramite prestanome che avrebbero permesso loro di controllare il mercato in determinati settori, ovvero per pianificare l’attività estorsiva da porre in essere ai danni degli imprenditori che avrebbero avviato le attività nei cantieri di competenza della cosca». (p.petrasso@corrierecal.it)
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