In uno dei vicoli di Cosenza centro compare la scritta del titolo di questo articolo.
55 anni fa la strage di Piazza Fontana aprì un periodo buio e oscuro per l’Italia. Il periodo dello stragismo, rispetto al quale nessuna verità assoluta è stata acclarata.
Tanti innocenti morirono e tanti altri ne sarebbero morti successivamente.
Due sono i morti in più non classificati alla Banca nazionale dell’agricoltura di Milano: l’anarchico Pinelli e il commissario Calabresi.
Pinelli fu fermato come indiziato, contemporaneamente al povero Valpreda. Saltò da una finestra della polizia e nessuno pagò per quell’omicidio.
Se non il commissario Calabresi, ucciso anni dopo come ritorsione per la morte dell’anarchico.
Pochi giorni fa è morta la vedova di Pinelli, una donna di grande dignità, che nella sua umiltà contribuì a una sorta di pacificazione sociale.
Quella strage, come tante altre, fu attribuita a parte dell’eversione nera ma qualche anno dopo, il più grande intellettuale del dopoguerra, Pierpaolo Pasolini, scrisse un memorabile e profetico articolo sullo stragismo. La cui matrice è certamente geopolitica e internazionale. Destabilizzare per stabilizzare. Una mesta e torbida funzione che avrebbe generato morti eccellenti negli anni settanta. Paolo Sorrentino, ne Il Divo, spiegherà forse meglio di tutti ciò che accadde allora. Fare il male per poter fare il bene. Il mondo bipolare considerava un’inezia qualche centinaio di vittime innocenti. Sacrificate con mezze verità in nome della tenuta democratica. Per tutti noi, santi laici che persero la vita senza alcuna colpa. E senza che nessuno pagasse.
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