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l’inchiesta

L’ex Italcementi di Vibo Marina, una cattedrale nel deserto tra promesse e progetti perduti

Dal Parco Polivalente alla fabbrica di zinco che verrà presentata il 15 novembre. Riconversioni mancate, il degrado e gli interessi della ‘ndrangheta

Pubblicato il: 14/11/2023 – 6:54
di Marco Russo
L’ex Italcementi di Vibo Marina, una cattedrale nel deserto tra promesse e progetti perduti

VIBO VALENTIA Una torre alta 90 metri, 28 tra silos e serbatoi, 9 mulini e persino un laghetto all’interno. Un deserto di cemento e ferro che si estende per circa 320 mila metri quadri tra la fazione di Bivona e Vibo Marina. Per una capacità produttiva, prima della chiusura, di circa 670 mila tonnellate di cemento all’anno. Sono i numeri che inquadrano l’imponenza dell’ex area Italcementi nella frazione marittima di Vibo, dismessa nel 2012 e da allora abbandonata a se stessa. Un sito ben impresso nella mente dei vibonesi, non solo per l’evidente impatto estetico sul paesaggio della Costa degli Dei, ma anche come simbolo di una Vibo dormiente, sospesa nella spirale del degrado e incapace di favorire il rilancio del territorio. Per 11 anni, dalla chiusura dello stabilimento, si sono susseguite proteste, promesse e progetti. Fino al più recente, che verrà presentato il 15 novembre.

La chiusura definitiva

È giugno 2012, quando la Italcementi Group, leader del settore a livello globale, annuncia a sorpresa la chiusura delle sedi di Vibo Marina e di Porto Empedocle. Nell’immediato scattano le proteste di politica, sindacati e, soprattutto, dei lavoratori. 82 i dipendenti vibonesi messi alla porta dalla società bergamasca, una trentina le aziende dell’indotto coinvolte. «Una chiusura imposta dalla crisi del mercato» si giustificano i vertici. Nel 2013 un gruppo di lavoratori occupa lo stabilimento, restando per 24 giorni in cima al silos, a 90 metri d’altezza. L’esito infelice è uno spostamento di massa di circa 50 dipendenti nelle fabbriche del Nord, mentre, per i restanti, un incentivo al licenziamento. Rimaneva da risolvere il problema dell’imponente sito industriale che sarebbe stato abbandonato.

Un altro scatto dell’ex cementificio di Vibo Marina

Progetti e promesse mancate

L’annuncio della chiusura definitiva dà inizio a un valzer di promesse e progetti mai realizzati. In un primo momento, è la stessa Italcementi a cercare soluzioni che potessero soddisfare le esigenze dei lavoratori e della politica. Nel 2013 viene incaricata Nomisma per effettuare eventuali studi di conversione. La società bolognese produce 8 possibili progetti, tra cui un centro di trattamento rifiuti, ostentato sia dalla cittadinanza che dalla politica regionale. Da qui un susseguirsi di tavoli tecnici e discussioni che arenano ogni progetto individuato dal rapporto. Nel 2016 l’Italcementi passa di mano, acquisita dalla tedesca Heidelberg Cement. Cambio di proprietà, ma stesse risposte dai vertici societari: niente bonifica, niente riconversione, solo cessione e vendita dell’area.

Gli interessi della ‘ndrangheta

La gestione caotica post dismissione del cementificio attira anche gli interessi della ‘ndrangheta. È il pentimento di Domenico Guastalegname, 31enne di Asti ma originario di Vibo Marina, a fare luce sui tentativi delle ‘ndrine di occuparsi dello smantellamento dello stabilimento. In particolare, lo stesso Luigi Mancuso, capo dell’omonimo clan di Limbadi, avrebbe messo gli occhi sul sito e incaricato una terza persona di occuparsene. «So che Nazzareno Colace – spiega il collaboratore di giustizia – nel 2014-2015 doveva partecipare a una gara d’appalto per lo smantellamento del cementificio». Questa operazione, secondo Guastalegname, Colace «la stava organizzando insieme a Luigi Mancuso». Operazione illecita che, tuttavia, si perde nell’iter burocratico insieme all’ipotesi di smantellamento, ancora mai avvenuto.

Il Parco Polivalente

Nel 2021 il comitato Eiponieon Venus presenta un progetto incentrato sul turismo che puntava a rivoluzionare l’utilizzo dell’area. Finanziato dalla Igi Investiment Group con circa 200 milioni, al posto del cementificio sarebbe dovuto nascere un parco polivalente dotato di tutto: una ruota panoramica, un’area accoglienza, una dedicata al commercio, una alla natura, una spa, un cinema, un museo, un anfiteatro, un centro di ricerca e persino un’università del turismo. Aperto tutto l’anno, avrebbe dato una «notevole spinta all’economia di tutta la Costa degli Dei». Un progetto ben accolto dai cittadini, ma meno dalla società proprietaria del cementificio. L’Italcementi, in una nota subito dopo la presentazione, annunciò la sua completa «estraneità» e di non aver venduto l’area ai fondi interessati.

Il nuovo progetto

L’ultimo di una lunga serie di progetti è quello della MetalsReborn. Verrà presentato il 15 novembre presso la sede vibonese di Confindustria dal presidente Rocco Colacchio, dall’amministratore delegato della società Oliviero Lanzani e dagli advisor Francesco Manduca e Gaetano De Pasquale. L’area, secondo quanto si apprende dal comunicato, potrebbe presto essere convertita in una nuova fabbrica. Il progetto «consentirà di recuperare gran parte dell’area» con l’obiettivo di «insediare una nuova realtà economica destinata alla produzione di zinco, ferro-lega e altre materie prime ricavate dalla trasformazione dei sottoprodotti delle acciaierie». La lavorazione si baserebbe «su tecnologie avanzatissime a impatto zero». L’investimento previsto sarebbe di circa 70 milioni di euro. Con l’auspicio, da parte dei vibonesi, che l’esito del progetto sia diverso da quelli che l’hanno preceduto.

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