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«Giro il mondo da quando avevo 3 anni. La mia vita da apolide e migrante intellettuale»

Filomena Tucci rappresenta la comunità delle professioni immateriali più disparate che si ritrova nei treni, sui voli o negli incontri tra addetti ai lavori

Pubblicato il: 19/11/2023 – 15:07
di Eugenio Furia
«Giro il mondo da quando avevo 3 anni. La mia vita da apolide e migrante intellettuale»

Data analist ed esperta in comunicazione, consulente con ramificazioni e collaborazioni in tutti i continenti. Due righe per raccontare la molteplicità – umana e professionale – di Filomena Tucci detta “Milly”. Nomadismo intellettuale prima per necessità poi per scelta: migrante da quando – figlia di migranti – a tre anni è partita per la Germania dove ha fatto la scuola primaria. Tucci rappresenta la comunità delle professioni immateriali più disparate che si ritrova nei treni, sui voli o negli incontri tra addetti ai lavori. Ma non chiamatela “caputosta” (definizione che pure a qualcuno non dispiace)…

• CHI È Filomena Tucci
Imprenditrice e docente universitario di marketing digitale a Napoli, ha 21 anni di carriera a supporto della comunicazione istituzionale pubblica e dell’analisi dati. È scrittrice e speaker internazionale con una solida esperienza nel coordinamento e monitoraggio impatto azioni di comunicazione, esperienza pluriennale nel supporto tecnico alle autorità di gestione fondi strutturali, dei programmi nazionali e regionali, con i principali vertici istituzionali (ministri, presidenti di Regione, sindaci, enti pubblici e aziende italiane ed estere). Ha curato e supervisionato oltre 70 sondaggi politici coordinati e oltre 300 ricerche sociali ed alcuni studi internazionali. Nel 2014 crea Ingreen, pmi tecnologica innovativa su export comunicazione digitale e educazione ambientale e ricerca. Ha ottenuto numerosi riconoscimenti tra cui il prestigioso invito del programma di scambio culturale IVLP (International Visitor Leadership Program) del Dipartimento di Stato Americano per lo sviluppo delle piccole medie imprese come motore di prosperità e stabilità nel 2019. Nell’ambito delle collaborazioni internazionali ha curato i rapporti esteri di aziende italiane in Usa e negli Emirati arabi. Nell’ambito del ruolo ha acquisito competenze di negoziazione, pubbliche relazioni e vendita, direzione campagne pubblicitarie e monitoraggio delle principali metriche, ha diretto team per la realizzazione di indagini quali-quantitative ed eventi, coordinando grandi gruppi di ricercatori e collaboratori. Nel tempo libero si dedica a cause sociali nel territorio italiano e ha offerto le proprie competenze a giovani aspiranti imprenditori anche in università estere come Lucknow, Alessandria d’Egitto, Trinidad e Tobago.

Quando e perché ha lasciato la Calabria?
«È una storia di andata e ritorno. Il primo viaggio da figlia di migranti a 3 anni in Germania dove ho fatto la scuola primaria. Poi da migrante intellettuale a Milano, Praga, Roma, Bari e per periodi più brevi di studio e lavoro a Boston, Washington, Austin, Seattle, Miami, NY, Dubai, Abu Dhabi e la più recente tappa è Napoli, una città che mi corrisponde e mi ricorda mio padre. Napoli è papà».

Rimpiange o le manca qualcosa?
«Ogni partenza è uno strappo e la Calabria manca sempre un po’ ma come narrava la canzone “Gente di mare” dopo qualche giorno in Calabria muoio dalla voglia di andare via. È una condizione di eterno nomadismo. Non ho fatto il militare perché a quei tempi non era aperto alle donne il servizio militare, ma conduco la mia vita con disciplina come se fossi davvero nell’esercito. A letto non troppo tardi, niente alcol (salvo in occasioni particolari), niente vizi, abiti stirati, programmazione delle lavatrici, due tailleur e un vestito elegante a Cosenza, due tailleur e un vestito elegante in valigia. Negli ultimi anni arabi una valigia estiva sempre pronta, non si sa mai capitasse che devo partire. Non è stato facile addestrare me stessa a questi ritmi e a questa precisione e soprattutto i primi tempi rincorrevo gli oggetti smarriti qua e là… ma ora seppur “girandulera” ho trovato il mio centro, nella vita interiore ricca di cultura e spiritualità, per cui qualsiasi sia il fuso orario in cui mi sveglio non mancano buona musica buone letture meditazione e preghiere e sport».

Cosa salva della Calabria?
«Questi immensi boschi, le colline, i colori della Sila, il blu violaceo di Chianalea, i profumi di cucinato che risalgono dalle case a mezzogiorno, il buon vino, il calore e l’affetto della mia gente. Quando ero piccola pensavo che essere nata a Cosenza fosse stata una sfortuna solo con il tempo ho realizzato che i silenzi, il mare, il verde che ci sono così vicini, l’aria pulita e la semplicità di vita, fossero stati un dono nonostante i disagi dell’isolamento e della diffusa disoccupazione. Tutta la mia generazione è andata via, alcuni sono nomad workers, non hanno realmente spezzato il cordone ombelicale».

Com’è strutturata la comunità dei calabresi nel luogo in cui vive?
«Ecco, quello che vedo nel mondo – dato che ho vissuto in tanti luoghi – venendo in contatto con tanti migrantes 4.0 e comunità di nomadi digitali: a un certo punto ero l’unica calabrese della comunità italiana a Praga, poi conosco bene la comunità italiana a Dubai e da poco ho conosciuto la comunità ad Abu Dhabi, ho letteralmente animato con C3 international la comunità calabro-romana, la comunità milanese di calabresi è invece eternamente in movimento, alcuni rientrano. Ho anche partecipato a una festa di imprenditori calabresi persino a White Plains nello Stato di New York, dove comprano i giornali calabresi e si tengono aggiornati sugli sviluppi politici. Oggi mi sento una freeter: appartengo a quella comunità apolide delle professioni immateriali più disparate, ci ritroviamo nei treni, sui voli o negli incontri tra addetti ai lavori e in alcuni casi nelle celebrazioni della comunità calabrese worldwide. La mia comunità oramai è mondiale con giovani leader più o meno noti in vari settori in vari Stati del mondo. Sono orgogliosa della mia Calabria e al tempo stesso penso a quanto avremmo potuto dare restando qua. Io come una buona “centrocampista” ho creato in Calabria Ingreen e creo connessioni internazionali ad ampio raggio e non manco mai di sostenere come posso la Calabria e i miei conterranei calabresi per business e per chiamata morale. Mi viene in mente a titolo d’esempio l’incontro organizzato a Gerusalemme qualche giorno fa tra il mio sacerdote don Valerio Chiovaro (in questo momento impegnato per un progetto educativo in terra santa) e il mio amico cosentino giornalista e teologo Simone Tropea che tramite me si sono conosciuti in questi giorni e che si sostengono in questo tragico momento, in cui per vocazione rischiano la vita tra le bombe ma ci sono si impongono con il loro coraggio e ora si sostengono spiritualmente e anche umanamente. Sapere che non sono soli per me è un grande conforto!».

Qual è secondo lei la forza dei calabresi fuori dall’Italia?
«È che siamo gentili. Una volta su una navetta Fiumicino-Roma nel giorno di Pasquetta rientravo per essere puntuale in ufficio a Roma e incrociai il nostro attuale presidente Roberto Occhiuto, allora deputato, ci conoscevamo già da qualche anno, per motivi di lavoro; il trenino ci diede il tempo di una chiacchierata veloce sulla strategia di comunicazione della Calabria e alla discesa dalla navetta lui prese il mio bagaglio a mano e lo trasportò fino all’uscita della stazione Termini. Sono gesti di naturale gentilezza, che non si dimenticano. Sono stata consulente di oltre 20 presidenti di Regione e in questo piccolo gesto spontaneo ritrovo tutta la nostra sana cosentinità. Ora però dal governatore della Regione Calabria mi aspetterei più attenzione alla comunicazione e una apertura alla selezione della nuova classe dirigente e alla valorizzazione di un rapporto più diretto con i giovani».

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Ci sono, al contrario, degli stereotipi che ci inchiodano a luoghi comuni non più attuali o comunque folkloristici e frutto del pregiudizio?
«Beh uno fra tutti. Che in quanto calabresi siamo testa dura e omertosi, preferisco parlare di una estrema volontà e ostinazione a emergere e anche di un estremo pudore piuttosto che di omertà; se qualcuno ancora oggi ci addita come “capatosta” e omertosi a mio avviso non ha compreso i calabresi. Sono le donne calabresi oggi che possono e devono diventare protagoniste, magari esprimendosi di più pubblicamente, senza timore di denunciare situazioni di degrado, di povertà o di disagio, senza timore di esprimere i propri sogni.

Tornerà in Calabria?
«Al momento ho ancora una base in Calabria ma sinceramente guardando al futuro non credo. Oggi sento che la Calabria mi sta stretta.. ho dato tanto alla Calabria e ai giovani calabresi, ma qui oggi non trovo lo spazio e la velocità di agire. Ho lottato contro delle forze di attrito più grandi di me. Mi dispiace dirlo ma è giusto dirlo: continuo a incontrare illuminati imprenditori calabresi maturi di aziende di successo che mi dicono ”brava”, ma poi continuano a fare scelte familistiche quando si tratta di scegliere con chi collaborare. La classe dirigente ignora la mia generazione e sinceramente non ho voglia di impormi dove potrei essere invisa o non gradita. Ora alla maturità dei 46 anni preferisco contesti più professionali, che mi accolgano davvero con il sorriso e che valorizzino le competenze e relazioni internazionali maturate, contesti più multiculturali e aperti».

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