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Le motivazioni

Giro di estorsioni e droga a Milano, banda Aquilano con “casa madre” in Calabria

Il Gup sconfessa però l’esistenza di una locale di ‘ndrangheta controllata dal genero del boss Mancuso: «Completo disinteresse della cosca»

Pubblicato il: 27/10/2023 – 12:44
Giro di estorsioni e droga a Milano, banda Aquilano con “casa madre” in Calabria

MILANO «Non vi è prova che l’attività» della “banda” gravitante attorno a Luigi Aquilano a Milano «fosse autorizzata, controllata o sollecitata a distanza dalla Calabria» dalla famiglia ‘ndranghetista di Limbadi ma anzi vi era «completo disinteresse per le attività anche commerciali di Luigi Aquilano» nonostante «in una logica mafiosa» dovesse suscitarne «se non altro per la posizione strategica in cui il bar si trovava, proprio dinanzi all’ingresso del Palazzo di giustizia». Lo scrive il Gup di Milano, Guido Salvini, nelle 346 pagine di motivazioni alla sentenza con rito abbreviato che il 15 settembre ha condannato 21 persone a pene fino a 12 anni di carcere per traffici di droga ed estorsioni aggravate dal metodo mafioso ma sconfessato l’esistenza di una locale ‘ndranghetista a Milano controllata dal 45enne genero del boss calabrese Antonio Mancuso. 

L’inchiesta

L’inchiesta della pm Alessandra Cerreti della Direzione distrettuale antimafia di Milano è scoppiata nell’estate 2022 – che aveva svelato anche come il bar di via Manara 7 fuori dal Tribunale e frequentato dai magistrati fosse stato gestito dal 2018 al 2020 da alcuni degli imputati e che all’interno ci lavorava la figlia e nipote dei boss Guglielmo e Giuseppe Fidanzati (non processata) – aveva già portato a una profonda ‘frattura’ fra la Procura di Milano e la gip Lidia Castellucci in fase cautelare.

Le motivazioni

La Gip aveva respinto 26 misure cautelari spiegando che sebbene fosse stata documentata «la presenza sul territorio lombardo di soggetti legati da vincoli familiari con la famiglia ‘ndranghetista Mancuso» mancasse «l’esistenza, fuori dalle aree di origine, di un ‘associazione mafiosa connotata da un impegno reciproco e costante, funzionalmente orientato alla struttura e all’attività dell’organizzazione criminosa». 
Secondo il Gup Salvini «Luigi Aquilano e con lui il cognato Salvatore Commerci sono quasi con certezza appartenenti alla ‘ndrangheta e hanno ricevuto qualche forma di affiliazione, anche se probabilmente di grado non elevato, durante la loro vita in Calabria» ma gestivano i propri affari a Milano «in piena autonomia» senza prendere «direttive della cosca madre» e nessuna forma di «sottomissione alla stessa». 
Una circostanza che andrebbe in contrasto con la «caratteristica fondamentale della ‘ndrangheta in Lombardia, la cui esistenza e le cui caratteristiche di autonomia rispetto alla ‘ndrangheta calabrese sono già stato giudizialmente accertate in via definitiva da varie sentenze» e cioè quella del «legame indissolubile con la ‘casa madre’ con la contemporanea autonomia decisionale ed operativa».
Il Gup sottolinea le frasi «sparse in quasi tutte le intercettazioni» dove si parla di «stare belli per i fatti nostri, tranquilli come siamo stati sempre» oppure il “capo” Aquilano che ribadisce: «Io quello che faccio lo faccio per i cazzi miei». 
Rivelatoria – per le motivazioni – l’intercettazione: «Ma volete finirla dentro sto Milano? Dice che avete fatto la banda….tuo fratello e qualche altra persona». 
«Il termine ‘banda’ – scrive il Gup negando l’associazione a delinquere di stampo mafioso – è in realtà un termine piuttosto spregiativo» perché «né la ‘Ndrangheta né altre organizzazioni mafiose certo hanno e offrono l’autorappresentazione di sé stesse e della propria storia come una semplice “banda”». 
«È infatti un appellativo – concludono – che può riferirsi solo ad un gruppo di persone che commette illeciti di carattere comune, come appunto quelli posti in essere a Milano da Aquilano e dalle altre persone con cui attuava i suoi traffici». 

La sentenza

La sentenza ha condannato Luigi Aquilano a 12 anni di carcere e 60mila euro di multa (la pm Cerreti aveva chiesto per lui 18 anni) oltre al risarcimento da stabilire in sede civile nei confronti di alcuni imprenditori, uno dei quali era stato raggiunto dal 45enne a Ibiza è costretta con forza e minaccia alla restituzione di soldi non dovuti per la ristrutturazione di un bar alle isole Baleari. Tre i patteggiamenti, 4 gli ulteriori rinvii un giudizio con rito ordinario e alcuni atti trasmessi per competenza territoriale alla Procura di Catanzaro. Condanne a 5 anni per Giorgio Mariani e Giuseppe Di Giacco, 4 anni per Salvatore Comerci, Giuseppe D’Angelo, Rosario D’Angelo, Alessandro Marangi, Nicola La Valle. Pene più basse, dai 2 anni e 8 mesi ai 3 anni, per tutti gli altri imputati fra cui figure note del panorama criminale milanese finite in altre inchieste per associazione a delinquere e traffico di droga della Dda di Milano come Nazzareno Calaiò. Quasi tutti sono stati condannati all’interdizione dai pubblici uffici.

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